Grazia: il ministro non può fermare il Presidente della Repubblica -; CORTE COSTITUZIONALE, Sentenza n. 200 del 18/05/2006
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA – GRAZIA – POTERE –
CONFLITTO TRA PRESIDENTE E MINISTRO DELLA GIUSTIZIA
Con la sentenza n. 200 del 2006, la Corte
costituzionale ha risolto, in senso favorevole al ricorrente Presidente della
Repubblica, il conflitto di attribuzione, da questo proposto nei confronti del
Ministro della giustizia, in ordine alla possibilità che quest’ultimo,
richiesto dal Presidente della Repubblica di avviare o proseguire il
procedimento volto alla concessione della grazia in favore di Ovidio Bompressi,
opponesse un rifiuto. La Corte, dopo aver chiarito che l’unico legittimato
passivo nel conflitto proposto dal Presidente della Repubblica era il Ministro
della giustizia – competente, ratione materiae, ad effettuare l’istruttoria
sulla grazia, a predisporre il relativo decreto di concessione, a controfirmarlo
e a curarne l’esecuzione -, e dopo aver osservato che il conflitto concerne non
già la titolarità del potere di grazia, espressamente attribuita dalla
Costituzione al Presidente della Repubblica, ma le concrete modalità del suo
esercizio, ha preso in considerazione la finalità cui risponde l’esercizio del
potere di grazia, individuandola nell’attuazione dei valori costituzionali,
consacrati nell’art. 27, terzo comma, Cost., e nella garanzia del “senso di
umanità” cui devono ispirarsi tutte le pene. Una volta recuperato l’atto di
clemenza alla sua funzione di mitigare o elidere il trattamento sanzionatorio
per eccezionali ragioni umanitarie, la Corte ha poi ritenuto evidente la
necessità di riconoscere nell’esercizio di tale potere ” conformemente anche
alla lettera dell’art. 87, undicesimo comma, Cost. ” una potestà decisionale
del Capo dello Stato, quale organo super partes, “rappresentante dell’unità
nazionale”, estraneo a quello che viene definito il “circuito” dell’indirizzo
politico-governativo, e che in modo imparziale è chiamato ad apprezzare la
sussistenza in concreto dei presupposti umanitari che giustificano l’adozione
del provvedimento di clemenza. Una simile conclusione, ha osservato la Corte,
risponde anche all’ulteriore esigenza di evitare che nella valutazione dei
presupposti per l’adozione di un provvedimento avente efficacia “ablativa” di un
giudicato penale possano assumere rilievo le determinazioni di organi
appartenenti al potere esecutivo. Tali essendo i presupposti del potere di
grazia, la Corte ha quindi ritenuto che, qualora il Presidente della Repubblica
abbia sollecitato il compimento dell’attività istruttoria ovvero abbia assunto
direttamente l’iniziativa di concedere la grazia, il Guardasigilli, non potendo
rifiutarsi di dare corso all’istruttoria e di concluderla, determinando cosi’ un
arresto procedimentale, puo’ soltanto rendere note al Capo dello Stato le
ragioni di legittimità o di merito che, a suo parere, si oppongono alla
concessione del provvedimento, giacchè ammettere che il Ministro possa o
rifiutarsi di compiere la necessaria istruttoria o tenere comunque un
comportamento inerte, equivarrebbe ad affermare che egli disponga di un
inammissibile potere inibitorio, una sorta di potere di veto, in ordine alla
conclusione del procedimento volto all’adozione del decreto di concessione della
grazia voluto dal Capo dello Stato. Quest’ultimo, dal canto suo, nella delineata
ipotesi in cui il Ministro Guardasigilli gli abbia fatto pervenire le sue
motivate valutazioni contrarie all’adozione dell’atto di clemenza, ove non le
condivida, adotta direttamente il decreto concessorio, esternando nell’atto le
ragioni per le quali ritiene di dovere concedere ugualmente la grazia, malgrado
il dissenso espresso dal Ministro. In tale caso, la controfirma del decreto
concessorio, da parte del Ministro della giustizia, costituisce l’atto con il
quale il Ministro si limita ad attestare la completezza e la regolarità
dell’istruttoria e del procedimento seguito. Alla luce di tali considerazioni,
la Corte ha quindi annullato la nota del 24 novembre 2004, con la quale il
Ministro della giustizia, avendo il Presidente della Repubblica, con nota dell’8
novembre 2004, manifestato la propria determinazione di volere concedere il
provvedimento di clemenza, ha omesso di dar corso alla procedura per la
concessione della grazia ad Ovidio Bompressi.
CORTE COSTITUZIONALE, Sentenza n. 200 del
18/05/2006 (Presidente A. Marini – Relatore A. Quaranta)
Ritenuto in fatto
1.” Con ricorso del 10 giugno 2005 il Presidente della Repubblica, rappresentato
e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso conflitto di
attribuzione nei confronti del Ministro della giustizia “in relazione al
rifiuto, da questi opposto, di dare corso alla determinazione, da parte del
Presidente della Repubblica, di concedere la grazia ad Ovidio Bompressi”;
rifiuto risultante dalla nota del 24 novembre 2004 inviata dal medesimo Ministro
al Capo dello Stato.
1.1.” Il ricorrente ” sul presupposto di aver manifestato al Guardasigilli, con
nota dell’8 novembre 2004 (emessa dopo aver ricevuto ed esaminato la
documentazione sull’istruttoria relativa all’istanza di grazia presentata dal
Bompressi), la propria determinazione di concedere il richiesto provvedimento di
clemenza, invitandolo pertanto a predisporre il relativo decreto di concessione
della grazia, per la successiva emanazione ” si duole del fatto che il Ministro
gli abbia comunicato “di non poter aderire a questa richiesta” in quanto non
condivisibile “nè sotto il profilo costituzionale nè nel merito”, atteso che ”
a suo dire ” “la Costituzione vigente pone in capo al Ministro della giustizia
la responsabilità di formulare la proposta di grazia”.
Il Presidente della Repubblica assume, per contro, che il potere di grazia ”
riservato “espressamente e in via esclusiva al Capo dello Stato dall’art. 87
della Costituzione” ” “verrebbe posto nel nulla dalla mancata formulazione della
proposta da parte dello stesso Ministro”, proposta, oltretutto, che nè la
Costituzione nè la legge richiedono ai fini della concessione del beneficio de
quo. Ritiene, pertanto, il ricorrente che qualora egli pervenga, come nel caso
in esame, “alla determinazione di concedere la grazia ad un condannato, tanto la
predisposizione del relativo decreto, quanto la successiva controfirma
costituiscono, per il Ministro della giustizia, “atti dovuti””.
Su tali basi, pertanto, il ricorrente ha promosso conflitto ” ai sensi degli
artt. 37 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87 ” nei confronti del
Ministro Guardasigilli, “per violazione degli articoli 87 e 89 Cost.”.
1.2.” Indiscutibile ” secondo il ricorrente ” sarebbe l’ammissibilità del
conflitto sotto il profilo soggettivo, atteso che la qualificazione del
Presidente della Repubblica come potere dello Stato “è del tutto pacifica”,
come del resto la legittimazione del Ministro della giustizia “ad essere parte
in un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato”, e cio’ “in ragione del
ruolo istituzionale” che la Costituzione riserva al Guardasigilli (sono
richiamate, sul punto, le pronunce di questa Corte n. 380 del 2003, n. 216 del
1995, n. 379 del 1992). Cio’ premesso, il ricorrente assume ” sotto il profilo
oggettivo ” l’esistenza di una lesione delle attribuzioni che la Costituzione
conferisce al Capo dello Stato “nell’esercizio del potere di concessione della
grazia”.
1.3.” Nel merito, infatti, viene dedotta ” come sopra precisato ” la violazione
degli articoli 87 e 89 della Costituzione, atteso che il rifiuto del Ministro
“di formulare la proposta di grazia in favore di Ovidio Bompressi, ritenendola
presupposto indispensabile del relativo decreto di concessione”, si sostanzia de
facto nella rivendicazione del “potere di interdire con la sua decisione (o
addirittura con la sua inerzia) l’esercizio del potere presidenziale di
concessione della grazia”, e quindi nell’attribuzione “di un sostanziale potere
di codecisione che è, viceversa, assente nel vigente ordinamento
costituzionale”.
Diversi argomenti, difatti, “di ordine logico-giuridico, oltre che sistematico”,
concorrono a confermare la titolarità esclusiva di tale potere in capo al
Presidente della Repubblica, secondo quanto risulta già dalla lettera dell’art.
87 Cost.
1.3.1.” Rilevante in tal senso ” secondo il ricorrente ” è, in primis, la ratio
dell’istituto della grazia, è cioè la sua finalità “umanitaria ed equitativa”
(riconosciuta anche da questa Corte nella sentenza n. 134 del 1976 e
nell’ordinanza n. 388 del 1987) che è quella di “attenuare l’applicazione della
legge penale in tutte quelle ipotesi nelle quali essa viene a confliggere con il
più alto sentimento della giustizia sostanziale”.
Se è vero, difatti, che la grazia mira a soddisfare un’esigenza “correttivo-equitativa”
dei rigori della legge (oppure a fungere ” come pure emerge dalla relazione
governativa al progetto preliminare del codice di procedura penale del 1988, a
commento dell’art. 672 ” da “strumento di risocializzazione” del condannato,
“alla luce dei risultati del trattamento rieducativo” al quale egli sia stato
sottoposto), appare allora “naturale” ” assume il ricorrente ” tanto che la sua
concessione esuli del tutto “da valutazioni di natura politica”, quanto che
“l’esercizio di un potere di tale elevata e delicata portata venga riservato in
via esclusiva al Capo dello Stato, quale organo rappresentante dell’unità della
Nazione”, nonchè “garante super partes della Costituzione”, e dunque “unico
organo che offra la garanzia di un esercizio imparziale”.
In questo quadro, dunque, il Ministro della giustizia “è soltanto il Ministro
“competente” che collabora con il Capo dello Stato nelle varie fasi del
procedimento, contribuendo alla formazione della volontà presidenziale
nell’ambito delle sue specifiche attribuzioni”, destinate a sostanziarsi
esclusivamente in “contributi istruttori, valutativi ed esecutivi”, fermo
restando che, proprio in ragione del “ruolo prevalentemente e essenzialmente
istruttorio” spettante al Guardasigilli, in mancanza di accordo con il medesimo
“devono comunque prevalere le istanze di cui è portatore il Presidente della
Repubblica quale titolare del potere di grazia”.
1.3.2.” Il riconoscimento dell’esistenza di “poteri di natura sostanziale”
spettanti, in materia di grazia, al Ministro della giustizia non potrebbe,
d’altra parte, fondarsi sul disposto dell’art. 89 Cost., secondo cui “nessun
atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai
ministri proponenti, che se ne assumono la responsabilità”.
Tale norma, difatti, non legittima affatto ” per un verso ” la necessità che in
subiecta materia la determinazione presidenziale sia preceduta da una “proposta
ministeriale”, giacchè ” come chiarito in dottrina ” il riferimento in essa
contenuto all’espressione “ministri proponenti”, “in luogo della più corretta
“ministri competenti””, sarebbe da imputare ad un “uso improprio della
locuzione” (cio’ di cui si sarebbe mostrata consapevole ” a dire del ricorrente
” anche questa Corte, la quale nell’ordinanza n. 388 del 1987, “parafrasando il
dettato dell’art. 89 della Costituzione in relazione al provvedimento di grazia
ha fatto riferimento al “Ministro competente” anzichè al “Ministro
proponente””).
Priva di fondamento costituzionale, pertanto, si presenterebbe la pretesa del
Guardasigilli di essere “titolare esclusivo del potere di proposta”.
Nè, d’altra parte, la conclusione relativa ad una “compartecipazione” del
Ministro nella decisione presidenziale relativa alla concessione del
provvedimento di clemenza potrebbe trarre argomento dalla necessità della
controfirma del decreto di grazia.
Se è vero, difatti, che in relazione agli atti formalmente presidenziali ma
sostanzialmente governativi la controfirma “ha il significato di attestare la
effettiva paternità dell’atto e la conseguente assunzione di responsabilità
politica” da parte del Ministro (giacchè qui il Capo dello Stato “si limita ad
un mero controllo di legittimità, oltre che di provenienza” dell’atto), le
posizioni dei due organi costituzionali appaiono, invece, “invertite con
riguardo agli atti formalmente e sostanzialmente presidenziali”, tra i quali
rientra la concessione della grazia. Ricorrendo tale evenienza, invero, “la
controfirma ministeriale si presenta come atto dovuto, in quanto ha funzione,
per cosi’ dire, notarile”, e cioè “di mera attestazione di provenienza
dell’atto da parte del Capo dello Stato, oltre che di controllo della sua
regolarità formale”.
1.3.3.” Nè, poi, la necessità che la concessione della grazia consegua ad una
“collaborazione” tra Presidente della Repubblica e Ministro Guardasigilli
potrebbe essere giustificata in ragione dell’esistenza di una consuetudine
costituzionale in tal senso.
Rileva in proposito il ricorrente come, innanzitutto, una consuetudine siffatta
abbia assunto nel tempo “forme e modalità diverse”, collegate all’evoluzione
conosciuta dalle norme del cosiddetto “ordinamento penitenziario”; di talchè la
progressiva individuazione di “nuovi percorsi di risocializzazione dei
condannati” (in special modo attraverso “l’applicazione di misure alternative
alla detenzione, ad opera della magistratura”), nel restituire alla grazia la
sua funzione prettamente “equitativo-umanitaria”, ha comportato che l’istituto
“perdesse le finalità di politica penitenziaria che l’avevano a volte in
precedenza pervaso” e che avevano giustificato l’affermarsi della descritta
consuetudine di “collaborazione” tra i menzionati organi dello Stato.
Sempre sul piano delle relazioni “consuetudinarie” intercorrenti, nella materia
de qua, tra il Capo dello Stato e il Ministro della giustizia, rileva il
ricorrente come non sia senza significato l’esaurimento di quella prassi seguita
dal Ministro, nel caso in cui ritenesse insussistenti i presupposti per la
concessione del provvedimento di clemenza, di “”archiviare” la relativa pratica,
senza neppure informare il Capo dello Stato”. All’esito, infatti, dell’invio
della nota del 15 ottobre 2003 ” con la quale il Presidente della Repubblica ha
chiesto “di essere informato della conclusione di tutte le istruttorie relative
ad istanze di grazia, ai fini delle sue decisioni” (nota alla quale il Ministro
“ha immediatamente aderito”, come da sua comunicazione del successivo 17
ottobre) ” deve ritenersi venuta meno quella prassi in passato invalsa che
“finiva per attribuire in qualche misura al Ministro della giustizia dei poteri
di decisione sostanziale in materia”.
1.3.4.” La “natura esclusivamente presidenziale del potere di concedere la
grazia” sarebbe, infine, desumibile ” secondo il ricorrente ” dalla stessa
gi