Messaggio del Presidente della Repubblica Aula della Camera dei Deputati – 15 maggio 2006
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Signor Presidente,
onorevoli deputati,
onorevoli senatori,
signori
rappresentanti delle Regioni d’Italia,
è con profonda
emozione che mi rivolgo a voi in quest’Aula nella quale ho speso tanta parte del
mio impegno pubblico, apprendendo dal vivo il senso e il valore delle
istituzioni rappresentative, supremo fondamento della democrazia repubblicana.
Sono le assemblee elettive, è innanzitutto il Parlamento, il luogo del
confronto sui problemi del paese, della dialettica delle idee e delle proposte,
della ricerca delle soluzioni più valide e condivise.
La nuova legislatura
si è aperta nel segno di un forte travaglio, a conclusione di un’aspra
competizione elettorale, dalla quale gli opposti schieramenti politici sono
emersi entrambi largamente rappresentativi del corpo elettorale. L’assunzione
delle responsabilità di governo da parte dello schieramento che è sia pur
lievemente prevalso rappresenta l’espressione naturale del principio
maggioritario che l’Italia ha assunto da quasi un quindicennio come regolatore
di una democrazia dell’alternanza realmente operante.
Ma in tali
condizioni più chiara appare l’esigenza di una seria riflessione sul modo di
intendere e coltivare in un sistema politico bipolare i rapporti tra maggioranza
e opposizione. Non si tratta di tornare indietro rispetto all’evoluzione che la
democrazia italiana ha conosciuto grazie allo stimolo e al contributo di forze
di diverso orientamento.
Ma il fatto che si
sia instaurato un clima di pura contrapposizione e di incomunicabilità, a
scapito della ricerca di possibili terreni di impegno comune, deve considerarsi
segno di un’ancora insufficiente maturazione nel nostro paese del modello di
rapporti politici e istituzionali già consolidatosi nelle altre democrazie
occidentali.
Ebbene, è venuto il
tempo della maturità per la democrazia dell’alternanza anche in Italia. Il
reciproco riconoscimento, rispetto ed ascolto tra gli opposti schieramenti, il
confrontarsi con dignità in Parlamento e nelle altre assemblee elettive,
l’individuare i temi di necessaria e possibile limpida convergenza
nell’interesse generale, possono non già mettere in forse ma, al contrario,
rafforzare in modo decisivo il nuovo corso della vita politica e istituzionale
avviatosi con la riforma del 1993 e le elezioni del 1994. Cio’ potrà avvenire
solo ad opera delle forze politiche organizzate e delle loro rappresentanze
nelle istituzioni rappresentative, sorrette dalla consapevolezza e dal dinamismo
della società civile.
A chi vi parla,
chiamato a rappresentare l’unità nazionale, spetta semplicemente trasmettere
oggi un messaggio di fiducia, in risposta al bisogno di serenità e di
equilibrio fattosi cosi’ acuto e diffuso tra gli italiani. Sono convinto che la
politica possa recuperare il suo posto fondamentale e insostituibile nella vita
del paese e nella coscienza dei cittadini. Puo’ riuscirvi quanto più rifugga da
esasperazioni e immeschinimenti che ne indeboliscono fatalmente la forza di
attrazione e persuasione, e quanto più esprima moralità e cultura,
arricchendosi di nuove motivazioni ideali.
Tra esse, quella del
costruire basi comuni di memoria e identità condivisa, come fattore vitale di
continuità nel fisiologico succedersi di diverse alleanze politiche nel governo
del paese. Ma non si puo’ dare memoria e identità condivisa, se non si
ripercorre e si ricompone in spirito di verità la storia della nostra
Repubblica nata sessanta anni fa come culmine della tormentata esperienza dello
Stato unitario e, prima ancora, del processo risorgimentale.
Ci si puo’ – io
credo – ormai ritrovare, superando vecchie laceranti divisioni, nel
riconoscimento del significato e del decisivo apporto della Resistenza, pur
senza ignorare zone d’ombra, eccessi e aberrazioni. Ci si puo’ ritrovare – senza
riaprire le ferite del passato – nel rispetto di tutte le vittime e nell’omaggio
non rituale alla liberazione dal nazifascismo come riconquista dell’indipendenza
e della dignità della patria italiana. Memoria condivisa, come premessa di una
comune identità nazionale, che abbia il suo fondamento nei valori della
Costituzione. Il richiamo a quei valori trae forza dalla loro vitalità, che
resiste, intatta, ad ogni controversia. Parlo – ed è giusto farlo anche nel
celebrare il sessantesimo anniversario dell’elezione dell’Assemblea Costituente
– di quei "principi fondamentali" che scolpirono nei primi articoli della Carta
Costituzionale il volto della Repubblica. Principi, valori, indirizzi che
scritti ieri sono aperti a raccogliere oggi nuove realtà e nuove istanze.
Cosi’, il valore del
lavoro, come base della Repubblica democratica, chiama più che mai al
riconoscimento concreto del diritto al lavoro, ancora lontano dal realizzarsi
per tutti, e alla tutela del lavoro "in tutte le sue forme e applicazioni", e
dunque anche nelle forme ora esposte alla precarietà e alla mancanza di
garanzie. I diritti inviolabili dell’uomo e il principio di uguaglianza, "senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione", si integrano e
completano nella Carta europea, aperta ai nuovi diritti civili e sociali. Essi
non possono non riconoscersi a uomini e donne che entrano a far parte, da
immigrati, della nostra comunità nazionale contribuendo alla sua prosperità.
Il valore della centralità della persona umana viene a misurarsi con le nuove
frontiere della bioetica.
L’unità e
indivisibilità della Repubblica si è via via intrecciata col più ampio
riconoscimento dell’autonomia e del ruolo dei poteri regionali e locali. Si
rivela lungimirante come fattore di ricchezza e apertura della nostra comunità
nazionale la tutela delle minoranze linguistiche. Essenziale appare tuttora il
laico disegno dei rapporti tra Stato e Chiesa, concepiti come, ciascuno nel
proprio ordine, indipendenti e sovrani.
La libertà e il
pluralismo delle confessioni religiose sono state via via sancite, e ancora
dovranno esserlo, attraverso intese promosse dallo Stato. Presentano poi una
pregnanza ed urgenza senza precedenti, tanto lo sviluppo della cultura e della
ricerca scientifica e tecnica, quanto la tutela del paesaggio e del patrimonio
storico e artistico della Nazione. Infine, i valori, tra loro inscindibili, del
ripudio della guerra e della corresponsabilità internazionale per assicurare la
pace e la giustizia nel mondo, si confrontano con nuove, complesse e dure prove.
Ebbene – Signor Presidente, onorevoli parlamentari, signori delegati regionali –
chi puo’ mettere in dubbio la straordinaria sapienza, e rispondenza al bene
comune, dei principi e valori costituzionali che ho voluto puntualmente
ripercorrere? In questo senso, è giusto parlare di unità costituzionale come
sostrato dell’unità nazionale.
Un risoluto
ancoraggio ai lineamenti essenziali della Costituzione del 1948 non puo’ essere
scambiato per puro conservatorismo. I costituenti si pronunciarono a tutte
lettere per una Costituzione "destinata a durare", per una Costituzione rigida
ma non immutabile, e definirono le procedure e garanzie per la sua revisione.
Nei progetti volti a rivedere la seconda parte della Costituzione che si sono
via via succeduti, non sono stati mai messi in questione i suoi principi
fondamentali.
Ma già
nell’Assemblea Costituente si espresse – nello scegliere il modello della
Repubblica parlamentare – la preoccupazione di "tutelare le esigenze di
stabilità dell’azione di governo e di evitare le degenerazioni del
parlamentarismo". Quella questione rimase aperta e altre ne sono insorte in anni
più recenti, anche sotto il profilo del ruolo dell’opposizione e del sistema
delle garanzie, in rapporto ai mutamenti intervenuti nella legislazione
elettorale.
La legge di
revisione costituzionale approvata dal Parlamento mesi or sono è ora affidata
al giudizio conclusivo del popolo sovrano ; si dovrà comunque verificare poi la
possibilità di nuove proposte di riforma capaci di raccogliere il necessario
largo consenso in Parlamento. Esprimo il più sentito e convinto omaggio al mio
predecessore Carlo Azeglio Ciampi per l’esemplare svolgimento del suo mandato, e
in special modo per l’impulso a una più forte affermazione dell’identità
nazionale italiana e di un rinnovato sentimento patriottico.
Nello stesso tempo,
nessun ripiegamento entro confini e orizzonti anacronistici. Come già si disse,
precorrendo i tempi, all’Assemblea Costituente, l’Europa è per noi italiani una
seconda patria. Lo è diventata sempre di più nei quasi cinquant’anni che ci
separano da quei Trattati di Roma che portano la firma, per l’Italia, di Antonio
Segni e di Gaetano Martino : e il cammino dell’integrazione e costruzione
europea comincio’ ancor prima, ispirato dalle profetiche intuizioni di Benedetto
Croce e di Luigi Einaudi, guidato dall’incontro tra i diversissimi apporti di
personalità come Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli, lo statista lungimirante
e il paladino del movimento federalista, entrambi nè meschinamente realisti nè
astrattamente utopisti. La crisi che da un anno ha investito l’Unione europea
non puo’ in alcun modo oscurare il cammino compiuto e far liquidare il grande
progetto della costruzione comunitaria come riflesso di una fase storica, quella
del continente diviso in due blocchi contrapposti, conclusasi nel 1989.
In effetti non solo
si è portata a compimento la più grande impresa di pace del secolo scorso nel
cuore dell’Europa, non solo si è realizzato uno straordinario e duraturo
avanzamento economico e sociale, civile e culturale nei paesi che si sono via
via associati al progetto, ma si sono poste le radici di un irreversibile moto
di avvicinamento e integrazione tra i popoli, le realtà produttive, i sistemi
monetari, le culture, le società, i cittadini, i giovani delle nazioni europee.
Non potranno
arrestare questo processo le difficoltà pur gravi incontrate dall’iter di
ratifica del Trattato costituzionale : l’Italia – dopo che il suo governo e il
suo Parlamento hanno tra i primi provveduto alla ratifica di quel Trattato – è
fortemente interessata e impegnata a creare le condizioni per l’entrata in
vigore di un testo di autentica rilevanza costituzionale.
Ci inducono a
riflettere ma non potranno fermarci i fenomeni di disincanto e di incertezza
indotti nelle opinioni pubbliche da un serio rallentamento della crescita
dell’economia e del benessere, da un palese affanno nel far fronte sia alle
sfide della competizione globale e del cambiamento di pesi e di equilibri nella
realtà mondiale, sia alle stesse prove dell’allargamento dell’Unione. Di certo
non esiste dinanzi a queste sfide alcuna alternativa al rilancio della
costruzione europea.
L’Italia solo come
parte attiva della costruzione di un più forte e dinamico soggetto europeo, e
l’Europa solo attraverso l’unione delle sue forze e il potenziamento della sua
capacità d’azione, potranno giuocare un ruolo effettivo, autonomo, peculiare
nell’affermazione di un nuovo ordine internazionale di pace e di giustizia. Un
ordine di pace nel quale possa espandersi la democrazia e prevalere la causa dei
diritti umani, e insieme assicurarsi un governo dello sviluppo che contribuisca
a scongiurare tensioni e rischi di guerra, e ponga un argine all’intollerabile,
allarmante aggravarsi delle disuguaglianze a danno dei paesi più poveri, dei
popoli colpiti da ogni flagello come quelli del continente africano.
La strada maestra
per l’Italia resta dunque quella dell’impegno europeistico, come il Presidente
Ciampi ha in questi anni appassionatamente indicato. E in cio’ egli ha
incontrato, io credo, il sentire profondo ormai maturato soprattutto nelle
nostre giovani generazioni, il cui animo italiano fa tutt’uno con l’animo
europeo, e che non vedono avvenire se non nell’Europa. La priorità dell’impegno
europeistico nulla toglie alla profondità dell’adesione dell’Italia a una
visione dei rapporti transatlantici, dei suoi storici legami con gli Stati Uniti
d’America e delle relazioni tra Europa e Stati Uniti, come cardine di una
strategia di alleanze, nella libera ricerca di approcci comuni ai problemi più
controversi e nella pari dignità.
E’ in tale contesto
che va affrontata senza esitazioni e ambiguità la minaccia cosi’ dura,
inquietante e per tanti aspetti nuova, del terrorismo di matrice fondamentalista
islamica, senza mai offrire a questo insidioso nemico il vantaggio di una nostra
qualsiasi concessione alla logica dello scontro di civiltà, di una nostra
rinuncia al principio e al metodo del dialogo tra storie, culture e religioni
diverse. Non è illusorio pensare che questa cornice degli orientamenti di
politica internazionale dell’Italia possa essere condivisa dagli opposti
schieramenti politici.
Entro questa cornice
spetta al governo e al Parlamento indicare iniziative atte a contribuire al
dialogo e al negoziato tra Israele e l’Autorita