Provenzano in isolamento nel carcere di Terni
Palermo, 12 apr.
(Adnkronos/Ign) – Bernardo Provenzano è stato trasferito nella notte da
Palermo, dove ieri, dopo essere stato catturato dalla polizia, era stato
rinchiuso nel carcere dell’Ucciardone, alla prigione di massima
sicurezza di Vocabolo Sabbione a Terni, dove ora si trova
in stato di isolamento.
Predisposto dalla Questura di Terni un piano di sicurezza straordinario in
accordo con i dirigenti della struttura carceraria che prevede al suo interno
una sezione per detenuti sottoposti al cosiddetto 41 bis (carcere duro).
E non sono passate neanche 24 ore dal suo arresto che tre fiancheggiatori
del boss vengono arrestati. Si tratta di postini che
recapitavano al capo di Cosa Nostra i messaggi che arrivavano da tutta la
Sicilia. I tre fedelissimi, due pastori e un rappresentante di aspirapolveri,
sono tutti corleonesi, ed erano già stati notati nei giorni in cui il covo era
tenuto sotto osservazione. Calogero e Giuseppe Lo Bue (padre e figlio) e
Bernardo Riina, questi i loro nomi.
Le manette per i fiancheggiatori della primula rossa di Corleone sono scattate
nella notte su ordine dei magistrati della Dda di Palermo che hanno coordinato
tutta l’indagine. I pm sono Marzia Sabella e Michele Prestipino. Il procuratore
aggiunto è Giuseppe Pignatone.
Uno dei tre postini, Giuseppe Lo Bue, il 36enne rappresentante di
aspirapolveri, è un nipote acquisito del superboss. E’ infatti sposato con la
figlia di Carmelo Gariffo: un matrimonio che ne suggella la parentela ed era il
primo nella particolare staffetta dei pizzini (i bigliettini usati da
Provenzano per comunicare ordini ai suoi affiliati). Lui andava infatti a
trovare la zia, Saveria Palazzolo (moglie di Provenzano ndr), che gli
consegnava i pacchi con biancheria per il boss. L’ultimo passaggio, quella
della consegna era effettuato dal 70enne Bernardo Riina, sul quale c’erano già
indagini aperte dal 2001 quando il suo nome venne trovato in alcuni ‘pizzini’
sequestrati nell’ambito dell’indagine che ha portato all’arresto il boss
Benedetto Spera nelle campagne di Mezzoiuso.
Sono stati proprio i movimenti continui di Giuseppe Lo Bue ad incastrare
Provenzano. Il paese di Corleone, infatti, per circa tre mesi si è trasformato
come un ‘grande fratello’. E’ stato monitorato notte e giorno attraverso decine
di cimici e telecamere registrando il via e vai di Lo Bue.
Intanto, una squadra di 6 super esperti dell’Ert
(Esperti ricerca tracce) della Polizia Scientifica della Direzione centrale
anticrimine sono arrivati in nottata da Roma per proseguire i rilievi nel covo
corleonese dove il capo di Cosa Nostra si trovava, secondo gli inquirenti, da
tempo ”in un periodo che va dalla fine del 2004 all’inizio del 2005”. Qui
sono stati rinvenuti 200 pizzini. Circa 15 sono
quelli relativi alle comunicazioni familiari dove il boss chiedeva, tra
l’altro, alla famiglia di mandargli la pasta al forno. Gli altri pizzini,
invece, sono quelli ritenuti importanti dal punto di vista investigativo.
Ricomponendoli e decriptandoli si otterrebbero informazioni preziose sugli
affari gestiti dal ‘mammasantissimà. Nei bigliettini infatti sarebbero
presenti indicazioni su gestione appalti e introiti di natura estorsiva