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Concorso del fatto colposo del creditore e apparenza del diritto – CASSAZIONE CIVILE, Sezione III, Sentenza n. 5677 del 15/03/2006

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OBBLIGAZIONI ” CONCORSO DEL FATTO COLPOSO DEL
CREDITORE ” APPARENZA DEL DIRITTO

Affrontando il ricorso di un’azienda danneggiata
dal mancato rispetto, da parte di una banca, del disposto dell’art. 43 della
legge sugli assegni sul pagamento dell’assegno con clausola di non
trasferibilità, in una situazione nella quale la banca era solita consentire a
un agente senza rappresentanza della società danneggiata di depositare sul
proprio conto correnti assegni non trasferibili intestati alla società stessa,
la Corte ha affermato un interessante principio in tema di teoria generale delle
obbligazioni. Il concorso del fatto colposo del creditore ai sensi dell’art.
1227, primo comma, cod. civ. nella causazione di un illecito, contrattuale od
extracontrattuale, non puo’ consistere ” si legge nella sentenza della Suprema
Corte ” nell’avere determinato costui nel danneggiante la percezione di una
situazione di apparenza del diritto, che avrebbe giocato rilievo concausale
nella causazione dell’illecito, giacchè, postulando il rilievo della creazione
della situazione di apparenza la determinazione di una situazione riconducibile
al generale principio dell’affidamento incolpevole ” ed essendo, quindi,
presupposto per la sua configurabilità che il soggetto, il quale versi in una
situazione nella quale fa leva sull’affidamento indotto dall’apparenza, non sia
in colpa, per l’evidente incompatibilità logica che altrimenti vi sarebbe con
la posizione soggettiva di affidamento, che per definizione dev’essere di
incolpevolezza “, non è concepibile che la determinazione della situazione di
apparenza possa assumere la funzione di concausa rispetto all’inadempimento (o
al ritardo nell’adempimento) del debitore o al fatto ingiusto ex art. 2043 cod.
civ., assistiti a loro volta dall’elemento soggettivo e, quindi, almeno dalla
colpa.

 


CASSAZIONE
CIVILE, Sezione III, Sentenza n. 5677 del 15/03/2006

(
Presidente V. Duva, Relatore R. Frasca)


 



SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con atto
di citazione notificato l’11 ottobre 1995 la s.p.a. S.P.E. – Società
Pubblicità Editoriale conveniva avanti al Tribunale di Milano la s.p.a. Credito
Italiano, il Monte dei Paschi di Siena e la s.p.a. Poiatti esponendo: di avere
effettuato, su richiesta della Poiatti, inserzioni pubblicitarie per lire
62.221.428; di averne richiesto il pagamento apprendendo che nel maggio 1994 la
Poiatti aveva consegnato in pagamento due assegni intestati ad essa attrice e
non trasferibili, tratti sul Monte dei Paschi di Siena, a Claudio S., suo agente
senza rappresentanza, che li aveva incassati presso il Credito Italiano,
nonostante la presenza della clausola di intrasferibilità ed ancorchè lo S.
non avesse titolo per l’incasso.

Tanto
premesso in fatto, l’attrice adduceva che nei comportamenti dei convenuti era
ravvisabile un illecito e chiedeva la condanna del Credito Italiano e del Monte
dei Paschi in solido al pagamento della somma recata dagli assegni, oltre gli
interessi legali, nonchè subordinatamente la condanna della Poiatti alla
ripetizione del pagamento di detta somma, oltre interessi.

Le convenute
si costituivano contestando l’avversa domanda e la Poiatti svolgeva anche
domanda risarcitoria nei confronti delle due banche. Il Credito Italiano,
opportunamente autorizzato, chiamava in causa in manleva lo S., che rimaneva
contumace.

L’adito
Tribunale con sentenza del 26 luglio 1999 condannava il Credito Italiano a
pagare la somma richiesta all’attrice con gli accessori, mentre rigettava la
domanda risarcitoria della Poiatti, poneva le spese sopportate da tutte le parti
costituite a carico del Credito Italiano, e condannava lo S. a rifondere a detto
istituto tutto quanto esso avrebbe dovuto pagare per capitale, interessi e
spese.

Contro la
sentenza proponeva appello la s.p.a. Unicredito Italiano, già Credito Italiano
s.p.a., chiedendone in principalità l’integrale riforma ed in subordine la
riforma parziale, il rigetto di ogni avversa pretesa e la condanna della S.P.E.,
del Monte dei Paschi e della Poiatti alla restituzione di quanto pagato in forza
della provvisoria esecuzione della sentenza stessa, oltre, occorrendo, la
conferma della statuizione emessa nei confronti dello S.. Nel giudizio si
costituivano la s.p.a. S.P.E., la s.p.a. Poiatti ed il Monte dei Paschi di
Siena, resistendo al gravame. Il Monte dei Paschi proponeva anche appello
incidentale subordinato all’accoglimento dell’appello principale in punto di
spese. Lo S. restava contumace.

Con sentenza
del 9 marzo 2001 la Corte d’Appello di Milano, in parziale accoglimento
dell’appello principale riduceva la condanna dell’Unicredito alla metà della
somma capitale oggetto dei due assegni, oltre interessi per come liquidati dal
primo giudice. Compensava, inoltre, le spese dei due gradi tra l’Unicredito e la

S.P.E.
Inoltre, condannava l’Unicredito e la S.P.E. al rimborso, nella misura del
cinquanta per cento ciascuno, all’appellata Poiatti e al Monte dei Paschi di
Siena, delle spese del giudizio di primo grado, condannava la S.P.E. alla
restituzione all’Unicredito della maggior somma percepita per effetto della
esecutività della sentenza impugnata e condannava infine la Poiatti ed il Monte
dei Paschi alla restituzione alla Unicredito della maggior somma percepita per
effetto di quella esecutività.

2. La
sentenza, per quanto ancora in questa sede interessa si fonda sulle seguenti
ragioni: i due assegni, emessi con clausola di non trasferibilità dalla Poiatti
all’ordine della S.P.E., sul cui illegittimo incasso si fondava l’azione
proposta dalla S.P.E. – da ritenersi di natura extracontrattuale nei confronti
delle due banche e contrattuale verso la Poiatti – recavano oltre al timbro per
il pagamento in stanza di compensazione una sola girata per l’incasso con timbro
"Società Pubblicità Editoriale s.p.a." e una sottoscrizione "Claudio S.", che
risultava sostanzialmente uguale a quella apposta sulle quietanze rilasciate
sulle fatture prodotte dalla Poiatti; risultava allegato dalla Poiatti ed
incontestato dalla S.P.E. che la Poiatti, nel corso del pluriennale rapporto
corrente dal 1992 aveva pagato i corrispettivi dovuti mediante la materiale
consegna allo S. di assegni tratti a favore della S.P.E. senza che quest’ultima
si fosse mia lamentata di tale modalità di pagamento prima della vicenda
oggetto di lite, onde la Poiatti aveva legittimamene ritenuto che lo S. fosse
delegato a ricevere i pagamenti; la Unicredito aveva prodotto fotocopie di otto
assegni bancari tratti dallo S. su se stesso e, quindi, girati alla S.P.E. e
dalla stessa incassati, nonchè di tre assegni emessi direttamente dallo S. a
favore della S.P.E. e pure da quest’ultima incassati, nel periodo dal maggio
1993 fino al luglio 1994, ed infine di altri tredici assegni, molti dei quali
non trasferibili, di vari traenti e tutti all’ordine della S.P.E., recanti
girata per l’incasso sottoscritta dallo S. sotto un timbro riferito alla S.P.E.;
tanto documentava, senza che occorresse l’assunzione delle prove dedotte dalla
Unicredito, che, pertanto dovevano ritenersi irrilevanti, la verità della sua
affermazione che lo S. incassava in proprio gli assegni dei clienti e ne
trasferiva poi con proprio assegno il controvalore alla S.P.E.; tale sistema non
poteva essere ignoto alla S.P.E., perchè di fatto accettava di ricevere, a
pagamento dei debiti dei clienti, assegni – anche cumulativi dell’importo di
varie fatture – emessi dal suo agente, con cio’ implicitamente accettando anche
che gli assegni emessi dai clienti fossero incassati dallo S., non potendosi
supporre che i clienti pagassero importi di vari milioni in contanti e nemmeno
che pagassero con assegni emessi al portatore o privi di beneficiario, essendo
nozione comune nella prassi commerciale l’indicazione del prenditore; da tanto
si evinceva che, se anche la S.P.E. non aveva autorizzato il suo agente ad
incassare a nome della società, tuttavia di fatto aveva tollerato una prassi
che, necessariamente implicava che il medesimo incassasse in sua vece gli
assegni consegnatigli dai clienti; tale tolleranza, non avendo la S.P.E. nemmeno
allegato di avere chiesto chiarimenti al suo agente o alla banca, aveva
"sostanzialmente creato una apparenza" che, se assolveva totalmente la Poiatti,
riguardo alla Unicredito doveva essere valutata in termini di concorso causale
ex art. 1227 cod. civ. nella verificazione del danno di cui la S.P.E.
chiedeva il ristoro; sussisteva, infatti, una colpa della S.P.E. "per aver
permesso l’instaurarsi di una prassi contraria agli effettivi poteri da lei
formalmente attribuiti all’agente, e quindi contraria alla correttezza e buona
fede che deve presiedere i rapporti commerciali"; tale prassi rilevava anche nei
confronti dell’Unicredito, pur non avendo la S.P.E. "intrattenuto alcun rapporto
negoziale diretto", poichè "nella sua sfera giuridico tale apparenza aveva
avuto concreti riflessi"; pur essendo stata "la violazione, da parte dell’Unicredito,
delle espresse norme che disciplinano l’attività bancaria ed in particolare il
pagamento degli assegni non trasferibili […] causa prima della distrazione
compiuta dallo S." e pur non valendo la tolleranza della S.P.E. a scagionare la
banca, perchè essa "avrebbe dovuto comunque controllare la sussistenza dei
poteri di S. e pretenderne la formalizzazione", tale "comportamento colposo
della banca [era] stato agevolato proprio dall’apparenza che la S.P.E. aveva
anch’essa colposamente – creato non reagendo, ed anzi positivamente accettando,
la prassi irregolare che S. aveva impostato"; l’incidenza eziologia delle due
condotte colpose doveva essere valutata di pari grado, onde la condanna
risarcitoria dell’Unicredito andava ridotta della metà.

3. Contro la
sentenza ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi la S.P.E. nei
confronti della Unicredito, del Monte dei Paschi e della Poiatti s.p.a.

Ha resistito
con controricorso soltanto la Unicredito, che ha notificato l’atto anche a
Claudio S.

La
ricorrente, nell’imminenza dell’udienza del 10 maggio 2005, nella quale era
stata fissata la trattazione del ricorso, ha depositato memoria ai sensi
dell’art. 378 cod. proc. civ., indicando questa volta come controparte non
costituita Claudio S..

La Corte, con
ordinanza pronunciata in detta udienza, in applicazione dell’art. 331 cod. proc.
civ., ordinava alle parti di provvedere all’integrazione del contraddittorio nei
confronti dello S., concedendo termine ai sensi dell’art. 371-bis cod. proc.
civ.

La società
ricorrente provvedeva alla disposta integrazione del contraddittorio e veniva,
quindi, fissata la nuova udienza di trattazione.




MOTIVI DELLA DECISIONE

1.
Preliminarmente va rilevato, a giustificazione della disposta integrazione del
contraddittorio, che vi era un problema di integrità del contraddittorio, in
quanto il ricorso non era stato notificato dalla ricorrente a Claudio S., nei
riguardi del quale è oggetto del giudizio una causa di garanzia introdotta dal
Credito Italiano (ora Unicredito), la quale, in dipendenza degli esiti delle
fasi di merito del giudizio stesso, assume carattere di causa dipendente da
quella principale introdotta dalla s.p.a. Società Pubblicità Editoriale nei
confronti della Unicredito. Infatti: nel giudizio di primo grado la domanda di
garanzia del Credito italiano venne accolta con la statuizione dell’obbligo
dello S. di rifondere a detto istituto tutto quanto esso avrebbe dovuto pagare
per capitale, interessi e spese; nel giudizio di appello la condanna pronunciata
in primo grado a favore della S.P.E. è stata parzialmente riformata fino alla
metà dell’ammontare della condanna disposta in primo grado e, quindi
l’obbligazione indennitaria dello S. (correttamente chiamato nel giudizio di
appello) statuita in primo grado è risultata corrispondentemente
ridimensionata; con il ricorso introduttivo del presente giudizio la S.P.E.
postula la cassazione della sentenza d’appello proprio nel punto in cui la
condanna dell’istituto bancario è stata ridimensionata e, quindi, poichè
dall’accoglimento del ricorso per cassazione resterebbe inciso il
ridimensionamento che la riconosciuta manleva a carico dello S. ha subito in
appello, la causa di garanzia fra l’istituto ed il medesimo ha natura dipendente
ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ. e, quindi, inscindibile, rispetto alla
causa principale oggetto del ricorso per cassazione, con la conseguenza che
quest’ultimo avrebbe dovuto notificarsi allo S.; è vero che a costui era stato
notificato il controricorso dall’isti

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