Il mago che vende pozioni magiche risponde di truffa ma non di esercizio abusivo della professione medica – CASSAZIONE PENALE, Sezione II, Sentenza n. 1862 del 18/01/2006
Chi vendere
pozioni spacciandole per miracolose non puo’ essere condannato per esercizio
abusivo della professione medica, in quanto le bevande "magiche" non sono
medicine, ferma restando la possibilità di una condanna per truffa.
Il mago che
vende pozioni "magiche" non pone in essere alcun comportamento di esclusiva
pertinenza del medico, in quanto "la professione medica per le sue
caratteristiche di scientificità è praticabile e controllabile da qualunque
soggetto munito di idoneo titolo professionale e non è riservata, per presunte
doti personali metafisiche e metascientifiche, a soggetti che pretendono di
possedere ed usare poteri superiori alla norma per il conseguimento di benessere
fisico"; naturalmente, qualora i seguaci di Harry Potter utilizzino artifici e
raggiri per trarre indebiti guadagni risponderanno del reato di truffa.
CASSAZIONE PENALE, Sezione
II, Sentenza n. 1862 del 18/01/2006
(Presidente:
D. Nardi; Relatore: F. Pagano)
L. F. e Z. F.
ricorrono avverso la sentenza sopra indicata che ha accertato la loro
responsabilità in ordine al delitto continuato di concorso in truffa aggravata
ed esercizio abusivo della professione medica(artt. 81, 110, 61 n.7, 640 c. 2 n.
2, 348 cod. pen.).
L. è stato
condannato alla pena di anni 1 e mesi 2 di reclusione ed Euro 350 di multa.
I giudici di
merito hanno accertato che il L., svolgeva attività di mago guaritore con
somministrazione di sostanze per guarigioni da presunte malattie, e lo Z.
effettuando attività di suo aiutante ed assistente, si sono fatte consegnare
varie somme da più persone che si sono loro rivolte.
L. deduce la
violazione dell’art. 550 cod. proc. pen. per nullità del decreto di citazione
emesso direttamente dal PM e non anche con la procedura di cui all’art. 416 e
segg. cod. proc. pen., essendo il reato addebitato punito con pena edittale
superiore nel massimo a 4 anni di reclusione.
Rileva che
decreto di citazione è stato notificato ad esso pervenuto dopo l’entrata in
vigore della legge 16/12/99 n. 479, nulla rilevando che fosse stato emesso prima
di detta data.
Con altro
motivo deduce l’insussistenza del delitto di truffa non essendovi stata
coercizione o inganno in quanto le persone coinvolte hanno scelto liberamente di
affidarsi a prestazioni ipoteticamente soprannaturali consapevoli dell’effetto
aleatorio o meramente placebo della prestazione liberamente richiesta senza
indurre alcuno in errore.
Rileva che la
fattispecie potrebbe essere compresa nella previsione normativa di cui all’art.
661 cod. pen. che sanzione con pena contravvenzionale l’abuso della credulità
popolare.
Eccepisce
inoltre l’insussistenza del reato di esercizio abusivo della professione medica
in quanto l’attività di mago guaritore è tipica ed è effettuata senza
somministrazione di medicinali in quanto la condotta è consistita in presunti
sortilegi e suggestioni di carattere metafisico senza esercizio di attività
medica.
Deduce che
nella fattispecie difetta l’elemento materiale del reato non avendo l’attività
dell’agente avuto rilevanza esterna e non essendosi esplicata in attività
riferibili alla professione medica.
Lamenta il
difetto di motivazione in ordine alla colpevolezza e la grave entità della
sanzione non proporzionata al mutamento di vita di esso ricorrente ed al suo
compiuto recupero sociale.
Rileva che il
giudice di merito doveva considerare l’eventuale continuazione con altra
sentenza richiamata da un provvedimento di cumulo di pene presente negli atti
del procedimento.
Z. deduce la
violazione dell’art. 640 cod. pen. rilevando che il suo accertato ruolo
marginale esclude il delitto, essendo il L. l’unico interlocutore con le persone
che si rivolgevano a lui e lo retribuivano direttamente.
Il ricorso
relativo alle formalità della citazione a giudizio è infondato in quanto detta
citazione è stata disposta con decreto del 21/12/98, precedentemente
all’entrata in vigore della legge 16/12/99 n. 479.
Nella
fattispecie, come già statuito da questa Corte di legittimità, in assenza di
specifica disciplina transitoria, trova applicazione il principio tempus regit
actum con la conseguenza che deve aversi riguardo al momento in cui è stato
emesso il decreto di citazione diretta a giudizio, il quale, in quanto
legittimamente formato secondo la previdente disciplina e nel periodo in cui
essa era applicabile, ha già prodotto l’effetto della vocativo in ius, con il
conseguente valido ed irreversibile trapasso alla fase ulteriore del
dibattimento.
Si tratta
infatti di successione nel tempo di norme aventi natura esclusivamente
processuale, soggette al principio tempus regit actum e a quello della
irretroattività della legge stabilito nell’art. 11 comma 1 delle disposizioni
sulla legge in generale, disposizione nella specie non derogata stante l’assenza
di una apposita norma transitoria, (Cass. IV 29/11/00 n. 4724, ud. 25/10/00, rv.
219260; Cass. IV 8/11/00 n. 4313, ud. 22/9/00, rv. 217761).
Deve essere
respinto anche il ricorso relativo alla insussistenza del delitto di truffa non
rientrando la fattispecie, cosi’ come accertata dal giudice del merito, nel
minore fatto contravvenzionale di cui all’art. 661 cod. pen. (abuso della
credulità popolare), il cui elemento costitutivo e differenziato è costituito
dal turbamento dell’ordine pubblico e da una azione rivolta nei confronti di un
numero indeterminato di persone, come testualmente prescritto dal termine
pubblicamente, il cui contenuto è indicato nell’art. 266 c. 4 cod. pen.
Il fatto,
cosi’ come ricostruito dalla corte territoriale è correttamente compreso nel
delitto di truffa aggravata, come già statuito da questa corte in analoga
fattispecie nei confronti di colui che, sfruttando la notorietà creatasi di
mago o di guaritore, ingeneri nelle persone offese il pericolo immaginario dell’avveramento
di gravi malattie e faccia credere alle stesse di poterle guarire o di poterle
preservare e le induca in errore, compiendo asseriti esorcismi o pratiche
magiche o somministrando e prescrivendo sostanze e si procura cosi’, nel
richiedere e accettare da quelle, un ingiusto profitto con danno delle stesse
(Cass. II 21/1/05 n. 1910, ud. 20/12/04, rv. 230694; Cass. III 27/5/96 n. 5265,
ud. 24/4/96, rv. 205106).
E’ invece
fondato il ricorso relativo alla sussistenza del ritenuto delitto di esercizio
abusivo della professione medica (art. 348 cod. pen.), non avendo pertinenza e
competenza del medico.
L’art. 348
cod. pen. (abusivo esercizio di una professione), è norma penale in bianco, che
presuppone l’esistenza di norme giuridiche diverse, qualificanti una determinata
attività professionale, le quali prescrivono una speciale abilitazione dello
Stato ed impongono l’iscrizione in uno specifico albo, in tal modo configurando
le cosiddette professioni protette (Cass. VI 21/2/97 n. 1632, ud. 6/12/96, rv.
208185; Cass. VI 25/8/95 n. 9089, ud. 3/4/95, rv. 202273).
Il delitto
presuppone quindi l’accertamento di una condotta costituente espletamento di
professione medica: il reato sussiste solo nei casi in cui il pervenuto abbia
posto in essere condotte proprie dei professionisti abilitati, non essendo
sufficiente una mera assimilazione analogica tra le finalità perseguite da
soggetti che tendono al conseguimento di benessere fisico o psicologico con
attività metafisiche non curative del corpo e della psiche senza con cio’ porre
in essere attività medica.
Questa è
genericamente definibile come una professione che si estrinseca nella
individuazione e nella diagnosi di patologie con prescrizione di cure e rimedi
(Cass. IV 29/11/00 n. 4724, ud. 25/10/00, rv. 219260) ed è una attività dalla
quale sono escluse mere pratiche he hanno riferimento a supposti poteri
paranormali esclusivi di guaritori che accampino personali doti connaturate alla
propria persona che influenzino ed agiscano in un supposto campo metafisico e
non fisico del soggetto.
La
professione medica per le sue caratteristiche di scientificità è praticabile e
controllabile da qualunque soggetto munito di idoneo titolo professionale e non
è riservata, per presunte doti personali metafisiche e metascientifiche, a
soggetti che pretendono di possedere ed usare poteri superiori alla norma per il
conseguimento di benessere fisico (vedi Cass. VI 20/10/95, ric. Ottobre, dep.
5/4/96 in Cass. pen. 1996 m. 1817, sentenza che ha escluso il delitto con
riferimento alla pratica della pranoterapia).
Non si puo’
conclusivamente affermare che il mago nel somministrare la pozione (che non ha
natura di medicamento) per allontanare un male (che non è una definita
patologia) ha esercitato la professione medica che ha invece fondamenti
scientifici ed è riservata a professionisti iscritti in apposito albo.
Il ricorso
del L. relativo alla determinazione della pena è manifestamente infondato in
quanto la quantificazione della pena risponde a criteri discrezionali, il cui
esercizio deve essere motivato nei soli limiti idonei a far emergere in misura
sufficiente il pensiero del giudice circa l’adeguamento della sanzione alla
gravità effettiva del reato ed alla personalità del pervenuto (Cass. I 16/9/92
n. 6992, ud 30/1/92, rv. 190645).
Trattasi di
giudizio di fatto sottratto al controllo di legittimità, giudizio conseguente
alla valutazione della concreta fattispecie che nel caso in esame il giudice di
appello ha compiutamente e logicamente effettuato avendo riferimento ai gravi
precedenti penali ed alla entità dei fatti.
Parimenti
inammissibile il ricorso relativo alla continuazione con altra decisione non
richiesta con motivi di appello e genericamente proposta senza allegare al
giudice del merito la sentenza dalla quale riscontrare gli elementi induttivi
della preesistenza dell’unicità del disegno criminoso (Cass. II 23/10/03 n.
40342, ud. 13/5/03, rv. 227172).
Il ricorso
dello Z. relativo all’accertamento di concorso nella responsabilità è
infondato in quanto il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando
abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell’evento lesivo, ma anche
quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato,
senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso ma con maggiori
incertezze di riuscita o difficoltà.
N deriva che,
a tal fine, è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un
comportamento esteriore che arrechi un contributo apprezzabile alla commissione
del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione
dell’opera degli altri concorrenti (Cass. V 5/5/04 n. 21082, ud. 13/4/04, rv.
229200).
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