Corte Costituzionale

Stranieri e reato di reingresso. La denuncia non è elemento costitutivo del reato – CORTE COSTITUZIONALE, Sentnenza n. 466 del 28/12/2005

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E’ costituzionalmente illegittimo ” per
violazione dell’art. 3 Cost. – l’art. 13, comma 13-bis, secondo periodo, del
d.lgs. n. 286 del 1998, risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 12 della
legge 30 luglio 2002, n. 189 e nel testo vigente prima delle modifiche
introdotte con il d.l. n. 241 del 2004, convertito nella legge n. 271 del 2004.
Il legislatore del 2002 formulo’ la disposizione censurata, con riguardo al
sistema normativo all’epoca vigente, trasformando in delitto una fattispecie
contravvenzionale per il solo fatto che lo straniero rientrato in Italia fosse
stato denunciato per la contravvenzione di reingresso nel territorio nazionale
senza autorizzazione ministeriale. La Corte, nell’accogliere la questione, ha
richiamato i principi già affermati (sent. n. 78 del 2005 e sent. n. 173 del
1997), secondo cui la denuncia “è atto che nulla prova riguardo alla
colpevolezza o alla pericolosità del soggetto indicato come autore degli atti
che il denunciante riferisce”, ritenendo quindi che non sia possibile far
derivare dalla sola denuncia conseguenze pregiudizievoli per il denunciato, in
quanto essa comporta soltanto l’obbligo degli organi competenti "a verificare se
e quali dei fatti esposti in denuncia corrispondano alla realtà e se essi
rientrino in ipotesi penalmente sanzionate, ossia ad accertare se sussistano le
condizioni per l’inizio di un procedimento penale".

 


CORTE
COSTITUZIONALE, Sentnenza n. 466 del 28/12/2005


(Presidente A. Marini – Relatore R. Vaccarella)


 

RITENUTO IN FATTO

1.” Nel corso di un procedimento penale a carico di un cittadino macedone
imputato del reato di cui all’art. 13, comma 13-bis, secondo periodo, del
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero), nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 12 della
legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione
e di asilo), il Tribunale di Gorizia, con ordinanza del 4 agosto 2003, ha
sollevato questione di legittimità costituzionale del predetto art. 13, comma
13-bis, in riferimento agli artt. 2, 3 e 27 della Costituzione.

Osserva il remittente che, nel procedimento penale sottoposto al suo giudizio,
il cittadino macedone è imputato del reato di cui alla norma impugnata perchè,
denunciato in Gorizia per il reato di cui all’art. 13, comma 13, del d. lgs. n.
286 del 1998 ed espulso con decreto prefettizio del 1° novembre 2002, aveva
fatto reingresso nel nostro Paese. Nell’ambito del procedimento in corso
l’imputato ha avanzato richiesta di patteggiamento della pena con l’accordo del
pubblico ministero, ma il Tribunale ritiene di dover sollevare d’ufficio la
presente questione in quanto, fermo restando che il fatto contestato appare
riconducibile alla fattispecie in esame, dalla risoluzione della questione
dipende l’accoglimento o meno della proposta di pena concordata.

Cio’ premesso, il Tribunale rileva che i commi 13 e 13-bis dell’art. 13 del
d.lgs. n. 286 del 1998 prevedono due distinte ipotesi di reato, stabilendo, nel
primo caso (rientro nel territorio dello Stato dopo il decreto prefettizio di
espulsione), la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno e, nel secondo
(violazione del divieto di reingresso su ordine del giudice), la reclusione da
uno a quattro anni. Sempre con la reclusione da uno a quattro anni è poi
sanzionato, dal secondo periodo del comma 13-bis, il reingresso nel territorio
nazionale dello straniero “già denunciato per il reato di cui al comma 13 ed
espulso”. In quest’ultimo caso, ad avviso del remittente, viene considerato
elemento costitutivo di un delitto il dato “che taluno abbia riportato una
denuncia (proveniente da qualsiasi fonte) per un precedente presunto illecito
penale, in relazione al quale non vi è stata ancora una pronuncia di condanna
definitiva”; il che pare in evidente contrasto con l’art. 27, secondo comma,
Cost., che prevede la cosiddetta “presunzione di non colpevolezza”. La
disposizione censurata, invece, senza imporre alcuna forma di verifica
sull’esito effettivo della denuncia, per di più per un reato contravvenzionale,
ignora che alla medesima potrebbe fare seguito una decisione assolutoria.

Ad avviso del giudice a quo, inoltre, la norma impugnata è in contrasto anche
con gli artt. 2 e 3 Cost., per due ordini di ragioni: 1) perchè non pare
giustificata l’equiparazione da essa operata tra la condotta di chi rientri
illegalmente nel territorio dello Stato in violazione di un provvedimento di
espulsione adottato dall’autorità giudiziaria e quella di colui che vi rientri
essendo stato espulso dal prefetto, e cio’ per il solo fatto di essere stato
denunciato per un precedente reato contravvenzionale; 2) perchè sembra
irragionevole la previsione di un diverso trattamento operato nei confronti dei
presunti autori della medesima condotta materiale e formale (rientro illegale
nel territorio dello Stato in violazione di un provvedimento di espulsione
adottato dal prefetto), a seconda del fatto che essi siano stati o meno
denunciati in precedenza per l’illecito contravvenzionale citato, in quanto essi
“incorrono” in un delitto nel primo caso ed in una mera contravvenzione nel
secondo.

2.” E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la
questione venga dichiarata infondata.

Osserva l’Avvocatura che le fattispecie criminose di cui agli artt. 13 e 13-bis
del d. lgs. n. 286 del 1998 non sono fra loro paragonabili, in quanto nell’un
caso si è in presenza di rientro dopo la prima espulsione e nell’altro di
rientro dopo la seconda espulsione. Quanto alla dedotta violazione dell’art. 27
Cost., l’Avvocatura rileva che l’elemento della denuncia riveste un ruolo
secondario nella configurazione dell’ipotesi di reato contestata dal remittente,
perchè cio’ che assume peso decisivo è il fatto del reingresso dopo la seconda
espulsione, rispetto al quale la denuncia è soltanto un “antecedente logico
prima ancora che giuridico”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.” Il Tribunale di Gorizia in composizione monocratica solleva, in riferimento
agli artt. 2, 3 e 27 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 13, comma 13-bis, secondo periodo, del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti
la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nel
testo risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 12 della legge 30 luglio
2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo).

Nell’ordinanza di rimessione si premette che l’art. 13 del d.lgs n. 286 del 1998
prevede la pena dell’arresto e l’espulsione con accompagnamento alla frontiera
per lo straniero che, essendo stato espulso dal territorio dello Stato, vi
rientri senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’interno.

Cio’ posto, il remittente sostiene che la norma censurata ” la quale commina la
reclusione da uno a quattro anni allo straniero che, essendo stato denunciato ed
espulso per il reato di cui all’art. 13, comma 13, faccia reingresso nel
territorio nazionale ” violi i suindicati parametri costituzionali, in quanto
irragionevolmente attribuisce alla mera circostanza dell’avvenuta denunzia per
il reato di reingresso l’efficacia di trasformare in grave delitto un
comportamento altrimenti costituente reato contravvenzionale.

2.” Occorre premettere che, successivamente all’ordinanza di rimessione, il
quadro normativo è stato modificato dall’art. 1, comma 2-ter, del decreto-legge
14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione),
convertito, con modificazioni, nella legge 12 novembre 2004, n. 271. Per quanto
specificamente interessa la questione in esame, la sanzione prevista per il
reato oggetto del giudizio a quo è stata aggravata nel massimo (da quattro a
cinque anni di reclusione) ed il reato previsto dall’art. 13, comma 13, anche in
riferimento al quale il Tribunale di Gorizia ha motivato le sue censure, è
stato trasformato da contravvenzione in delitto, con la previsione della pena
della reclusione da uno a quattro anni. Tali modifiche, tuttavia, non impongono
la restituzione degli atti al giudice remittente in quanto, comportando un
aggravamento della posizione dell’imputato ” in via immediata per effetto
dell’aggravamento della pena ed in via mediata, ma pur sempre rilevante, in
conseguenza delle modifiche del quadro normativo di riferimento ” esse non sono
applicabili al processo a quo, ai sensi dell’art. 2, terzo comma, del codice
penale.

3.” La questione riguarda, pertanto, la disposizione nel testo vigente al
momento della commissione del fatto contestato e quale viveva nel quadro
normativo allora esistente; cosi’ individuata nel suo oggetto, essa è fondata
con riferimento all’art. 3 della Costituzione.

Questa Corte ha recentemente ribadito che la denuncia “è atto che nulla prova
riguardo alla colpevolezza o alla pericolosità del soggetto indicato come
autore degli atti che il denunciante riferisce” (v. sentenza n. 78 del 2005, ma
cfr. anche la sentenza n. 173 del 1997). Di conseguenza, si è ritenuto che non
sia possibile far derivare dalla sola denuncia conseguenze pregiudizievoli per
il denunciato, in quanto essa comporta soltanto l’obbligo degli organi
competenti “a verificare se e quali dei fatti esposti in denuncia corrispondano
alla realtà e se essi rientrino in ipotesi penalmente sanzionate, ossia ad
accertare se sussistano le condizioni per l’inizio di un procedimento penale”.

Il legislatore del 2002 formulo’ la disposizione in scrutinio, con riguardo al
sistema normativo all’epoca vigente, trasformando in delitto una fattispecie
contravvenzionale per il solo fatto che lo straniero rientrato in Italia fosse
stato denunciato per la contravvenzione di reingresso nel territorio nazionale
senza autorizzazione ministeriale. Nè alcun rilievo puo’ avere la circostanza
che alla denuncia era collegata anche l’espulsione perchè, nel regime
antecedente la sentenza di questa Corte n. 222 del 2004, l’espulsione con
accompagnamento alla frontiera era eseguita anche prima dell’eventuale
convalida, sicchè neppure sotto tale profilo la denuncia era soggetta ad alcuna
delibazione.

Deve essere quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale della disposizione
censurata nel testo vigente prima delle modifiche introdotte con il d.l. n. 241
del 2004, convertito con modifiche nella legge n. 271 del 2004.

Restano assorbiti tutti gli altri profili di censura.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte Costituzionale

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 13-bis, secondo
periodo, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero), risultante dalle modifiche introdotte nel testo
dall’art. 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in
materia di immigrazione e di asilo).


 

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