Impedimento parlamentare dell’imputato e poteri di accertamento del giudice in sede penale – CORTE COSTITUZIONALE, Sentnenza n. 451 del 15/12/2005
La Corte, in parziale accoglimento dei ricorsi
presentati dalla Camera dei deputati, ha dichiarato che non spettava al
Tribunale di Milano, nell’apprezzare la prova e i caratteri dell’impedimento
dell’imputato parlamentare a comparire, alle udienze tenute dal GUP, per la
concomitanza con lavori della Camera di appartenenza, affermare: a) che il GUP
non aveva alcun obbligo di attivarsi per acquisire la prova dell’impedimento e
che era a tal fine irrilevante la lettera di convocazione del capo del gruppo
parlamentare; b) che sussiste impedimento soltanto quando in Parlamento siano
previste votazioni e sia provata l’effettiva presenza dell’imputato ai lavori
parlamentari. Conseguentemente, ha annullato l’ordinanza del Tribunale di Milano
in data 5 giugno 2000 (prima sezione penale) e ” nei limiti di cui in
motivazione ” le ordinanze del medesimo Tribunale nelle date del 1° ottobre 2001
(prima sezione penale), nonchè del 14 luglio, del 9 ottobre 2000 e del 21
novembre 2001 (quarta sezione penale). Invece, ha ritenuto non affette da vizi
rilevabili in sede di conflitto le sentenze (22 novembre 2003, prima sezione
penale, e 29 aprile 2003, quarta sezione penale) che hanno concluso i rispettivi
giudizi di primo grado.
La Camera aveva sollevato conflitto avverso i suddetti provvedimenti adottati
dal Tribunale di Milano – nell’ambito di procedimenti penali in cui è imputato,
tra gli altri, il deputato Previti ” relativamente alla valutazione degli
impedimenti parlamentari dell’imputato ai fini del rinvio delle udienze. La
Corte, richiamati i principi affermati nella propria sent. n. 225 del 2001, ha
esaminato partitamente i diversi provvedimenti, limitando gli effetti caducatori
della dichiarazione di non spettanza alle parti degli stessi riconosciute lesive
degli interessi della Camera a che ciascuno dei suoi componenti sia libero di
regolare la propria partecipazione ai lavori parlamentari. Mentre, non ha
intaccato quelle parti di motivazioni basate su linee argomentative di tipo
processuale, come tali estranee al giudizio per conflitto. Infine,
espressamente, ha affermato che spetterà poi al giudice penale rilevare, alla
stregua delle norme che disciplinano il processo, l’eventuale esistenza di
ulteriori effetti derivanti dai vizi accertati.
Sentenza della Corte Costituzionale n. 451 del
15 dicembre 2005
(Presidente A. Marini – Relatori F. Bile e F.
Amirante)
RITENUTO IN FATTO
1.1.” Con ricorso depositato l’11 gennaio 2005, la Camera dei deputati ha
proposto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del
Tribunale di Milano, prima sezione penale, in ragione e per l’annullamento: a)
dell’ordinanza emessa in data 5 giugno 2000, nell’ambito del procedimento penale
R.G. 879/00 nei confronti del deputato Cesare Previti, con la quale sono state
respinte le eccezioni relative al dedotto impegno parlamentare dell’imputato
concomitante con l’udienza del 20 settembre 1999, ed è stato altresi’ disposto
doversi procedere oltre nel dibattimento; b) dell’ordinanza emessa in data 1°
ottobre 2001, nell’ambito del medesimo procedimento penale, con la quale,
relativamente allo stesso impedimento del predetto imputato, sono state respinte
le eccezioni difensive in ordine alla nullità degli atti processuali, tra cui
il decreto che ha disposto il giudizio, ed è stato deciso doversi procedere
oltre nel dibattimento; c) della sentenza pronunciata il 22 novembre 2003, n.
11069, sempre nell’ambito dello stesso procedimento penale, nei confronti del
deputato Cesare Previti, con la quale è stato implicitamente ribadito, ma senza
alcuna motivazione, quanto stabilito nelle ordinanze del 5 giugno 2000 e del 1°
ottobre 2001.
La Camera dei deputati ricorrente chiede che la Corte dichiari “che non spetta
all’autorità giudiziaria, e per essa al Tribunale di Milano, sezione prima
penale, disconoscere nella specie, negandogli validità, l’impedimento del
deputato a partecipare all’udienza penale per concomitanti impegni parlamentari,
cosi’ come non le spetta affermare che l’impedimento non opera non consistendo i
lavori parlamentari di cui si tratta in votazioni o che l’impedimento non sia
stato provato o che comunque il suo mancato riconoscimento sia rimasto
“innocuo”; e che pertanto non le spetta impedire che il contemperamento tra
esigenze del processo ed esigenze del mandato parlamentare venga realizzato in
concreto a seguito della declaratoria di nullità degli atti compiuti in udienza
nonchè del decreto che dispone il giudizio”; e che, conseguentemente, la Corte
annulli gli atti impugnati.
1.2. ” In fatto, la Camera dei deputati cosi’ ricostruisce le vicende
processuali in questione.
Con cinque ordinanze, rispettivamente, in data 17 settembre, 20 settembre, 22
settembre, 5 ottobre e 6 ottobre 1999, adottate nell’ambito di due diversi
procedimenti penali, il GUP del Tribunale di Milano respingeva le rispettive
istanze di rinvio dell’udienza ” motivate dalla concomitanza di impegni
parlamentari ” avanzate dal deputato Cesare Previti, che in quei procedimenti
era imputato. Avverso tali ordinanze, la Camera dei deputati sollevava conflitto
di attribuzione tra poteri dello Stato, che veniva deciso, in data 6 luglio
2001, con la sentenza n. 225 del 2001, con la quale la Corte costituzionale
annullava le ordinanze emesse dal GUP, stabilendo che a questo “non spettava
[ ], nell’apprezzare i caratteri e la rilevanza degli impedimenti addotti dalla
difesa dell’imputato per chiedere il rinvio dell’udienza, affermare che
l’interesse della Camera dei deputati allo svolgimento delle attività
parlamentari, e quindi all’esercizio dei diritti-doveri inerenti alla funzione
parlamentare, dovesse essere sacrificato all’interesse relativo alla speditezza
del procedimento giudiziario”.
Nelle more della decisione della Corte, la prima sezione penale del Tribunale di
Milano, cui nel frattempo era stato assegnato uno dei due procedimenti
originariamente incardinati presso il GUP (R.G. 879/00), con la prima delle
ordinanze ora impugnate (datata 5 giugno 2000) si era pronunciata sul legittimo
impedimento del deputato Cesare Previti a partecipare all’udienza tenutasi
innanzi al GUP in data 20 settembre 1999, asserendo che detto impedimento non
poteva riconoscersi poichè “concerneva non la partecipazione a votazioni in
assemblea, ma ad altri lavori parlamentari”.
Successivamente, la medesima sezione del Tribunale di Milano, a seguito della
menzionata sentenza di questa Corte n. 225 del 2001, con la seconda delle
ordinanze attualmente impugnate (del 1° ottobre 2001) aveva dichiarato di
prendere atto dell’annullamento della ordinanza del GUP del 20 settembre 1999,
ammettendo esplicitamente che la stessa doveva considerarsi tamquam non esset.
Cio’ nonostante, aveva disposto doversi procedere oltre nel dibattimento,
rilevando “la legittimità del mancato rinvio dell’udienza del 20 settembre
1999″, e deducendo ” oltre alle considerazioni in merito alla natura dei lavori
parlamentari in data 20 settembre 1999 ” anche che la nullità delle attività
dibattimentali a causa del disconoscimento dell’impedimento parlamentare, era
comunque “rimasta “innocua”” e che “l’allegazione dell’impedimento [era] stata
manchevole ed assolutamente inidonea a consentire al giudice quella valutazione
di contemperamento di esigenze che la Corte costituzionale ha ammonito dover
costituire oggetto necessario della valutazione del giudice”.
I medesimi postulati venivano implicitamente fatti propri, senza alcuna
motivazione, anche dalla impugnata sentenza in data 22 novembre 2003, conclusiva
del procedimento di primo grado.
1.3. ” Affermata ” sulla base della consolidata giurisprudenza costituzionale ”
la propria legittimazione attiva a proporre conflitto di attribuzione e la
legittimazione passiva del Tribunale di Milano, nonchè la sussistenza dei
requisiti oggettivi, configurabili quando ” sia sotto forma di vindicatio
potestatis, sia sotto forma di conflitto da menomazione o da interferenza ” si
controverta in ordine alla delimitazione della sfera delle attribuzioni di cui
sono titolari i poteri della Stato, la ricorrente sottolinea anche il suo
interesse specifico a proporre il presente conflitto in ragione del contenuto
degli atti impugnati.
Richiamate, infatti, le argomentazioni e la ratio decidendi della sentenza n.
225 del 2001, osserva nel merito la Camera che, nelle ordinanze de quibus e
nella sentenza, il Tribunale ” disattendendo i precisati canoni di
comportamento, derivanti dalla parità di rango costituzionale degli interessi
confliggenti ” si è sottratto in concreto all’obbligo di ponderare e bilanciare
le esigenze processuali con quelle della integrità funzionale del Parlamento in
modo da renderne possibile la coesistenza e da assicurare cosi’ il sereno
esercizio da parte del deputato dei diritti-doveri inerenti alla funzione,
accampando mere ragioni di ordine probatorio sulla attestazione dell’impedimento
ed elaborando la non conosciuta categoria della “innocuità” della
illegittimità compiuta dal giudice.
Secondo la ricorrente, cosi’ facendo, il Tribunale di Milano ha sacrificato,
persino più radicalmente di quanto non fosse avvenuto in precedenza, le sue
attribuzioni, compromettendo: a) la libertà di espletamento del mandato
parlamentare, garantita dagli artt. 67 e 68 della Costituzione; b) la posizione
di autonomia della Camera, in violazione degli artt. 64, 68 e 72 Cost. e delle
ulteriori disposizioni costituzionali che vi si correlano; c) il canone di
ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., in uno col principio di leale
collaborazione tra poteri dello Stato; d) il giudicato costituzionale (ex artt.
134, secondo comma, e 137, terzo comma, Cost.), leso, quest’ultimo, solo
dall’ordinanza del 1° ottobre 2001 e dalla sentenza del 22 novembre 2003,
successive alla sentenza n. 225 del 2001.
1.4. ” Ferma restando la suddetta assorbente censura, la Camera ricorrente
denuncia, in termini più specifici, la portata lesiva delle proprie prerogative
derivante: 1) dall’affermazione della irrilevanza del dedotto impedimento, in
quanto concernente “non la partecipazione a votazioni in assemblea, ma ad altri
lavori parlamentari”, trattandosi di assunto contraddetto dalla citata sentenza
n. 225 del 2001, che ha sottolineato, ai fini dell’attivazione del legittimo
impedimento, la parità tra le attività che si svolgono in Parlamento, le quali
risultano tutte strettamente correlate al ruolo che la Camera è chiamata ad
assolvere nel sistema costituzionale, con particolare riguardo agli artt. 70 e
94 Cost.; 2) dalla argomentazione (svolta nell’ordinanza del 1° ottobre 2001 e
implicitamente fatta propria dalla sentenza) secondo cui la nullità
determinatasi a seguito della pronunzia della Corte costituzionale sarebbe
“innocua” (posto che nell’udienza cui il deputato in questione non prese parte
“fu svolta unicamente una mera attività interlocutoria” e non fu adottato alcun
provvedimento se non quello di rinvio ad una successiva udienza), giacchè – a
prescindere dalla inesattezza di tale assunto – non è immaginabile che il
canone della coesistenza tra attività giudiziaria e attività parlamentare non
sia governato dalla razionalità costituzionale, sebbene dal puro caso; 3)
dall’affermazione (anch’essa svolta nell’ordinanza del 1° ottobre 2001 e
implicitamente fatta propria dalla sentenza) secondo la quale l’allegazione
dell’impedimento, non contenendo i dati e la documentazione necessaria ad
attestare l’attualità dell’impedimento stesso, sarebbe stata “manchevole ed
assolutamente inidonea a consentire al giudice quella valutazione di
contemperamento di esigenze” imposta dalla sentenza n. 225 del 2001, giacchè
tale documentazione era costituita dalla convocazione da parte del capogruppo e
non è sostenibile che i rapporti tra deputato e gruppo, aventi ad oggetto l’attività
parlamentare cui i gruppi sono chiamati a concorrere, si possano relegare in una
dimensione informale o privata, disconoscendosi, in tal modo, la loro
appartenenza all’ordinamento parlamentare; 4) dalla notazione, “dedotta in via
allusiva”, riguardante la possibilità per il deputato di essere presente nel
corso della stessa giornata nella sede parlamentare ed in quella giudiziaria,
pur trattandosi di città diverse e lontane, in quanto simile argomento è già
stato reputato come “improbabile” da questa Corte (sentenza n. 284 del 2004),
posto che il principio di coesistenza tra le due attività in gioco, quella
parlamentare e quella processuale, deve riposare su di una base certa, qual è
appunto quella della compatibile organizzazione dei tempi processuali indicata
dalla giurisprudenza costituzionale; 5) infine, dalla mancata collaborazione
informativa opposta dal Tribunale nel caso specifico, quasi che i criteri
fissati dalla Corte costituzionale debbano valere soltanto pro futuro e come se,
per la lesione in precedenza prodottasi a carico delle attribuzioni di rango
costituzionale della Camera, altre regole, opposte al canone della leale
collaborazione, possano sanzionare la irretrattabilità della lesione.
2.1. ” Con ordinanza n. 185 del 2005, questa Corte ha dichiarato ammissibile il
conflitto, estendendo la notifica del ricorso e dell’ordinanza stessa, oltre che
al Tribunale di Milano, prima sezione penale, anche al Senato della Repubblica,
stante l’identità della posizione costituzionale dei due rami del Parlamento in
relazione alle questioni di principio da trattare.
2.2. ” La Camera dei deputati ha provveduto ad effettuare le prescritte
notifiche e a depositare tempestivamente gli atti con la prova delle avvenute
notifiche presso la cancelleria di questa Corte.
3. ” Degli organi destinatari delle suddette notifiche si è costituito in
giudizio il Senato della Repubblica chiedendo che “questa Corte voglia
riconoscere la fondatezza dei principi affermati nel ricorso della Camera dei
deputati, in particolare del principio di leale collaborazione fra i poteri
titolari della funzione giurisdizionale e i poteri titolari della funzione
parlamentare, nelle ipotesi in cui la presenza fisica di un singolo parlamentare
sia necessaria al corretto esercizio di entrambe le funzioni e,
conseguentemente, voglia accogliere il ricorso”.
Il Senato ha, in particolare, posto l’accento sulla necessità di valutare, ai
fini dell’impedimento alla partecipazione di un parlamentare alle udienze
penali, il diritto-dovere dello stesso parlamentare di assolvere al proprio
mandato partecipando alle sedute del ramo del Parlamento di cui è membro,
secondo i principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 225 del 2001, poi
ribaditi nelle sentenze n.