I calciatori possono reagire alle tifoserie inferocite – Cassazione Penale, Sezione V, Sentenza n. 42208/2005
Ai calciatori la
licenza di reagire agli assalti della tifoseria inferocita. Lo stabilisce la
Corte di Cassazione che ha annullato la condanna a sei mesi di reclusione per
lesioni personali inflitta dalla Corte d’appello di Catania a Giuseppe C., un
giocatore di una squadra locale, l’Augusta, che per difendersi da una
incursione poco pacifica negli spogliatoi della tifoseria avversaria aveva
reagito provocando lesioni a due ultrà. Nello specifico, al termine di una
partita di calcio a cinque, nel palazzetto dello sport di Viagrande ”si era
creato un clima di forte tensione al punto che c’era stato un tentativo di
invasione di campo sedato dalla forza pubblicà’. Nella concitazione, Giuseppe
C., ”inseguito da alcuni tifosi fin negli spogliatoi, era venuto a contatto
con due di loro, procurandogli lesioni personali”. Per la Cassazione, male
hanno fatto i giudici di merito a condannare il calciatore poichè non hanno
considerato il ”contesto di esagitazione verificatosi all’interno del
palazzetto a seguito di intemperanze di tifosi locali”. Era invece necessario,
per gli ‘ermellini’ di piazza Cavour, tenere in considerazione ”l’incolpevole
convincimento” del calciatore ”in ordine alla necessità di difendere la
propria incolumità a fronte del pericolo attuale di una offesa ingiustà’.
Assolto dal Tribunale di Catania nel giugno 2000, perchè il fatto non
costituisce reato, Giuseppe
C. era stato condannato in appello dalla Corte catanese, nel
marzo 2004. Per i giudici di merito, il giocatore non aveva diritto
all’esimente della legittima difesa.
Contro la condanna si è opposto in Cassazione il calciatore, facendo notare
che il giudice di merito, pur riconoscendo i presupposti di una situazione di
esasperata tensione, aveva poi escluso il diritto all’esimente. La Quinta sezione penale
(sentenza 42208) ha accolto il ricorso e, rinviando ad altra sezione della
Corte d’appello di Catania, ha rilevato che ”si trattava di una situazione di
fatto tale da ingenerare, quanto meno, l’incolpevole convincimento in ordine
alla necessità di difendere la propria incolumità a fronte del pericolo
attuale di una offesa ingiusta, che, alla stregua degli art. 52 e 59 del c.p.,
puo’ determinare la non punibilità dell’imputato”.