Civile

Ricongiunzione famigliare anche alla lavoratrice islamica ripudiata – CASSAZIONE CIVILE, Sezione I, Sentenza n. 12169 del 09/06/2005

La
donna di religione islamica che sia stata ripudiata dal marito ed esclusa, in
base al diritto islamico, dalla tutela dei figli minori, ha diritto al
ricongiungimento familiare se lavora in Italia. E’ quanto ha stabilito la Corte
di Cassazione. Le diverse tradizioni culturali del mondo islamico rispetto a
quelle occidentali giustificano pienamente la disciplina positiva del diritto di
famiglia che attribuisce compiti diversi ai due genitori ma non viola l’art. 29
della Costituzione nè l’ordine pubblico internazionale; pertanto, anche se la "Moudawana"
– cioè il Codice dello stato e delle persone e delle successioni vigente nel
Regno del Marocco – non lo consente, in base all’ordinamento giuridico italiano
la madre ha diritto di ottenere il ricongiungimento con i figli per curare
meglio la loro crescita ed educazione, già provvedendo da sola al loro
sostentamento e mantenimento, nel disinteresse del padre.

 


CASSAZIONE
CIVILE, Sezione I, Sentenza n. 12169 del 09/06/2005


(Presidente:
G. Lo Savio; Relatore: F. Forte
)


LA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE


PRIMA SEZIONE
CIVILE


SENTENZA


SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO

M. J,
cittadina del Marocco dotata di permesso di soggiorno, ottenuto il nulla osta
della Questura di Perugina al ricongiungimento al suo secondo marito e ai figli
minori C. M. e C. M. nati dal suo primo matrimonio rispettivamente nel 1986 e
nel 1988, ricorreva al Tribunale di Perugina ex art. 30, 6° comma, D.Lgs. 25
luglio 1998 n. 286 (T.U. sull’immigrazione, da ora T.U. n.d.e.), contro il
diniego del visto di ingresso in Italia ai figli da parte dell’Ambasciata
italiana a Rabat.

Secondo il
Consolato generale in Rabat competente al rilascio del visto, in base alla
documentazione esibita dall’istante ai sensi dell’art. 29, comma 1, lett. a) e
b), del T.U. e dell’art. 6 del d.p.r. 31 agosto 1999 n. 394 (Regolamento di
attuazione del T.U.), con l’atto di ripudio del 25 settembre 1992, il primo
marito dell’istante, aveva escluso la M. dalla tutela dei minori, riservandola a
se stesso, come consentito dalla normativa interna, senza fare alcun cenno alla
minore M., nata durante il ma trinomio, essendo la esclusione della tutela
limitata al solo M.

Ad avviso
dell’autorità consolare, pur essendo agli atti una dichiarazione di una sorella
della istante che dichiarava che i figli erano mantenuti dalla madre, il visto
non poteva rilasciarsi, perchè solo al padre spettava l’esercizio della
potestà genitoriale, secondo il diritto marocchino.

Il Tribunale
di Perugina accoglieva il ricorso, perchè, ai sensi della lett. b) del citato
art. 29 T.U., i minori dovevano ritenersi a carico dell’istante, che provvedeva
al mantenimento dei figli, ai quali doveva quindi rilasciarsi il visto
d’ingresso.

Il reclamo
dei due Ministeri, ai sensi dell’art. 739 c.p.c., era rigettato, con decreto del
25 marzo 2004, dalla Corte d’appello di Perugina, che condannava i reclami alle
spese del grado.

Secondo i
reclami, per la Moudawana, cioè il codice dello stato delle persone vigente in
Marocco, applicabile come legge nazionale del figlio ex art. 36 della Legge 31
maggio 1995 n. 218, la rappresentanza legale dei minori compete al solo padre,
spettando alla madre solo in caso di morte dell’altro genitore.

Ad avviso
della Corte territoriale, tale disparità di posizione dei genitori rispetto ai
figli, di cui alla normativa del Marocco, è contraria all’ordine pubblico
internazionale e al principio costituzionale della parità dei coniugi oltre che
al loro obbligo comune di mantenere i figli (art. 29 Cost.); di conseguenza, al
caso va applicata la legge italiana, ex art. 16 della Legge n. 218 del 1995.

Poichè la M.
provvede al mantenimento dei figli, ai sensi dell’art. 3, comma 1, della
Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989
ratificato in Italia dalla Legge 27 maggio 1991 n. 176, occorre tenere conto
dell’interesse superiore dei minori, che in Marocco erano affidati ad una zia
nel disinteresse del padre, che aveva dichiarato di consentire al loro espatrio
per il ricongiungimento alla madre; pertanto, il diritto all’unità familiare
dei minori imponeva il rilascio del nulla osta e il reclamo delle
Amministrazioni doveva essere rigettato.

Per la
cassazione di tale decreto hanno proposto ricorso, con quattro motivi, il
Ministero dell’Interno e quello degli Affari Esteri e la M. si è difesa con
controricorso.


MOTIVI DELLA
DECISIONE

Il primo
motivo di ricorso deduce violazione degli artt. 29, comma 1,lett. b), del T.U.,
e 136, 147, 148 e 149 della Moudawana (Codice dello Stato e delle persone e
delle successioni vigente nel Regno del Marocco), da applicare in Italia ai
sensi degli artt. 36 e 16 della Legge 31 maggio 1995 n. 218, oltre che dell’art.
29 Cost., pure per insufficiente e contraddittoria motivazione.

In ordine
alla posizione di disuguaglianza della madre rispetto al padre nella
legislazione marocchina, il decreto impugnato confonde il concetto di carico
familiare con quello di obbligo di mantenimento dei figli nell’applicare il
limite dell’ordine pubblico.

Erroneamente
la Corte di merito afferma infatti che la normativa del Marocco contrasta con
l’art. 29 della Cost., fondamento del principio d’ordine pubblico internazionale
della parità dei coniugi, e quindi ostavano, ai sensi dell’art. 16 della Legge
n. 218/95 all’applicazione in Italia della normativa straniera.

La norma
della Costituzione citata, pur ponendo a base del matrimonio l’uguaglianza
giuridica e morale dei coniugi, chiarisce che quest’ultima è disciplinata nei
limiti della legge ordinaria, la quale ha attribuito fino al 1975 la potestà
genitoriale al solo padre, senza violare la Carta fondamentale.

In sostanza,
riconoscere al solo padre la potestà sui figli minori, non viola l’uguaglianza
tra i coniugi e la diversità di compiti dei due genitori, propria del diritto
islamico e di quello del Regno del Marocco, non contrasta con tale uguaglianza.

Le diverse
tradizioni culturali del mondo islamico e del Regno del Marocco rispetto a
quelle occidentali, giustificano pienamente la disciplina positiva del diritto
di famiglia di quel paese, che attribuisce compiti diversi ai due genitori, ma
non viola l’art. 29 della Cost. e l’ordine pubblico internazionale.

Il concetto
di carico dell’art. 29, comma 1, lett. b), T.U. non va inteso in senso
materiale, ma comprende quello della rappresentanza legale del minore, per il
quale, nelle ipotesi come quella oggetto di causa, nella quale la madre
richiedente il nulla osta provvede al mantenimento dei figli minori, questi non
possono considerarsi a suo carico, se l’istante non sia la loro rappresentante
legale come titolare della potestà genitoriale, perchè nel caso il mero
consenso del padre all’espatrio dei figli comunque non conferisce alla madre il
potere- dovere di esercitare una potestà che la legge le nega.

La potestà
genitoriale di entrambi i genitori non è principio d’ordine pubblico
internazionale, che corrisponde cioè alle esigenze di diversi ordinamenti
interni, potendosi attuare in modi diversi nei diversi paesi in conformità alle
loro tradizioni e culture.

Con il
secondo motivo di ricorso si lamenta ancora violazione dell’art. 29, comma 1°,
lett. b), del T.U. e delle norme sopra citate del Regno del Marocco, in rapporto
all’art. 36 della Legge n. 218 del 1995 oltre che della Convenzione sui diritti
del fanciullo di New York del 20 novembre 1989, ratificata in Italia dalla Legge
27 maggio 1991 n. 176, pure per insufficiente motivazione, ex art. 360, 1°
comma, nn. 3 e 5, c.p.c.

Erroneamente
la Corte territoriale ha presunto, in base ad un atto notarile, che i figli
della istante fossero affidati ad una zia materna, deducendo dal consenso
all’espatrio dato dal padre una situazione di fatto, per la quale vi sarebbe
stato un interesse superiore dei minori a ricongiungersi con la madre.

Solo se la M.
avesse avuto la potestà genitoriale sui minori, ella avrebbe potuto avere
l’affidamento dei figli, che hanno diritto all’unità familiare con il padre che
su loro esercita la potestà di legge, per cui devono restare in Marocco.

Il terzo
motivo di ricorso, lamentando le stesse violazioni di legge e insufficienze
motivazionali del secondo, deduce che, pure in difetto della potestà
genitoriale, la M. deve mantenere i figli minori, ma che è errato che il
concetto di carico familiare di cui al T.U., possa tradursi nei soli obblighi di
mantenimento, potendosi in tal modo eludere la normativa locale e
internazionale.

Con il quarto
motivo d’impugnazione si lamenta violazione dell’art. 92 c.p.c., pure per
insufficiente motivazione, sussistendo nel caso ragioni per compensare le spese
del secondo grado, non considerate in alcun modo dalla Corte d’appello.

Il ricorso è
infondato.

Lo stesso
art. 29, lett. b- bis), del T.U., introdotto dalla Legge 23 agosto 2002 n. 189,
impone, con riferimento ai figli maggiorenni ai quali lo straniero ha diritto a
ricongiungersi che gli stessi siano a suo carico, nessun rilievo avendo nel caso
la potestà genitoriale, prevedendosi solo che detti figli non possano per
ragioni oggettive provvedere al proprio sostentamento.

Se per i
figli maggiorenni il concetto di carico è connesso a uno stato di salute che
comporti invalidità totale, per i minori lo steso concetto, sia nel diritto
interno che in quello internazionale, integra sempre e solo quello del
collegamento tra due soggetti per il quale uno ha l’onere del sostentamento
dell’altro, che non è in grado di provvedere al proprio mantenimento.

Il c.d.
carico integra nel T.U. una fattispecie nella quale colui che chiede il
ricongiungimento è il soggetto che provvede e dovrà provvedere al
sostentamento del familiare al quale chiede di riunirsi, tanto che deve
dimostrare l’esistenza di un alloggio idoneo e di redditi sufficienti (art. 29,
comma 3, lett. a) e b), funzionali all’adempimento del carico esistente anche
dopo la materiale riunione del gruppo familiare in Italia.

Nel caso di
specie la M. è, secondo il decreto impu

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