Penale

La Cassazione ha un sindacato limitato dovendo solo riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata – CASSAZIONE PENALE, Sezione II, Sentenza n. 5148 del 26/01/2005

L’indagine di
legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte
circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere
limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di
un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza
possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice
di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro
rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della
Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto, posti a
fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al
giudice di merito.

 

 

 


 


CASSAZIONE
PENALE, Sezione II, Sentenza n. 5148 del 26/01/2005 

 

Composta
dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RIZZO
Aldo – Presidente

Dott. CASUCCI
Giuliano – Consigliere

Dott.
CARDELLA Fausto – Consigliere

Dott. FUMU
Giacomo – Consigliere

Dott.
DIOTALLEVI Giovanni – Consigliere

ha
pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso
proposto da:

S.F. avverso
l’ordinanza, in data 27.7.2004, del Tribunale di Ancona;

visti gli
atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la
relazione svolta dal Consigliere Dr. Fausto Cardella;

sentito il
P.M., Dott. GALASSO Aurelio, che ha concluso come da verbale.


 


Svolgimento
del processo e motivi della decisione

 

S.F. ricorre
avverso l’ordinanza, in data 27.7.2004, del Tribunale di Ancona con cui era
confermata l’ordinanza del G.I.P. applicativa di custodia cautelare per rapina,
e deduce:

1) Violazione
dell’art, 606, comma 1, lett. b) ed e) c.p.p. in relazione agli artt.


624, 624 bis c.p..

Non sussiste
il requisito della violenza, necessario a configurare il delitto contestato il
quale, più esattamente, dovrebbe essere qualificato come furto o furto con
strappo.

Era
sicuramente accidentale il colpo dato sul braccio della parte offesa; in questo
elemento, invece, si è ravvisata la violenza che ha fatto qualificare il fatto
come rapina.

Il motivo è
infondato.

Il tribunale
osserva che dalle dichiarazioni di un teste presente al fatto risulta che la
parte offesa, "cercando di mettere al sicuro la valigetta riposta tra il sedile
anteriore lato guida e il sedile posteriore sinistro, aveva allungato il braccio
per afferrarla, ricevendo dal rapinatore un colpo al braccio sinistro". Di
conseguenza, secondo il giudice, "trattasi evidentemente di violenza esercitata
direttamente sulla persona della vittima pienamente idonea ad integrare gli
estremi del reato di rapina".

Le
valutazioni di fatto del collegio sono insindacabili nel giudizio di
legittimità, essendo esposte in modo esaustivo e immune da vizi logici; il
principio giuridico affermato è corretto ed uniforme alla consolidata
giurisprudenza di questa Corte, che va ribadita.

Ciò che
distingue la fattispecie di furto con strappo dalla rapina è la direzione e
l’oggetto della violenza, esercitata dal reo per impossessarsi della cosa, che
nella prima è diretta sulla cosa, nella seconda è rivolta alla persona.

Però, qualora
la violenza sia esercitata simultaneamente sulla cosa e sulla persona per
vincere la resistenza opposta dalla vittima e protesa a difendere o trattenere
la cosa, ricorre il delitto di rapina e non quello di furto con strappo. (Cass.,
sez. 2, 10.12.87, ric. Pesce, Rv. 177978).

2) Violazione
dell’art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p. in relazione agli artt. 56, 624 c.p..

Qualsiasi
fattispecie si voglia ravvisare nel fatto, questo integra soltanto gli estremi
di un reato tentato, dato che la refurtiva non è mai uscita dalla sfera di
dominio della parte offesa, come emerge dal verbale di arresto.

Vi è assoluta
carenza di motivazione su questa tesi difensiva, prospettata, però, in sede di
udienza.

Il ricorso va
rigettato.

"L’indagine
di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte
circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere
limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di
un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza
possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice
di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro
rispondenza alle acquisizioni processuali. (Sez. Un., 24 novembre 1999, Spina,
rv 214794).

Esula,
infatti, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli
elementi di fatto, posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in
via esclusiva, riservata al giudice di merito.


(conf.: Sez. Un., 30.4.97, ric.

Dessimone,
rv.207944).

Ora,
dall’impugnato provvedimento risulta sia l’impossessamento che la sottrazione
del bene, elementi sui quali il collegio si sofferma mostrando, in modo
implicito ma chiaro, di ritenere infondata la tesi difensiva volta a sostenere
la configurabilità del reato tentato.

3) Violazione
dell’art. 606, comma 1, lett. c) c.p.p. in relazione agli artt.


273 c.p.p..

Non emerge
dall’impugnato provvedimento l’iter logico in base al quale si è potuto ritenere
la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

Il ricorso è
infondato.

Esaminando e
valutando le risultanze processuali che, in parte, sono state richiamate sopra
(cfr. motivo 1), il giudice di merito da pieno conto degli elementi indiziari
che gravano sul ricorrente, tanto più che non risulta che la richiesta di
riesame contenesse specifiche censure sul punto.

4) Violazione
dell’art. 606, comma 1, lett. c) c.p.p..

E’ illogica o
carente la motivazione in tema di sussistenza delle esigenze cautelari.

Il tribunale
espone compiutamente le ragioni per le quali ritiene sussistere le esigenze
cautelari, indicandole nel pericolo di reiterazione della condotta criminosa,
dedotta dalla specifica posizione assunta dal ricorrente nel sodalizio
criminoso; nella persistenza del proposito criminoso, evidenziata dalla costanza
nel pedinare la vittima; infine, nella elusione della misura della sorveglianza
speciale. Argomentazioni, queste, esaustive, logicamente ineccepibili,
giuridicamente corrette.

Al rigetto
consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Trattandosi
di provvedimento che non incide sullo stato di detenzione, si dovrà provvedere
ai sensi dell’art.


94, disp. att. c.p.p..



P.Q.M.


 

rigetta il
ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e manda
alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art.


94, disp. att. c.p.p..

Cosí deciso
in Roma, il 26 gennaio 2005.

Depositato in
Cancelleria il 10 febbraio 2005

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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