Penale

L’unica misura applicabile al reato di associazione di stampo mafioso, in presenza di gravi indizi di colpevolezza, è la custodia in carcere – CASSAZIONE PENALE, sezione VI, sentenza n. 9249 del 26/01/2005

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Secondo
l’orientamento nettamente prevalente della Corte allorquando si ritengono
esistenti e persistenti in capo ad un soggetto indagato i gravi indizi di
colpevolezza per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. non puo’ prospettarsi un
"affievolimento" delle esigenze cautelari ed è preclusa l’adozione nei suoi
confronti di una misura meno grave di quella della custodia in carcere. Il reato
di associazione di stampo mafioso è infatti, in virtù dell’art. 275, comma 3,
c.p.p., uno dei reati per i quali, in presenza di gravi indizi di colpevolezza,
l’unica misura applicabile è la custodia in carcere, salvo che siano acquisiti
elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.

Inoltre, è
stato più volte chiarito dalla Corte che il sindacato del giudice di
legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato è – per
espressa disposizione legislativa – rigorosamente circoscritto a verificare che
la pronuncia sia sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non
viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica, non
fondate su dati contrastanti con il "senso della realtà" degli appartenenti
alla collettività ed infine esenti da vistose ed insormontabili incongruenze
tra di loro.

 

(Annaflora
Sica, 20 Settembre 2005)

 

 


CASSAZIONE PENALE, sezione
VI, sentenza n. 9249 del 26/01/2005

Composta
dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROMANO
Francesco – Presidente

Dott.
DOGLIOTTI Massimo – Consigliere

Dott. MILO
Nicola – Consigliere

Dott. ROTUNDO
Vincenzo – Consigliere

Dott. ROSSI
Agnello – Consigliere

ha
pronunciato la seguente: 32136/2004

sentenza

sul ricorso
proposto da:

M. C.;

avverso:

l’ordinanza
in data 14.5.2004 del Tribunale di Palermo;

l’ordinanza
in data 9.7.2004 del Tribunale di Palermo;

Visti gli
atti, le ordinanze denunziate ed i ricorsi;

Udita in
Camera di consiglio la relazione fatta dal Consigliere Dott. Agnello Rossi;

Udito il
Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALZANO
Francesco che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

Udito il
difensore, avv. MONACO Sergio che ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi.


 


Svolgimento
del processo

 

1. Con il
primo dei ricorsi riuniti – recante il n. 24679/04 ” G. M. ricorre per
Cassazione avverso la ordinanza in data 14.5.2004 del Tribunale di Palermo che –
in accoglimento dell’appello proposto dalla Procura della Repubblica presso il
Tribunale di Palermo – ha riapplicato nei suoi confronti la misura della
custodia cautelare in carcere annullando il provvedimento del 17.4.2004 con cui
il GIP presso il medesimo Tribunale aveva disposto la sostituzione della
custodia cautelare in carcere con quella dell’obbligo di dimora.

1.2. In
ordine alla complessa successione dei provvedimenti cautelari adottati nei
confronti del ricorrente va esposto quanto segue:

a) il
18.3.2004 il GIP presso il Tribunale di Palermo applicava a GM la misura della
custodia cautelare in carcere per l’ipotesi di cui all’art.

416
bis c.p.;

b) la difesa
del M. proponeva riesame, successivamente rinunziando all’impugnazione;

c) il
13.4.2004 la difesa dell’indagato chiedeva la revoca della misura custodiate
allegando a sostegno della assenza di elementi indiziali per il reato di cui
all’art. 416 bis c.p. sia il provvedimento del Tribunale di Palermo che aveva
annullato una precedente ordinanza custodiale del 10.9.1998 sia il dispositivo
di sentenza resa dal GUP di Palermo il 19.2.2004 che aveva assolto il M. dal
reato di tentata estorsione aggravata con la formula "perchè il fatto non
costituisce reato";

d) il GIP
presso il Tribunale di Palermo, con provvedimento del 17.4.2004, disponeva la
sostituzione della custodia cautelare in carcere con quella dell’obbligo di
dimora ritenendo che le allegazioni della difesa, pur non elidendo l’originario
quadro indiziario, giustificavano la modifica della originaria misura;

e) avverso
tale provvedimento veniva proposto appello dalla Procura della Repubblica presso
il Tribunale di Palermo;

f) con
l’ordinanza in data 14.5.2004, impugnata con il ricorso in esame, il Tribunale
di Palermo, in accoglimento dell’appello proposto dalla Procura della Repubblica
presso il Tribunale di Palermo, ha riapplicato nei confronti dell’indagato la
misura della custodia cautelare in carcere annullando il provvedimento del
17.4.2004 del GIP presso il medesimo Tribunale.

1.3. Con
l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett.
b) in relazione agli artt. 273 c.p.p. e 416 bis c.p. nonchè dell’art. 606,
comma 1, lett. e) del codice di rito per manifesta illogicità della
motivazione.

La difesa del
ricorrente sostiene che nell’ordinanza impugnata il Tribunale è incorso in
evidenti illogicità quando ha dapprima affermato che la difesa non ha allegato
alcun elemento idoneo ad attenuare il grave quadro indiziario e le esigenze
cautelari ritenute sussistenti con l’ordinanza di custodia cautelare del
18.3.2004 ed ha poi qualificato come irrilevante la produzione difensiva
relativa alla posizione del M. nell’ambito della indagine "Tie Break" e
segnatamente il provvedimento del Tribunale di Palermo che aveva annullato una
precedente ordinanza custodiale del 10.9.1998.

Inoltre il
Tribunale:

a) ha
erroneamente attribuito una "straordinaria valenza indiziaria" alla
conversazione dell’11.8.2002 intercorsa tra V. F. e il M. senza tenere conto del
fatto che nell’ordinanza di custodia cautelare del 18.3.2004 tale conversazione
aveva assunto valenza indiziaria solo in relazione ai due procedimenti penali
precedenti;

b) ha
ingiustificatamente ed illogicamente svalutato – ai fini della sua decisione –
la sentenza resa dal GUP di Palermo il 19.2.2004 che aveva assolto il M. dal
reato di tentata estorsione aggravata con la formula "perchè il fatto non
costituisce reato";

c) non si è
uniformato all’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui la
partecipazione all’associazione mafiosa implica la concreta assunzione di un
ruolo materiale all’interno della struttura criminosa e non una condivisione
meramente psicologica dei metodi e del programma dell’associazione ed ha
valorizzato come fonte di indizi la conversazione dell’11.8.2002 intercorsa tra
V. F. e il M. C. dalla quale non emergono comportamenti attivi di quest’ultimo;

d) non ha
tenuto conto che nessuna delle conversazioni telefoniche del M. – a lungo
oggetto di intercettazioni – ha mai assunto un qualche interesse investigativo;

e) non ha
considerato che l’attività di indagine non ha evidenziato pregressi rapporti di
natura illecita tra il ricorrente e i due esponenti mafiosi S.DG e DDB, dal M.
conosciuti solo perchè nati, come lui, del piccolo centro di Canicatti’;

f) non ha
motivato sulla ricorrenza delle esigenze cautelari tali da giustificare la
misura della custodia in carcere ignorando la giurisprudenza secondo cui l’esclusività
della misura della custodia in carcere opera solo nel momento iniziale del
rapporto cautelare e non nelle successive vicende della revoca, della
sostituzione e del ripristino della misura.

2. Con il
secondo ricorso – recante il n. 32136/04 ” M. ricorre per Cassazione avverso
l’ordinanza in data 9.7.2004 del Tribunale di Palermo che – in accoglimento
dell’appello proposto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di
Palermo – ha annullato il provvedimento dell’1.6.2004 con cui il GIP presso il
medesimo Tribunale aveva revocato anche la misura dell’obbligo di dimora
applicata nei suoi confronti.

2.1. Con
l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett.
b) in relazione agli artt. 273 c.p.p. e 416 bis c.p. nonchè dell’art. 606,
comma 1, lett. e) del codice di rito per manifesta illogicità della
motivazione.

Sostiene il
ricorrente che, nel decidere su di una istanza di revoca, il giudice –
contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale del riesame – ben poteva
procedere ad una rivisitazione critica dei medesimi elementi già valutati in
sede di adozione della misura.

Ed è appunto
cio’ che il GIP ha fatto tenendo conto del provvedimento del Tribunale di
Palermo che aveva annullato una precedente ordinanza custodiate del 10.9.1998 e
della sentenza resa dal GUP di Palermo il 19.2.2004 che ha assolto il M. dal
reato di tentata estorsione aggravata con la formula "perchè il fatto non
costituisce reato" e ridimensionando, alla luce degli sviluppi dei suddetti
procedimenti, anche la valenza indiziaria della conversazione intercettata
l’11.8.2002 intercorsa tra VF  M.

Il Tribunale
ha dunque errato sia quando ha accolto l’appello della Procura della Repubblica
argomentando che nessuna emergenza nuova era stato addotta dall’indagato sia
quando ha valorizzato, come unico elemento di novità, l’ordinanza del Tribunale
della libertà del 14.5.2004 che ha accolto il primo appello della Procura,
senza tenere conto che tale ultimo provvedimento non è definitivo ed è gravato
da ricorso per Cassazione e comunque non impedisce al GIP una rivisitazione
critica dei medesimi elementi già valutati in sede di adozione della misura. La
difesa del ricorrente prosegue cita

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