Se il prodotto è surgelato ma non indicato nel menu scatta la frode in commercio – CASSAZIONE PENALE, Sezione III, Sentenza n. 24190 del 27/06/2005
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Nell’ambito dell’attività di ristorazione per la quale siano impiegati prodotti
surgelati, è configurabile il tentativo di frode in commercio, non solo quando
venga omessa l’indicazione di tale tipo di alimenti nella lista delle pietanze,
ma anche quando la loro indicazione sia fatta con caratteri molto piccoli, posti
all’estremo margine inferiore della lista e in senso verticale, in modo da
sfuggire all’attenzione della clientela. Lo ha stabilto la III Sezione penale
della Cassazione nella sentenza n. 24190/2005. Secondo la Cassazione, puo’
costituire il tentativo del delitto di frode in commercio anche il semplice
fatto di non indicare nella lista delle vivande poste sui tavoli di un
ristorante che determini prodotti sono congelati, giacchè il ristorante ha
l’obbligo di dichiarare la qualità della merce offerta ai consumatore.
CASSAZIONE
PENALE, Sezione III, Sentenza n. 24190 del 27/06/2005
Con sentenza
del 23 dicembre del 2002, la Corte di Appello di Milano confermava quella
pronunciata quella pronunciata in data 2 febbraio 2002 dal Tribunale della
medesima città, con cui B. M., negate le attenuanti generiche, era stato
condannato alla pena di mesi tre di reclusione (convertita in Euro 3.486, 08 di
multa) ed alla pubblicazione della sentenza di condanna sul quotidiano La
Repubblica, quale responsabile del delitto di cui agli artt. 56e 515 c.p.
perchè, quale titolare dell’esercizio pubblico (omissis)
sito nella predetta città, aveva compiuto atti idonei diretti in modo non
equivoco a consegnare ai clienti una cosa mobile diversa per qualità da quella
dichiarata, in particolare non aveva indicato nel menu alcuni alimenti a base di
pesce come congelati, presentandoli in tal modo come freschi.
Fatto
accertato in Milano il 17 dicembre 1999.
A fondamento
della decisione osservava che, dalla documentazione prodotta e dalla
testimonianza del verbalizzante D.C. A. era emerso inequivocabilmente che nel
menu collocato su tutti i tavoli dell’esercizio commerciale, a disposizione dei
clienti, non era indicato se i prodotti a base di pesce fresco fossero freschi o
surgelati mentre dall’ispezione delle celle frigorifere era risultato che alcuni
prodotti erano esclusivamente surgelati mentre altri sia freschi che surgelati;
che il giudice di prime cure aveva correttamente richiamato a tale proposito la
prevalente giurisprudenza di legittimità secondo cui, nell’ambito dell’attività
di ristorazione per la quale siano impiegati prodotti surgelati, è
configurabile il tentativo di frode in commercio, non solo quando venga omessa
l’indicazione di tale tipo di alimenti nella lista delle pietanze, ma anche
quando la loro indicazione sia fatta con caratteri molto piccoli, posti
all’estremo margine inferiore della lista e in senso verticale, in modo da
sfuggire all’attenzione della clientela (Cass. Sez. III Peno 24/9- 22/10/1999 n.
12107, Muscinelli); che l’affermazione secondo la quale i camerieri sulla base
dei consumi giornalieri informavano di volta in volta i clienti sulla qualità
del prodotto(prima quello fresco, poi quello surgelato), rappresentava una
personale affermazione del difensore che non trovava alcun riscontro nelle carte
processuali, attesa la contumacia del prevenuto nel corso del giudizio di primo
grado; che altrettanto doveva dirsi con riferimento all’attività professionale
di architetto dell’imputato ed alla giustificazione della sua presenza
nell’esercizio in occasione dell’ispezione dei Carabinieri del Nucleo Anti-
Sofisticazioni, giacchè la S.LR.S.G.A. (Società Gestioni Ambrosiane, di cui il
pervenuto era presidente del consiglio di amministrazione, composto anche da B.
V. in veste di consigliere) gestiva esclusivamente il locale (omissis)
e non risultavano rilasciate deleghe alla gestione in favore di altri soggetti;
che correttamente erano state negate le attenuanti generiche ed era stata
irrogata una pena (detentiva) superiore al minimo edittale poichè al dato della
formale incensuratezza si contrapponevano, ex art. 133 c.p., la gravità del
fatto contestato, le modalità della condotta illecita svoltasi nell’ambito di
un’attività commerciale, i motivi di lucro che avevano indotto il prevenuto a
commettere il reato; che la pena accessoria della pubblicazione della sentenza
di condanna conseguiva automaticamente ex art. 518 c.p. e non poteva essere
revocata atteso che andava inflitta anche con riferimento all’ipotesi del
tentativo, poichè le norme incriminatrici non differenziano quest’ultimo dal
reato consumato.
Ricorre per
cassazione l’imputato denunciando la violazione degli artt. 56 e 515 c.p.
nonchè mancanza e manifesta illogicità della motivazione sotto diversi
profili.
Assume: che
l’attività di frode in commercio presuppone necessariamente un’attività
contrattuale tra venditore ed acquirente che nella fattispecie non v’è stata,
non essendo sufficiente ad integrare il tentativo la circostanza che nei menu
posti sui tavoli non si indicasse che il pesce era surgelato; inoltre la corte
aveva omesso di motivare sulle ragioni indicate dalla difesa: questa aveva
sostenuto che non si era raggiunta la prova della mancata informazione dei
camerieri in ordine allo stato di conservazione del prodotto, invece i giudici
con approssimazione avevano sostenuto che non si era raggiunta la prova
dell’informazione; che la motivazione in ordine al rigetto dell’istanza di
concessione delle circostanze generiche sarebbe illogica perchè gli elementi
utilizzati dal giudice per escludere tali attenuanti (ambito commerciale, motivo
del lucro e frode) costituirebbero in realtà i presupposti del reato; chela
corte di appello illegittimamente aveva omesso di revocare la pena accessoria
della pubblicazione della sentenza la quale trova applicazione solo per il reato
consumato e non per quello tentato.
Con memoria
aggiuntiva il ricorrente espone che, nel corso dell’ispezione, pur essendo
presente, non era stato avvertito da chicchessia della facoltà di farsi
assistere dal difensore di fiducia e che i carabinieri del NAS avevano redatto
il verbale di ispezione sanitaria, ma, procedendo agli accertamenti ed al
sequestro probatorio di cui all’art. 354, co. 2°, c.p.p., avevano omesso la
redazione del verbale prescritto dall’art. 357, lett. d) c.p.p. e di conseguenza
avevano omesso la consegna del verbale di sequestro alla persona alla quale le
cose erano state sequestrate.
Precisava che
i carabinieri gli avevano si consegnato un verbale ma questo, trattandosi di un
verbale di ispezione, non poteva fare le veci del verbale di sequestro
probatorio ex art. 355 c.p.p.
Di
conseguenza avevano omesso la trasmissione del verbale di sequestro per la
successiva convalida ex art. 355 al PM, il quale non aveva potuto convalidare il
mezzo di acquisizione della prova.
Tanto
premesso deduce che le anzidette omissioni renderebbero inutilizzabili, ex art.
191 c.p.p., le prove elette a sostegno dell’accusa (fatture, bolle di
accompagnamento e menu), perchè acquisite in violazione di specifici divieti
stabiliti dalla legge.
Sottolinea
che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 585, 581 c.p.p. e 167 disp.
Att. c.p.p., il motivo sarebbe ammissibile in quanto specificamente riferito a
capi e punti della sentenza già oggetto del motivo n. 1 del primigenio ricorso
per Cassazione.
In
particolare, i capi e punti impugnati con il motivo recepito nel ricorso
originario sono incentrati sulle caratteristiche descrittive dei menu.
Orbene,
poichè quello in questione riguarda l’inutilizzabilità a fini probatori
proprio di quei menu, è innegabile la sussistenza del rapporto di
contestualizzazione logico argomentativa che presuppone l’ammissibilità dei
nuovi motivi.
In ogni caso
tratterebbesi di violazione stabilita a pena di inutilizzabilità, ex art. 191,
2° comma, c.p.p., e percio’ rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del
procedimento.
IN DIRITTO
Il ricorso è
infondato e va quindi respinto.
Preliminarmente va esaminato l’ultimo motivo perchè logicamente prioritario.
Esso è
inammissibile oltre che infondato.
E’
inammissibile perchè i motivi nuovi devono avere ad oggetto gli stessi capi o
punti già enunciati nell’originario atto di appello, giacchè i capi ed i punti
non oggetto di lagnanza nell’imputazione principale si devono ritenere coperti
dal giudicato, e debbono consistere in ulteriori illustrazioni delle ragioni di
diritto e degli elementi di fatto già dedotti.
La diversa
soluzione contrasterebbe con il dettato di cui all’art. 167 dispos. att. c.p.p.,
comporterebbe l’elusione dei termini per l’impugnazione e renderebbe impossibile
la proposizione dell’appello incidentale (Cass. 5 marzo 1996, Hofer).
Nella
fattispecie con i motivi aggiunti sono state dedotte per la prima volta in
cassazione presume nullità processuali, impropriamente considerate assolute,
non enunciate nell’impugnazione principale ne peraltro sottoposte in precedenza
all’esame della corte territoriale.
In ogni caso
il motivo è infondato perchè l’attività ispettiva compiuta dai carabinieri
del NAS per controllare l’osservanza delle leggi sanitarie, trattandosi di
attività amministrativa preprocessuale non è sottoposta alla disciplina
prevista per l’attività di polizia giudiziaria di cui agli artt. 347 e segg.
c.p.p..
Invero
quest’ultimo presuppone l’acquisizione di una notizia criminis e
l’impossibilità del tempestivo intervento del pubblico ministero; mira ad
assicurare che le tracce e le cose pertinenti al reato siano conservate e che la
situazione dei luoghi non subisca modificazioni (art. 354 c.p.p.).
In altre
parole presuppone già l’astratta configurabilità di un reato.
L’ispezione
amministrativa prescinde invece dalla configurabilità di un reato.
Solo nel
momento in cui la polizia giudiziaria acquisisce la notizia di un reato deve
rispettare le regole imposte con glia artt. 352 e segg. e segnatamente deve
avvisare, a norma dell’art. 114 dispos. Att. c.p.p., l’indagato presente che ha
facoltà di farsi assistere dal difensore.
Nella
fattispecie solo all’esito dell’ispezione si è profilata la possibile
configurabilità del reato di cui agli artt. 56, 515 c.p., per cui non era
dovuto alcun avviso.
In ogni caso
il mancato avviso all’indagato, se presente all’ispezione, determina una
nullità a regime intermedio ai sensi degli artt. 180 e 182 che nella
fattispecie, ove sussistente, si sarebbe sanata perchè non dedotta nei termini.
L’unico
documento rilevante ai fini della decisione acquisito in quella circostanza è
costituito dalla fotocopia del menu, dove non v’era alcuna menzione del prodotto
congelato.
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