Se il nonno muore in un incidente vanno risarciti anche i nipoti -; CASSAZIONE CIVILE, Sezione III, Sentenza n. 15019 del 15/07/2005
Richiamando
alcuni precedenti giurisprudenziali, La Cassazione ha riaffermato il principio
secondo cui la morte di un congiunto, conseguente a fatto illecito, configura
per i superstiti del nucleo familiare un danno non patrimoniale diretto ed
ingiusto, costituito dalla lesione di valori costituzionalmente protetti e di
diritti umani inviolabili, quali la perdita di affetti e di solidarietà
inerenti alla famiglia come società naturale.
Il
danno in questione, incidendo esclusivamente sulla psicologia, sugli affetti e
sul legame parentale esistente tra la vittima dell’atto illecito e i
superstiti, non è riconoscibile se non attraverso elementi indiziari e
presuntivi, che, opportunamente valutati, con il ricorso ad un criterio di
normalità , possano determinare il convincimento del giudice. Elementi
indiziari possono ben essere le dichiarazioni rese dalla parte nell’interrogatorio
libero di cui all’articolo 117 Cpc,
La
Cassazione poi, sottolinea come non sia sufficiente la dimostrazionie della
esistenza di rapporti “normali” dei nipoti con il nonno. Ed infatti, a giudizio
del Supremo collegio, proprio la sussistenza di normali rapporti, specie in
assenza di coabitazione, lascia intendere come sia rimasto intatto, e come si
sia forse rafforzato nel tempo, il legame affettivo e parentale tra prossimi
congiunti. Legame che, in presenza di tali rapporti, è costruito non soltanto sul
ricordo del passato, ma anche sulla base affettiva nutrita dalla frequentazione
in atto e dalla consapevolezza della presenza in vita di una persona cara, che è
anche un punto di riferimento esistenziale. Sostenere il contrario, prosegue la
sentenza, significa pretendere, contro normale ragionevolezza, ed anche in presenza di un vincolo più
stretto, come tra genitori e figli, che il dolore per la morte del congiunto
debba essere dimostrato dalla presenza di rapporti di natura ed intensità
eccezionali e, come tali, difformi dal vissuto comune. Nè l’assenza di
coabitazione puo’ essere considerata elemento decisivo di valutazione sotto il
profilo che interessa la presente causa, quando si consideri che tale assenza
sia imputabile a circostanze di vita che non escludono il permanere dei vincoli
affettivi e la vicinanza psicologica con il congiunto deceduto.
(Marco Martini, 19 luglio
2005)
Cassazione
Civile, Sezione III, Sentenza n. 15019
del 15/07/2005
(Presidente Duva
relatore Mazza Pm . Abbritt, difforme )
Svolgimento
del processo
A
seguito di incidente stradale, cagionato da L. M., alla guida di una
autovettura di proprietà di
M.
C. ed assicurata presso la soc. LF, decedeva
G. A. e i suoi nipoti ,
discendenti in secondo grado, tali
B.
S. B. A., B.F., G.A., P.C., B.A. e P.N. adivano il Giudice di
pace di Lucca per ottenere la condanna del Mosciatti, della Lizzi e della soc.
La Fondiaria al risarcimento dei danni da loro rispettivamente subiti per la
morte del nonno.
Il Giudice di pace, con sentenza 20 febbraio 1997, accoglieva la domanda, che
era, invece, rigettata dal Tribunale di Lucca, con sentenza 4 maggio 2001,
pronunciata su appello della soc. LF. Il Tribunale riteneva infatti che non
fosse stata data prova di grave turbamento degli appellati in conseguenza dell’vento
dannoso.
Avverso tale sentenza B.i S.lvia e gli altri nipoti del G. propongono ricorso
per cassazione con due mezzi di gravame. Gli intimati non svolgono difese.
Motivi della decisione
Il
Tribunale ha osservato che il Giudice di pace ha erroneamente fondato la sua
decisione unicamente sulle dichiarazioni rese dalle parti in risposta a libero
interrogatorio e, pertanto, non su prove in senso tecnico, ma su elementi che
non costituiscono neppure indizi sui quali fondare la prova per presunzioni;
che l’unico teste escusso ha riferito di normali rapporti tra nonno e nipoti,
cosicchè non è dimostrato il grave turbamento degli allora appellati, per
difetto di prova, e non potendosi trarre argomento di decisione dal solo
rapporto di parentela. Ha ancora rilevato, contro l’accoglimento della domanda,
doversi tener conto dell’etàƒ della vittima e della mancanza di convivenza
tra questa e i nipoti.
Con
il primo mezzo di gravame i ricorrenti lamentano il vizio di omessa o
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia, osservano che il giudice a quo ha omesso di valutare pienamente
la deposizione resa dal teste G., dalla quale risultava la vicinanza
psicologica e gli stretti rapporti tra nonno e nipoti. Riportano nel ricorso
tale deposizione con la quale la G. ebbe a riferire di rapporti improntati a
vicendevole affetto, e di scambio di frequenti visite e di regali, precisando
altresi’ che il defunto G.i era solito andare a caccia con i nipoti. Censurano
altresi’ l’assunto del Tribunale, secondo cui il giudice di prima istanza
avrebbe fondato la sua decisione unicamente sulle risultanze del libero
interrogatorio degli attori e non su prove in senso tecnico. Affermano che tale
motivazione è palesemente errata, giacchè consolidata giurisprudenza
attribuisce valore probatorio alle dichiarazioni cosi’ raccolte nel processo,
specie quando questo si svolge avanti al giudice di pace.
Con
il secondo mezzo di gravame, i ricorrenti lamentano violazione di legge per
erronea e restrittiva applicazione della normativa in tema di risarcimento del
danno da illecito aquiliano, avendo il giudice a quo tenuto conto soltanto
della mancanza del requisito della convivenza.
Le
due censure, da esaminare congiuntamente perchè strettamente connesse,
meritano accoglimento.
Come
affermato da Cassazione, terza, 16716/03, la morte di un congiunto, conseguente
a fatto illecito, configura per i superstiti del nucleo familiare un danno non
patrimoniale diretto ed ingiusto, costituito dalla lesione di valori
costituzionalmente protetti e di diritti umani inviolabili, quali la perdita di
affetti e di solidarietà inerenti alla famiglia come società
naturale.
Risulta
quindi evidente, da siffatta impostazione, che il danno in questione, incidendo
esclusivamente sulla psicologia, sugli affetti e sul legame parentale esistente
tra la vittima dell’atto illecito e i superstiti, non è riconoscibile se non
attraverso elementi indiziari e presuntivi, che, opportunamente valutati, con
il ricorso ad un criterio di normalità , possano determinare il
convincimento del giudice. Cosicchè appare illogica, perchè contraria a
principi di ordinaria razionalità , la pretesa, avanzata dal giudice a
quo, circa la necessità di una prova in senso tecnico a dimostrazione
del dolore dei superstiti, che, essendo sostanzialmente un sentimento, e,
comunque, un danno di portata spirituale, puo’ essere rilevato soltanto in
maniera indiretta.
L’assunto
del Tribunale, secondo cui le dichiarazioni rese dalle parti in risposta al
libero interrogatorio non costituiscono neanche indizi su cui fondare la prova
per presunzioni, costituisce erronea interpretazione dell’articolo 117 Cpc.
Infatti, secondo Cassazione, terza, 15849/01, le dichiarazioni rese dalla parte
nell’interrogatorio libero di cui all’articolo 117 Cpc, pur non essendo un
mezzo di prova, possono essere fonte, anche unica, del convincimento del
giudice di merito, al quale è riservata la valutazione, non censurabile in
sede di legittimità , se congruamente e ragionevolmente motivata, della
loro concludenza e attendibilità (conformi, Cassazione, seconda, 7002/00;
Cassazione, prima. 10497/98; Cassazione, seconda, 7644/94). Cosi’ il giudice a
quo avrebbe dovuto esaminare tali dichiarazioni, sulle quali era fondata in
tutto o in parte la decisione di primo grado, e dare conto delle sue
valutazioni su di esse, anzichè definirle, sbrigativamente ed erroneamente,
come irrilevanti.
La
sentenza impugnata presenta, pertanto, sotto tale profilo, anche il vizio di
omessa motivazione. Ma, oltre agli elementi desumibili dall’esito dell’interrogatorio
libero, era a disposizione del Tribunale anche la deposizione della G.,
riportata nel ricorso, come in precedenza precisato.
Detta
deposizione è stata ritenuta inconferente dal giudice del gravame con l’assunto
secondo cui il teste ha riferito di normali rapporti tra nonni e nipotie.
Tale
affermazione contrasta con criteri di ragionevolezza e di comune esperienza.
Proprio la sussistenza di normali rapporti, specie in assenza di coabitazione, lascia
intendere come sia rimasto intatto, e come si sia forse rafforzato nel tempo,
il legame affettivo e parentale tra prossimi congiunti. Legame che, in presenza
di tali rapporti, è costruito non soltanto sul ricordo del passato, ma anche
sulla base affettiva nutrita dalla frequentazione in atto e dalla
consapevolezza della presenza in vita di una persona cara, che è anche un
punto di riferimento esistenziale. Sostenere il contrario significa pretendere,
contro normale ragionevolezza, ed anche
in presenza di un vincolo più stretto, come tra genitori e figli, che il
dolore per la morte del congiunto debba essere dimostrato dalla presenza di
rapporti di natura ed intensità eccezionali e, come tali, difformi dal
vissuto comune. Nè l’assenza di coabitazione puo’ essere considerata elemento
decisivo di valutazione sotto il profilo che interessa la presente causa,
quando si consideri che tale assenza sia imputabile a circostanze di vita che
non escludono il permanere dei vincoli affettivi e la vicinanza psicologica con
il congiunto deceduto. Anche sotto tale profilo la motivazione appare illogica
ed insufficiente. E’ pertanto necessario un nuovo e completo esame della
fattispecie con valutazione che si attenga ai principi dettati dalla
interpretazione delle norme ad essa applicabili.
PQM
La
Corte, accoglie il ricorso; cassa e rinvia, anche per le spese del giudizio di
cassazione, al Tribunale di Pisa.