Penale

L’inamissibilità del ricorso per cassazione prevale sempre sulla prescrizione -; CASSAZIONE PENALE, Sezioni Unite, Sentenza n. 23428 del 22/06/2005

L’intervenuta formazione del giudicato
sostanziale, derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido
perchè contrassegnato  da uno dei vizi indicati nell’art. 591 cpp comma 1, con
eccezione della rinuncia ad un valito atto di impugnazione, preclude ogni
possibilità sia di far valere una causa di non punibilità precedentemente
maturata, sia di rilevarla di ufficio.

L’intrinseca capacità dell’atto invalido di
accedere davanti al giudice dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e
propria absolubtio ab instantia, derivante da precise sequenze procedimentali,
che siano in grado di assegnare alle cause estintive già maturate una loro
effettività sul piano giuridico, divenendo altrimenti fatti storicamente
verificatisi ma giuridicamente indifferenti per essersi già formato il
giudicato sostanziale.

 

E’ questo il principio espresso dalle Sezioni
Unite Penali della Corte di Cassazione nella sentenza n. 23428/2005 dopo che la
II Sezione aveva rimesso la questione avendo essa rilevato che l’imputato aveva
già maturato la prescrizione del reato perseguito (nella specie, ricettazione)
ben prima della sentenza della Corte di Appello, senza che pero’ nessuno la
eccepisse. Pur tuttavia, il ricorso per Cassazione andava dichiarato
inammissibile stante l’assoluta genericità dei motivi. Da qui, la rimessione
alle Sezioni Unite, che avevano già affrontato in precedenza (Cass. 26/2003) la
medesima questione ma con riferimento ad una impotesi ove l’eccezione di
prescrizione era stata invece avanzata dall’imputato.

La questione si collega alla tematica avente ad
oggetto i rapporti tra inammissibilità dell’impugnazione e applicazione delle
cause di non punibilità, secondo un modello direttamente scaturente dalla
distinzione tra cause di inammissibilità originarie e cause di inammissibilità 
sopravvenute, le prime soltanto preclusive dell’applicazione dell’art. 129 cpp,
secondo un modello già delineato con sentenza del 11 novembre 1994 dele Sezioni
Unite. Dovendosi pero’ annoverare la manifesta infondatezza del ricorso tra le
cause di inammissibilità intrinseche, la cui metodica di accertamento è
assolutamente conforme a quella indispensabile per dichiarare le altre cause di
inammissibilità previste dall’art. 606 comma 3 cpp, ne consegue che sembra
superabile il richiamo al principio costituzionale del favor innocentae,
peraltro proprio ove vengano prospettate censure manifestamente infondate e di
difficile perseguimento. Difatti, una simile prassi si tradurrebbe in uno
strumento esorbitante, oltre che irragionevole, ove si volesse ad esso
attribuire una forza propulsiva da consentirne l’utilizzazione per conseguire
una dichiarazione di non punibilità derivante dal decorso del tempo nonostante
l’incontrovertibile pretestuosità (pure se soltanto oggettiva) dei motivi,
tanto da porsi come dato ontologicamente incompatibile con il favor rei.

 

(Marco Martini, 7 luglio 2005)

 


Cassazione Penale,
Sezioni Unite, Sentenza n. 23428 del 22/06/2005


(Sezioni Unite Penali, Presidente N. Marvulli, Relatore G.
De Roberto)


OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO


1. Con sentenza 27 marzo 2003 la Corte di appello di Palermo confermava la
pronunzia del locale Pretore, impugnata da B. Massimo, che aveva condannato
l’imputato, oltre che per il reato di ricettazione nella forma attenuata
prevista dall’ art. 648, 2° comma, c.p., per i reati di cui agli artt. 517
(Vendita di prodotti industriali con segni mendaci) e 489 (Uso di atto falso)
dello stesso codice, alla pena di otto mesi di reclusione e lire 1.200.000 di
multa.


2. Proponeva ricorso per cassazione la difesa del B., deducendo violazione dell’
art. 606, lettere b ed e, non essendo emerso dagli atti alcun elemento in grado
da legittimare una sentenza di condanna. La mancanza di gravi elementi indiziari
avrebbe pertanto, dovuto indurre il giudicante a pronunziare sentenza di
proscioglimento ex art. 129 c.p.p. Inoltre, la sentenza impugnata avrebbe omesso
di motivare o avrebbe comunque motivato in modo insufficiente in ordine alle
ragioni di fatto e di diritto sulle quali è fondata la sentenza di condanna.


3. La Seconda Sezione Penale della Corte, cui il ricorso veniva assegnato,
rilevava l’evidente mancanza del requisito della specificità dei motivi,
richiesto a pena di inammissibilità dagli artt. 581 e 591 del codice di rito;
accertava pero’ che per due dei reati ascritti all’imputato (quelli di cui agli
artt. 517 e 489 c.p., accertati il 3 febbraio 1994) la prescrizione era maturata
prima della pronuncia della sentenza di appello e che la causa estintiva non era
stata rilevata dalla Corte territoriale, nè era stata invocata dall’interessato
con specifica doglianza.


Con ordinanza 22 ottobre 2004, la stessa sezione rimetteva il ricorso alle
Sezioni Unite riproponendo la questione ” già sottoposta negli stessi esatti
termini al vaglio del medesimo consesso, ma non risolta perchè il capo relativo
al reato prescritto non era stato denunciato (Sez. un., 26 novembre 2003,
Hametovic) ” circa il potere-dovere del giudice di legittimità di dichiarare,
ex art. 129 c.p.p., nonostante l’ inammissibilità del ricorso, l’ estinzione
del reato per prescrizione qualora questa sia maturata prima della sentenza di
appello ma non sia stata nè dedotta dalla parte nè rilevata dal giudice.


4. Il ricorso è inammissibile per l’ assoluta carenza del necessario requisito
della specificità, richiesto dal combinato disposto degli artt. 581, lettera
c), e 591, comma 1, lettera c).


5. Prima ancora di procedere alla verifica delle sequenze ermeneutiche
indispensabili per pervenire alla soluzione del dubbio ora prospettato, è
necessario precisare come ” nonostante la Seconda Sezione abbia rimesso il
ricorso perchè venga risolto il "controverso quesito interpretativo", la cui
"perdurante attualità è documentata dall’ ordinanza in data 18.5.2004" – la
questione sottoposta ora al vaglio di questa Corte non pare, in effetti, al
centro di un vero e proprio contrasto giurisprudenziale; anzi, è l’
applicazione dei risultati interpretativi raggiunti dalla ormai consolidata
giurisprudenza di queste Sezioni unite a comportare l’ ineludibile soluzione
negativa del quesito.


6. La questione, come è noto, si ricollega alla tematica avente ad oggetto i
rapporti tra inammissibilità dell’ impugnazione e applicazione delle cause di
non punibilità, secondo un modello direttamente scaturente ” già nel vigore
dell’ abrogato codice di rito – dalla distinzione tra cause di inammissibilità
originarie e cause di inammissibilità sopravvenute, le prime soltanto
preclusive dell’ applicazione dell’ art. 129 c.p.p.


Chiamate per la prima volta a dirimere il contrasto incentrato sulla permanenza,
nel sistema del nuovo codice, di tale distinzione e, in caso di esito positivo
di un simile scrutinio, ad individuare la linea di discrimine tra
inammissibilità originaria ed inammissibilità sopravvenuta, le Sezioni unite (Sez.
un., 11 novembre 1994, Cresci) si pronunciarono nel senso della persistente
attualità di un modello informato alla distinzione sopra rammentata. Vennero
cosi’ qualificate originarie tutte le cause di inammissibilità previste dall’
art. 591 c.p.p. (con eccezione della rinuncia all’ impugnazione); vennero
qualificate cause di inammissibilità sopravvenute le sole cause di
inammissibilità previste, esclusivamente per il ricorso per cassazione, dall’
art. 606, comma 3, dello stesso codice, perchè esse comportano "un esame, a
volte anche approfondito, degli atti processuali; con la conseguenza che, nel
caso in cui questo esame faccia emergere una causa di non punibilità non ci
sono ragioni logiche per negare operatività alla norma dell’ art. 129 c.p.p.".


Il fondamento dei rapporti cosi’ individuati tra cause di inammissibilità e
applicazione della norma adesso rammentata viene rinvenuto nella ravvisata
impossibilità di utilizzare l’ art. 648 c.p.p. (le cui innovazioni rispetto
all’ art. 576 c.p.p. 1930, non eccedono l’ esigenza di un mero ammodernamento
formale) per determinare l’ ambito della cognizione del giudice dell’
impugnazione; simile disposizione è diretta, infatti, a disciplinare il
giudicato ed a segnare l’ inizio della fase esecutiva mentre è dalle norme che
regolano il processo che deve trarsi la disciplina dei rapporti tra cause di
inammissibilità e cause di non punibilità, al fine di stabilire quale tra esse
debba prevalere.


Dall’ esame comparativo dell’ art. 591 c.p.p. 1930 e dell’ art. 648, comma 2,
del vigente codice di rito si ricava allora ” seguendo gli itinerari
interpretativi percorsi da tale decisione – che la scadenza del termine per
impugnare si iscrive quale condizione per la formazione del giudicato formale,
quando l’ impugnazione non sia stata proposta, secondo una linea di tendenza
già affermatasi nel vigore del codice abrogato. In caso contrario non si
giustificherebbe la collocazione della scadenza del termine fra le cause di
inammissibilità previste, in via generale, dall’ art. 591; ed infatti ”
aggiungono le Sezioni unite – ove si volesse accedere ad una diversa
ricostruzione sistematica, si perverrebbe alla conclusione, davvero
irragionevole, se non addirittura paradossale, che l’ atto di impugnazione, pur
se tardivo, mai consentirebbe la formazione del giudicato formale, con intuibili
conseguenze anche sulla fase esecutiva.


7. Nuovamente investite della problematica concernente i rapporti tra cause di
inammissibilità dell’ impugnazione e applicazione delle cause di non
punibilità previste dall’ art. 129 c.p.p., le Sezioni unite, pur riaffermando
l’ immanenza della dicotomia cause di inammissibilità originarie-cause di
inammissibilità sopravvenute, circoscrivono ulteriormente il numero delle
seconde, con l’ enunciare il principio secondo cui l’ inammissibilità del
ricorso per cassazione derivante dalla manifesta infondatezza dei motivi non
impedisce che vengano rilevate e dichiarate, ai sensi dell’ art. 129, le cause
di non punibilità; precisando che la dichiarazione delle cause di non
punibilità resta, invece, preclusa dall’ inammissibilità derivante dall’
enunciazione nell’ atto di gravame di motivi non consentiti e dalla denuncia di
violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello, trattandosi di ipotesi
di inammissibilità originaria le quali non consentono quella delibazione sulla
fondatezza della censura che costituisce peculiarità singolare della
dichiarazione di inammissibilità per infondatezza manifesta dei motivi di
impugnazione (Sez. un., 30 giugno 1999, Piepoli).


La ricordata decisione ha, peraltro, cura di evidenziare come il contrassegno
connaturato alle cause di inammissibilità originarie è il loro riferirsi ai
requisiti formali dell’ atto di impugnazione o ai presupposti legislativamente
previsti per il valido esercizio di tale diritto; con la conseguenza che, non
involgendo un giudizio di merito, determinano la necessità di adottare una
decisione in limine, semplicemente dichiarativa della mancata instaurazione di
un valido rapporto processuale; tanto da impedire l’ inutile prosecuzione di un’
attività comunque destinata a pervenire, a norma dell’ art. 591, comma 4, anche
a posteriori, ad un accertamento negativo della pendenza del processo. In tale
ipotesi si è, infatti, in presenza di un simulacro di gravame che il
provvedimento che ne dichiara l’ inammissibilità, per sua natura dichiarativo,
rimuove dalla realtà giuridica fin dal momento della sua origine. Ribadendosi
che non puo’ valere in contrario l’ argomento secondo cui, a norma dell’ art.
648 c.p.p., se vi è stato ricorso per cassazione la sentenza è irrevocabile
dal giorno in cui è pubblicata l’ ordinanza o la sentenza che dichiara
inammissibile il ricorso. La norma fissa il momento del passaggio in giudicato
della sentenza solo in senso formale, mentre, per quanto attiene al giudicato in
senso sostanziale, deve farsi riferimento all’ insorgenza della causa di
inammissibilità. Ed il giudicato sostanziale si concretizza allo scadere dei
termini per proporre impugnazione sia in caso di mancanza o di irrituale
presentazione di essa sia in caso di gravame invalido, mentre l’ irrevocabilità
che rileva solo ai fini dell’ esecuzione della sentenza si determina all’ atto
della declaratoria di inammissibilità.


Si aggiunge, ancora, che occorre aver riferimento al diritto positivo per
individuare in quali casi si possa parlare di inammissibilità originaria,
ravvisabile per il difetto dei requisiti minimi perchè un atto possa essere
qualificato come avente natura impugnatoria, in quanto tale, idoneo a dare
ingresso ad un giudizio di impugnazione.


Dopo aver chiarito le ragioni che

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