Oriana Fallaci processa il processo di Bergamo e l’accusatore Adel Smith
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New York. “Questo processo non
è contro di me” dice Oriana Fallaci. “Non è neanche il processo di un giudice
in cerca di pubblicità, di un signore che esce dal suo minuscolo cosmo di
provincia e finalmente vede il suo nome pubblicato sui giornali. E’ un processo
che mira a creare un Caso, il Caso Fallaci. Cioè un processo che mira a
condannare una persona nota per poterne condannare altre. Io saro’ condannata. E
in certo senso, paradossalmente, sarà un bene. Una cosa che gioverà a chiarire
le cose, a dimostrare che stiamo perdendo la libertà. Perchè la mia condanna
non si limiterà a soddisfare la vanità di certi magistrati, ossia i magistrati
che incapaci di separare la Legge dalle loro scelte ideologiche o partitiche
vorrebbero sostituirsi al potere politico. Ed aprirà un varco che a cuor
leggero consentirà di condannare per reato d’opinione coloro che,
contrariamente ai magistrati, hanno il diritto e il dovere di prendere pubblica
posizione. Giornalisti, scrittori, intellettuali, cittadini che rifiutano il
Politically Correct e osano andare controcorrente. Sa, non è la prima volta che
vengo usata per aprire un varco: servire da esempio, accendere la miccia.
Successe anche quando denunciai la verità sull’assassinio di Pasolini. Per non
rivelare i nomi, non mettere a rischio la vita dei testimoni, mi appellai
all’articolo Numero Uno dello Statuto dei Giornalisti. L’articolo che vieta di
fornire le fonti di informazione quando a fornirle si rischia di rovinare
qualcuno o addirittura di condurlo al cimitero. Eppure mi condannarono lo
stesso. E nei giorni seguenti altri giornalisti vennero incriminati per lo
stesso motivo. Uno, addirittura sbattuto in prigione”.
Nello studio
newyorchese di Oriana Fallaci il telefono, un telefono bizzarramente rosso
vermiglio, squilla tutto il pomeriggio. Il segretario la chiama dal suo ufficio
della 57esima strada per informarla che la Associated Press e la Reuters e la
Cbc canadese vorrebbero un suo commento sul processo di Bergamo. Martedi’
pomeriggio, dopo la querela di un cittadino musulmano noto alle cronache per
aver vilipeso la religione cristiana e aver minacciato la Fallaci con un
libretto che chiede ai musulmani di applicare su di lei il castigo di Allah, il
giudice Armando Grasso l’ha rinviata a giudizio per vilipendio alla religione
islamica. La notizia del rinvio a giudizio ha fatto il giro del mondo. E il
telefono rosso vermiglio non tace un momento. Giornali e agenzie di stampa la
cercano. Il New York Times ne ha già scritto, cosi’ come il Washington Post. Il
Wall Street Journal insiste per intervistarla. Su Internet trovi siti che
esprimono sdegno per il reato-d’opinione e vogliono organizzarsi per darle una
mano. Oriana Fallaci non lo sa. Non vuole neanche sapere che cosa sta succedendo
al di fuori della sua casa traboccante di libri. Non vuole neanche sentir
parlare di avvocati e leggi e querele.
La notizia di Bergamo
è arrivata mentre aspettava la visita del suo oncologo, e vi ha reagito con una
amara risata. Il telefono squilla di nuovo. Stavolta il segretario le fa sapere
che attraverso un’amica s’è fatto vivo il grande giurista Alan Dershowitz,
insegnante di Legge ad Harvard, che si offre anche come suo difensore. Inoltre
è arrivato un e-mail dal professor Grayling della School of Philosofy dell’Università
di Londra il quale la informa che insieme a un gruppo di scrittori britannici le
manderà un messaggio di solidarietà e insieme alla sezione inglese del Pen e
ad altri colleghi sta preparando un’azione di protesta da diffondere in Italia e
nel resto dell’Europa.
La Fallaci appare
irritata da tanto fracasso. Non ama parlare con la stampa, non va in
televisione, non frequenta quasi nessuno, non si esibisce. Vive da sola col suo
cancro, anzi con i suoi vari cancri. “Apro bocca soltanto quando lo ritengo un
dovere”, brontola con la sua voce dura. “E negli ultimi tempi l’ho aperta
soltanto per dire la mia sull’infame condanna a morte di Terri Schindler (ndr,
Terri Schiavo), poi quando hanno scoperto che Pasolini fu ucciso da tre o
quattro persone non da una e basta. (Io l’avevo scritto trent’anni fa e per
questo ero stata processata, condannata a quattro mesi di galera). Sa, di solito
non mi piace parlare attraverso gli altri, le interviste eccetera. Se ho
qualcosa da dire, la dico scrivendo un libro, come ho fatto con La Rabbia e
l’Orgoglio, La Forza della Ragione e Oriana Fallaci intervista sè stessa e
L’Apocalisse: la Trilogia sull’Islam e sull’Occidente. E pazienza se, come nel
caso della Trilogia, scrivere quando siamo molto malati è un vero suicidio”.
Oltre che irritata, la
Fallaci appare stupita. Si stupisce sempre quando il clamore scoppia intorno al
suo nome, alla sua persona. “Ma che cosa vogliono da me? Faccio fatica perfino a
far due passi, recarmi a comprare le medicine e la Perrier. Lavoro zitta zitta
e non do’ fastidio a nessuno. Perchè mi tormentano allora?”.
Il telefono squilla di
nuovo. Stavolta è la Fox News che la vorrebbe in uno studio di Manhattan
alle 6 del mattino. “To hell with you”, risponde, ora addirittura arrabbiata.
Segue un ennesimo squillo. Oriana risponde
in inglese e continua in
francese.
“What do you
want me to say? En Italie, on punit les victimes et on acquitte les criminels”.
Non capisce, non vuole
capire, che una grande scrittrice processata per aver espresso la sua opinione
in un libro non è una notizia da poco. La cosa più strana, tuttavia, non è
questa. E’ che non si cura nemmeno di informare i suoi tormentatori che a
provocare questo processo è proprio il musulmano che nel 2002 chiedeva di
eliminarla in nome di Allah. Perchè? “Perchè quel signor Nessuno non conta
nulla. Conta il processo”.
Al processo non andrà
“manco morta”, dice categorica. “No, non li degnero’ della mia presenza. Questa
è una causa inaccettabile, inammissibile, imperdonabile. Perchè questa è una
giustizia che condanna la vittima
e assolve il carnefice. Che
anzi al carnefice permette di portare in giudizio la vittima. Se la sentenza
dirà che La Forza della Ragione costituisce reato, il ridicolo cadrà
sull’intero sistema giudiziario”. Forse, in fondo al cuore, Oriana Fallaci a
Bergamo ci andrebbe. “Ma solo per stare in tribunale tre secondi, per dare
un’occhiata al musulmano che mi fa processare per vilipendio alla religione
islamica e che infinite volte ha oltraggiato nel modo più sconcio la religione
cristiana”.
Il musulmano che con una
denuncia ha indotto il giudice bergamasco a processare la Fallaci è infatti
Adel Smith, colui che divenne noto per aver definito il crocefisso “un
cadaverino ignudo che spaventa i bambini” e per averlo staccato dall’aula della
scuola abruzzese cui è iscritto suo figlio nonchè dalla corsia dell’ospedale
dell’Aquila dov’era ricoverata sua madre, poi d’averlo gettato giù dalla
finestra. E’ anche colui che, senza giri di parole, nel denigratorio libretto
scrisse perchè la Fallaci doveva esser punita in nome dell’Islam e secondo le
leggi dell’Islam. “Donna! non dovevi dire bugie. Non ci sto! Non posso
accettarle nè, quindi, tacere. Avrai la lezione che ti meriti. Una forte
sberla. Ma non una sberla di quelle che meriti perdavvero, bensi’ uno schiaffo
morale che ti farà, forse, tornare a piangere ancora. Preparati a una forte e
giusta punizione: essere messa a nudo. Denudata. Spogliata. Non del tuo
abbigliamento come, forse, avresti desiderato (e dico ‘desiderato visto che di
te vien detto che hai ‘l’utero nel cervello’). Non mi interessa. Ma denudata
della tua forza, di quella tua tenue forza che trai dalle tue spregevoli
menzogne. Preparati! Sto per smascherarti. Preparati! Sto per infliggerti una
punizione. Te la meriti, eccome. Donna! Brutta o bella che tu sia, preparati
dunque adesso al castigo umano. Quello divino, ben più abbondante e doloroso,
lo avrai dopo, a suo tempo. Questa è una promessa”.
Alla minacciosa promessa,
Mr. Smith fece seguire quattro Sure del Corano: l’imprimatur che sigillava la
condanna. Le minacce sono esplicite. Rivolto agli italiani, Smith scrisse: “A
voi la scelta: o fate come noi Musulmani e smettete di assumere bevande
alcoliche o continuate pure a morire; a morire insieme alla Fallaci…”. Parole
che secondo lui non sono minacce bensi’ linguaggio paradossale. Eppure, dopo
quella promessa e quella minaccia, il Viminale decise di assegnare alla Fallaci
una scorta armata ventiquattro ore su ventiquattro.
Sempre pronta all’ironia,
la Fallaci vede anche il lato comico della faccenda. E si diverte a immaginare
il suo rientro in Italia dopo la condanna. “Secondo lei ” mi chiede ” i
carabinieri si troverebbero all’aeroporto per scortarmi e proteggermi dalle
minacce del musulmano, o per arrestarmi e portarmi in galera come vuole lui? E
nel secondo caso, starebbero in cella con me oppure no? A parer mio, in cella
con me dovrebbero starci. Il ministro Pisanu ci ha appena detto che in Italia la
metà della popolazione carceraria è composta da immigrati. E sappiamo bene che
la maggioranza degli immigrati è musulmana. Qualcuno potrebbe volermi ammazzare
in prigione, si’ o no?”.
Nel denigratorio libretto,
l’uomo del cadaverino ha scritto che la Fallaci è “una picchiatella assatanata,
appena fuggita, senza più la camicia di forza, da un manicomio criminale del
Ku Klux Klan”. Nonchè “una bestia selvaggia ferita a morte, traballante e
ubriaca di un profondo dolore inesplorato, arcano, stantio, mai dimenticato”.
Nonchè una donna “affetta da una avversione patologica e idrofoba” e da
“isterismo razzistico”. Nonchè “una brutta donna, brutta si’, ma più che
brutta fisicamente, cioè da di fuori, è sicuramente brutta dentro. Brutta nel
cuore. Brutta nella mente. Intrinsecamente brutta. E, senza dubbio, anche
bruta”. Nonchè una “brutta donna, brutta in tutti i sensi” e dal “miserevole
livello intellettuale e civico”. Nonchè un “romanziere di infima categoria” e
una persona che ha subi’to “in tenera età, un grave trauma psichico”. Tale da
causare “un cronico disordine psichico”. Sostiene addirittura che la Fallaci
“non è più una di noi”: è piuttosto una “povera squilibrata, etilista
all’ultimo stadio”, con “una morbosa considerazione riguardo le dimensioni degli
attributi fisici maschili”. Nonchè una “povera zitella” vittima di una
“repressione sessuale” che ama scrivere con “linguaggio usato generalmente dalle
peripatetiche”.
Ma non è finita. Citando
una battuta della Fallaci, io-di-coglioni-ne-ho-più-di-voi, Smith scrisse:
“Quello che afferma è anatomicamente impossibile; a meno che… A meno che
cosa? Ve lo lascio immaginare. Mi fido della vostra perspicacia”. Sebbene un
preciso articolo del Codice Penale condanni la diffamazione dei defunti, se la
prese anche col padre di Oriana: Edoardo Fallaci, noto liberal-socialista di
Giustizia e Libertà, eroe della Resistenza torturato dai fascisti, poi
candidato alla Costituente. Pero’ l’uomo del cadaverino descrive Edoardo come un
“padre che brutalmente batte la figlia”. Nonchè come “un cattolico nevrotico,
degno figlio dell’Inquisizione”. Nonchè un “violento, un sadico, spietato”.
Nonchè “un padre incapace di trasmettere affetto alle figlie”.
Sia per le offese a lei che
per quelle al padre, sia per istigazione all’omicidio, la Fallaci ha chiesto in
sede civile danni per tre milioni di euro. L’udienza è fissata per il prossimo
anno.
Nel frattempo, pero’, ci
sarà il processo di Bergamo. Il giudice sostiene che alcune frasi de La
Forza della Ragione sono “inequivocabilmente offensive nei confronti
dell’Islam e di coloro che praticano quel credo religioso”. Una ad una, la
Fallaci le rilegge con me. La prima di quelle contestate dal giudice dice:
Afflitti da atavica mancanza di fierezza, gli italiani non si offendono quando
gli immigrati urinano sui loro monumenti o smerdano i sagrati delle loro chiese
o buttano i loro crocefissi dalla finestra di un ospedale. E lei replica:
“Non capisco se questa frase è tolta da La Rabbia e L’Orgoglio o da
La Forza della Ragione. Deve essere incompleta, sintetizzata. Pero’ mi piace
lo stesso. La ripeto, e continuero’ a ripeterla finchè avro’ un filo di fiato
cioè fino alla morte”. La
seconda dice: Gli attentati terroristici avvenuti negli ultimi vent’anni
hanno provocato seimila morti a gloria del Corano, in obbedienza ai suoi
versetti. E lei replica: “Questa è una frase abusivamente costruita sulla
seconda pagina del capitolo Ot