Civile

Il controllo di legalità della carcerazione preventiva deve avvenire in ogni grado -; Corte Europea dei diritti dell’uomo, Causa 76024/01, Sentenza 19/05/2005

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Per i ritardi
accumulati delle autorità giudiziarie scatta la responsabilità oggettiva a
carico dello Stato


 

L’ obbligo di
accertare in tempi brevi la legalità della detenzione preventiva vale per tutti
i gradi del giudizio, anche se la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non
impone agli Stati di prevedere un doppio grado per questi controlli.
Con la sentenza di condanna contro l’Italia del 19 maggio ( causa n. 76024/ 01),
a seguito di un ricorso presentato da un accusato di stupro, sottoposto a
detenzione preventiva e poi assolto, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha
respinto le giustificazioni fornite da Roma, prevedendo, per il ricorrente,
anche una riparazione per il danno morale subito.
Secondo il governo, non c’era stata una violazione dell’articolo 5, comma 4,
della Convenzione ( che attribuisce all’arrestato il diritto di proporre ricorso
a un tribunale ” affinchè esso decida entro brevi termini sulla legalità della
sua detenzione o ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegale ” ) ,
perchè la norma non deve essere applicata nella processo in Cassazione. Questo
perchè, secondo l’Italia, la Convenzione, non obbligando gli Stati a prevedere
un doppio accertamento sulla legittimità della misura cautelare, non sarebbe
applicabile al procedimento dinanzi alla Suprema corte.
Una tesi non in linea con la Convenzione e respinta da Strasburgo. Infatti, per
i giudici europei, anche se l’articolo 5 non impone un doppio grado di
giurisdizione per l’esame della legalità della detenzione e per le istanze di
scarcerazione, se lo Stato contempla questa possibilità nel proprio
ordinamento, deve assicurare al detenuto le stesse garanzie previste in primo
grado, tra le quali una decisione sulle misure detentive da adottare in tempi
brevi.
La Corte poi, con la sua pronuncia, ha anche alleggerito l’onere della prova del
ricorrente. E’ vero ” come sostenuto dal Governo ” che la giurisprudenza
consolidata di Strasburgo richiede una valutazione delle circostanze del caso e
non un calcolo astratto della durata del procedimento, ma, secondo la Corte, pur
tenendo conto della complessità del caso in esame, non si giustifica la durata
complessiva per l’adozione delle decisioni sull’accertamento della legalità
della detenzione. Inoltre, nelle ipotesi di ricorsi presentati dalla persona
privata della libertà, i ritardi, in linea di principio, ” devono essere
imputati alle autorità, poichè nessun elemento autorizza a concludere che,
dopo aver presentato un ricorso, il detenuto abbia, in qualunque modo, ritardato
l’esame del caso ” .
Arrivando a questa conclusione, la Corte europea presume una responsabilità
oggettiva dello Stato che, attraverso le autorità giudiziarie, non rispetta
l’obbligo di celerità previsto nella Convenzione, obbligo che i tribunali
nazionali sono tenuti a garantire anche nel caso in cui siano presentate, quasi
in contemporanea, diverse istanze per l’accertamento della misura coercitiva. La
possibilità, per il detenuto, di scegliere diversi ricorsi o di presentare più
istanze di scarcerazione ” non attribuisce alle autorità un margine di
apprezzamento o la possibilità di scegliere quali istanze devono essere
trattate più rapidamente ” .
I giudici europei hanno anche chiarito i criteri per calcolare la durata del
procedimento. Il periodo da prendere in considerazione parte dal giorno della
presentazione del ricorso al tribunale fino al momento in cui la decisione delle
autorità giudiziarie è comunicata al detenuto o al suo avvocato, se non è
resa in pubblica udienza. Il giorno finale non coincide, quindi, con la data
della pronuncia del dispositivo, come invece sostenuto dal governo. In ogni
caso, pero’, la Corte ha precisato che, pur aderendo a quest’ultima ipotesi, la
durata del controllo giudiziario, sia dinanzi al Tribunale di Napoli, sia
dinanzi alla Corte di cassazione, era in contrasto con la celerità richiesta
dalla Convenzione. Marina Castellaneta, Il Sole 24 Ore

 


La sentenza:

 

(…) nel
garantire a ogni persona arrestata o detenuta la possibilità di ricorrere per
contestare la regolarità della privazione della libertà, l’articolo 5,
paragrafo 4 ? della Convenzione assicura anche il diritto per le persone
detenute, in seguito all’avvio di una simile procedura di accertamento, a
ottenere in tempi brevi una decisione giudiziaria sulla legalità della loro
detenzione e a essere rimesse in libertà se la privazione risulti illegittima&
E’ vero che la citata disposizione non obbliga gli Stati contraenti a prevedere
un doppio grado di giurisdizione sull’esame della legalità della detenzione e
sulle istanze di scarcerazione. Tuttavia, uno Stato che si doti di tale sistema
deve, in principio, accordare ai detenuti le stesse garanzie sia in appello sia
nel procedimento di primo grado, tra le quali vi è senza alcun dubbio il
rispetto dei " tempi brevi". La Corte non puo’ quindi accogliere la tesi del
Governo secondo il quale l’articolo 5, paragrafo 4 non deve essere applicato ai
ricorsi in cassazione del ricorrente.
Corte europea dei diritti dell’uomo, causa 76024/ 01 del 16 maggio 2005

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