Via liberi (per ultimi) al mandato d’arresto europeo- Approvato in quinta lettura con solo sei voti di scarto e con l’astensione dell’opposizione
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L’Italia, ultima tra i
venticinque paesi dell’Unione europea, ha finalmente recepito la decisione
quadro sul mandato d’arresto europeo firmata a Laeken nel 2001 con l’obiettivo
di rafforzare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati, soprattutto nella lotta
al terrorismo internazionale. Un approvazione da brivido, quella di ieri alla
Camera dei deputati, dal momento che il provvedimento è passato con soli sei
voti di scarto. Alla quinta lettura, dunque, è stato ha approvato l’euromandato
(il documento è leggibile tra i documenti correlati), che sarebbe dovuto
diventare operativo, sempre secondo la decisione quadro a gennaio del 2004.
Il provvedimento, che punta a sostituire l’attuale estradizione con il mandato
di cattura europeo, contiene un elenco di 32 reati per i quali è possibile la
consegna: si va dalla partecipazione ad organizzazioni criminali, al terrorismo,
dai crimini contro l’ambiente alla frode agli interessi finanziari delle
comunità europee, per i quali non è necessario appunto il requisito della
"doppia incriminazione" (ossia la garanzia per il soggetto per il quale viene
chiesta la consegna che il fatto sia previsto come reato tanto nello Stato che
lo richiede, quanto nel Paese nel quale l’arresto deve essere eseguito). Per i
reati diversi da quelli indicati il requisito della doppia incriminazione è
invece necessario. Nel mandato d’arresto devono poi essere indicate informazioni
relative all’identità della persona ricercata, all’ autorità giudiziaria che
emette il provvedimento, alla natura e alle circostanze del reato, all’esistenza
di una sentenza esecutiva, di un mandato d’arresto o analogo provvedimento, alla
pena prevista o a quella già inflitta. Se il soggetto acconsente alla sua
consegna, la procedura è semplificata. Se invece si oppone, il quadro si
complica. Spetterà all’autorità giudiziaria competente, ascoltato il
ricercato, decidere e richiedere, qualora ce ne fosse bisogno, informazioni
supplementari al Paese straniero. L’indagato poi avrà una serie di garanzie:
oltre a quella di essere ascoltato, dovrà essere informato del contenuto del
mandato ed essere assistito da un difensore e da un interprete. Entro 60 giorni
dalla data dell’arresto, l’autorità giudiziaria, che puo’ accettare o meno di
consegnare il ricercato, dovrà decidere. Salva la possibilità di una proroga
di altri 30 giorni e sempre che sussistano "gravi" indizi di colpevolezza. Ed
entro 10 giorni massimo dalla sua decisione dovrà eseguire la consegna. L’autorità
giudiziaria deve rifiutarsi di farla se contro quella persona c’è già stata
una sentenza passata in giudicato per lo stesso reato anche in uno Stato diverso
da quello richiedente; se il reato è già stato amnistiato; se aveva meno di 18
anni nel momento in cui ha commesso il reato punito "con una pena inferiore nel
massimo a nove anni". L’attuazione della decisione quadro, si legge sempre nel
testo, dovrà poi avvenire nel rispetto dei principi costituzionali in tema di
diritti di libertà e del giusto processo. Secondo l’articolo 4 del
provvedimento, dapprima bocciato dall’Aula della Camera e poi reintrodotto in
Senato, tocca al ministro della Giustizia ricevere e trasmettere i mandati.
I cinque passaggi parlamentari dimostrano la difficoltà incontrata dal testo in
Parlamento, ma anche all’interno della maggioranza, dove la Lega si è sempre
dichiarata contraria al provvedimento e lo stesso ministro della Giustizia, il
leghista Roberto Castelli non nascondeva la sua "resistenza" al progetto,
rimettendosi ogni volta alla volontà del Parlamento. Frizioni che portarono
allo "scivolone" in terza lettura alla Camera lo scorso 17 febbraio (vedi tra
gli arretrati del 18 febbraio 2005) quando l’emendamento soppressivo
dell’articolo 4 sull’autorità centrale presentato dalla Lega fu approvato
contro il parere del Governo e della commissione. La settimana successiva, il
provvedimento veniva licenziato con una maggioranza non proprio ampia (211 si’ e
175 astenuti), ma solo grazie al richiamo di tutti i capigruppo di maggioranza
ad andare in aula a votare e all’astensione di Rifondazione comunista, che
faceva da "traino" rispetto agli altri gruppi di opposizione (vedi tra gli
arretrati del 23 febbraio). Ieri comunque i si’ sono stati 191, i no sono stati
13 e 185 gli astenuti. La legge è passata quindi per sei voti di scarto ma solo
con l’astensione "responsabile" dell’opposizione, dal momento che se questa
avesse votato contro insieme alla Lega il provvedimento sarebbe stato affossato
definitivamente.
Amnistia e indulto. Mercoledi’ prossimo, 20 aprile, tutti i gruppi illustreranno
in commissione Giustizia la loro posizione in merito alle misure di clemenza.
Ieri, intanto da An ieri è partito un no condizionato: dopo la riunione
dell’ufficio di presidenza allargata ai membri della commissione Giustizia, è
stato Ignazio La Russa a spiegare la posizione del partito. "Il nostro – ha
detto la Russa al termine della riunione – è un no condizionato, ma non
ideologico. Se i fautori dell’amnistia ci assicurano la volontà di varare un
pacchetto complessivo in cui ci siano misure in favore della certezza della
pena, della lotta alla criminalità organizzata e che contenga misure più
rigorose per i recidivi, allora apriremo uno spiraglio. Per adesso il nostro è
un no. Per il resto La Russa ha incaricato Gianfranco Anedda di guidare un
gruppo di lavoro che dovrà occuparsi della materia, ma sembra a questo punto
che la discussione dell’amnistia sia subordinata alla ex-Cirielli sulla
recidiva, mentre mercoledi’ prossimo tutti gli altri partiti dovranno dire la
loro. Data entro la quale, anche la maggioranza dovrà aver trovato, almeno in
parte, una soluzione alla crisi post-elettorale. (p.a.)
Fonte:
www.dirittoegiustizia.it