Civile

Multe: il giudice di pace deve sempre motivare (nel merito) la decisione sul ricorso anche se la parte non si presenta – Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 4639 del 03/05/2005

Nel giudizio di opposizione
all’ordinanza-ingiunzione irrogativa di sanzione amministrativa pecuniaria, a
seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’articolo 23,
comma 5, legge 689/81 – nella parte in cui prevede che il Giudice di Pace
convalidi il provvedimento opposto, in caso di mancata presentazione
dell’opponente o del suo procuratore alla prima udienza, senza addurre alcun
legittimo impedimento – la convalida dell’ordinanza è subordinata alla
condizione che il Giudice di Pace esponga nel provvedimento, sia pur
sinteticamente, le ragioni per cui, in base alla documentazione in atti ed in
relazione ai motivi di illegittimità denunziati, ritenga infondato il ricorso,
dovendosi, pertanto, considerare nulla, per mancanza dei requisiti di legge, la
convalida emessa in assenza di tale motivata verifica o sulla base di
un’apparente o insufficiente motivazione (Massima non ufficiale).

di
Davis Eros Cutugno *

Con la sentenza 4639/05 – depoistata il 3 marzo e qui leggibile tra gli
allegati – la prima sezione civile della Cassazione ha cassato la decisione con
cui il GdP di Catanzaro – stante l’assenza del procuratore del ricorrente alla
prima udienza – aveva convalidato l’ordinanza ingiunzione prefettizia, ritenendo
che "l’illegittimità del provvedimento impugnato, come denunziata
dall’opponente non è rilevabile e non risulta dalla documentazione dallo
stesso allegata".
Il quadro normativo di riferimento
La decisione in esame trova la sua base normativa nell’articolo 23, comma 5
lege 689/81, che disciplina il giudizio di opposizione alle sanzioni
amministrative. In particolare, viene in rilievo il profilo della mancata
comparizione dell’opponente alla prima udienza, comportamento processuale che,
secondo l’originaria formulazione dell’articolo 23, legittimava il pretore –
oggi il Gdp – ad emettere ordinanza (ricorribile per cassazione) di
"convalida del provvedimento opposto, ponendo a carico dell’opponente
anche le spese successive all’opposizione". Tale disposizione imponeva,
quindi, di conferire, sempre e comunque, un sigillo di legittimità
all’ordinanza ingiunzione impugnata, qualora – in assenza di un legittimo
impedimento – l’opponente o il suo procuratore non comparivano all’udienza
fissata ai sensi dell’articolo 23, comma 2.
All’indomani dell’entrata in vigore della citata disposizione, veniva sollevata
– in relazione agli articoli 3 e 24 Costituzione – la questione di legittimità
costituzionale dell’obbligo di convalidare la sanzione amministrativa anche nell’ipotesi
in cui, dai vizi denunciati dall’opponente e dalla documentazione posta a
fondamento del ricorso, fosse evidente l’illegittimità del provvedimento
impugnato. Mutando un suo precedente orientamento (ordinanza 111/89), la Corte
dichiarava "l’illegitimità costituzionale dell’articolo 23, comma 5,
legge 689/81 nella parte in cui prevede che il pretore, in sede di applicazione
di sanzioni amministrative, convalidi il provvedimento opposto, in caso di
mancata presentazione dell’opponente o del suo procuratore alla prima udienza,
senza addurre alcun legittimo impedimento, anche quando l’illegittimità del
provvedimento risulti dalla documentazione allegata dall’opponente" (Corte
costituzionale, 534/90).
A distanza di cinque anni, la Consulta veniva, nuovamente, chiamata a
pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della medesima norma – sempre in
relazione agli articoli 3 e 24 Costituzione – nella parte in cui imponeva la
convalida del provvedimento impugnato anche quando l’amministrazione opposta
non produceva la documentazione idonea a provare la legittimità della
sanzione. Seguendo le orme tracciate dalla sentenza del 1990 – che aveva fatto
cadere la preclusione di analizzare il merito del ricorso qualora
l’illegittimità della sanzione fosse risultata dalla documentazione prodotta
dal ricorrente – stabiliva che "è costituzionalmente illegittimo – per
contrasto con gli articoli 3 e 24 Costituzione – l’articolo 23 comma 5 legge
689/81, recante modifiche al sistema penale, nella parte in cui, in tema di opposizione
ad ordinanza – ingiunzione che irroga sanzioni amministrative prevede che il
pretore convalidi il provvedimento opposto in caso di mancata presentazione
dell’opponente o del suo procuratore alla prima udienza senza addurre alcun
legittimo impedimento, anche quando l’amministrazione irrogante abbia omesso il
deposito dei documenti di cui al comma 2 dello stesso articolo 23, atti a
comprovare la legittimità della pretesa sanzionatoria" (Corte
costituzionale, 507/95).
Alla luce delle sentenze additive della Corte costituzionale, la pronuncia
dell’ordinanza di convalida di cui all’articolo 23, comma 5, legge 689 è,
dunque, subordinata alla concomitante sussistenza di tre presupposti: 1)
l’opponente o il suo difensore non debbono essere comparsi alla prima udienza
senza addurre alcun legittimo impedimento, che, peraltro, puo’ essere provato
anche dopo l’ordinanza di convalida, essendo "ammissibile l’istanza
diretta ad ottenerne la revoca ed è pure deducibile come motivo di ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza stessa – indipendentemente dalla presentazione
dell’istanza di revoca – l’esistenza del legittimo impedimento che non sia
stato portato a conoscenza del giudice di merito entro l’udienza fissata per la
comparizione" (Cassazione civile, Sezione prima, 6083/04); 2) l’autorità
amministrativa che ha emesso il provvedimento impugnato deve aver depositato in
cancelleria la documentazione di cui al comma 2 dell’articolo 23; 3) il giudice
deve avere valutato i motivi dell’opposizione ed escluso che essi siano fondati
sulla base del carteggio processuale, costituito dal ricorso in opposizione e
dai documenti ad esso allegati, nonchè dalla documentazione depositata
dall’amministrazione resistente.
L’assenza di uno solo di questi presupposti rende nulla l’ordinanza di
convalida (Cassazione civile, Sezione prima, 16846/04; Cassazione civile,
Sezione terza, 4586/99).
La decisione della Suprema Corte
Avendo riguardo al quadro normativo descritto, l’alto consesso ha accolto il
primo motivo di ricorso – dichiarando assorbiti gli altri – ritenendo che
"in base ai dettami della Corte Costituzionale […] l’emanazione
dell’ordinanza di convalida è subordinata alla duplice condizione della
mancata comparizione dell’opponente o del suo procuratore e della non fondatezza
dell’opposizione, da valutarsi in relazione ai motivi del ricorso dai quali è
delimitato l’oggetto del giudizio di opposizione". Secondo l’articolo 23,
cosi’ come integrato dalla sentenza additiva della Corte costituzionale 534/90,
il giudice puo’, infatti, convalidare l’ordinanza ingiunzione prefettizia
quando concorrono due indefettibili presupposti: a) la mancata comparizione
dell’opponente o del suo procuratore, senza addurre alcun legittimo
impedimento; b) la motivata valutazione che la documentazione allegata
dall’opponente (e dall’amministrazione opposta, secondo quanto aggiunto dalla
sentenza 507/95 Corte costituzionale) non dimostri(no), ictu oculi, la
illegittimità del provvedimento impugnato o, più in generale, che la
fondatezza del ricorso non risulti ex actis (requisito, peraltro, da valutarsi
in relazione ai motivi dedotti nel ricorso, che costituiscono la causa petendi
dell’opposizione: Cassazione, Su, 3271/90).
Ora, nel caso in esame, il ricorrente sosteneva che la motivazione del
provvedimento impugnato contenesse e soddisfacesse l’accertamento in ordine al
presupposto sub a), ma non quello relativo alla persuasività – sotto il
profilo della completezza valutativa – del presupposto sub b), poichè
l’espressione – "l’illegittimità del provvedimento impugnato, come
denunziata dall’opponente non è rilevabile e non risulta dalla documentazione
dallo stesso allegata" – utilizzata dal GdP per convalidare la sanzione
amministrativa contestata, non era altro che una vuota formula che riproduceva,
pedissequamente, il dictum della Corte costituzionale, senza esplicazione dei
motivi di legittimità della sanzione.
Bene, la Suprema Corte ha accolto il rilievo denunciato, argomentando che una
siffatta "motivazione deve ritenersi puramente apparente poichè, quantunque
non sia necessario fornire una articolata motivazione del riscontro di
legittimità del provvedimento, è pur tuttavia necessario, sia pure in modo
estremamente sintetico, citare gli elementi che inducono a tale
valutazione", non essendo sufficiente – per il giudizio di non fondatezza
dell’opposizione – il generico richiamo alla non evidente illegittimità del
provvedimento opposto (Cassazione civile, Sezione prima, 8738/97; conforme
Cassazione civile, Sezione terza, 6466/0). In altri termini, il giudice a quo
avrebbe dovuto evidenziare l’iter logico-giuridico che conduceva alla
legittimità del provvedimento sanzionatorio impugnato, motivando,
succintamente, in ordine alla tempestività e completezza argomentativa della
decisione prefettizia, dovendosi, per contra, ritenere nulla la convalida
emessa in assenza di tale motivata verifica (Cassazione civile, Sezione prima,
614/98).
Conclusioni
La decisione in commento si inserisce in quel solco di giurisprudenza secondo
cui tutte le fasi del procedimento amministrativo devono essere sorrette da
motivazione idonea a giustificare la legittimità della sanzione comminata; un
dovere di motivazione che, dunque, si estende, via via, dagli agenti
accertatori che hanno rilevato l’infrazione al codice della strada (Cassazione
civile, Sezione prima, 16073/04), all’autorità amministrativa che sia stata
chiamata a decidere il ricorso proposto avverso il verbale di accertamento
(Cassazione civile, Sezione prima, 519/05), financo al GdP che ritenga di
convalidare la sanzione nella particolare ipotesi prevista dall’articolo 23,
comma 5, legge 689/81.

*Avvocato


Fonte:
www.dirittoegiustizia.it

 

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