Reati societari, sanzioni al raddoppio, Il giro di vite coinvolge direttamente le aziende
Società sempre più a
rischio per i reati economici. Almeno in teoria perchè poi tutt’altre
sarebbero le considerazioni da fare sul piano pratico.
Concentratasi la polemica sulla sostanziale conservazione dell’impianto tradizionale
del falso in bilancio, sia pure con la significativa aggravante del grave danno
ai risparmiatori, è invece passata sotto traccia la stretta decisa dal disegno
di legge a tutela del risparmio approvata una settimana fa dalla Camera.
Nell’ambito del Titolo V dedicato alla ridefinizione dell’intero sistema
punitivo degli illeciti è stato deciso il raddoppio delle sanzioni
amministrative a carico degli enti. Di fatto le società, nel caso la pubblica
accusa sia in grado di dimostrare che abbiano tratto vantaggio dal delitto
commesso da un dipendente, saranno chiamate a risponderne, sia pure in termini
patrimoniali.
Il giro di vite se verrà confermato dal Senato, rappresenta un’ulteriore
evoluzione di quella responsabilità degli enti che venne introdotta nel 2001
con un decreto, il 231, allora molto contestato: per la prima volta, infatti, a
essere colpita da sanzioni anche molto gravi, tanto da evidenziare un profilo
sostanzialmente penale della disciplina, erano non più le persone fisiche, ma
gli enti, dotati o meno di personalità giuridica. Inizialmente i reati vennero
circoscritti alle sole corruzione, concussione, frode e truffa nel rapporto con
la Pa. Ma solo un anno dopo, la responsabilità degli enti fu interessata da
quella riforma dei reati societari che, fortemente voluta dal governo
Berlusconi, entro’ in vigore nella primavera del 2002, contenendo tra l’altro
il tanto contestato nuovo assetto del falso in bilancio.
Per ciascuno degli illeciti stabiliti dal Codice civile, non solo per il falso
in bilancio, venne cosi’ introdotta una sanzione pecuniaria a carico dell’ente
che avesse tratto un vantaggio dal reato. Sanzione destinata poi ad aumentare
quando il vantaggio fosse stato rilevante. Ora quegli importi vengono
raddoppiati. Una maniera per innalzare la forza deterrente in un settore come
quello della criminalità economica dove l’allarme sociale è assai diffuso
dopo la pioggia di scandali finanziari degli ultimi anni. Il meccanismo è come
sempre quello tradizionale delle quote, introdotto già nel 2001, per lasciare
il più ampio spazio di manovra all’autorità giudiziaria nella determinazione
della pena. Veniva infatti fissato un limite minimo e uno massimo entro il
quale la scelta del giudice si sarebbe potuta orientare (il valore di ciascuna quota
è compreso tra un minimo di 258 e un massimo di 1.549 euro).
Se la teoria del diritto sottolinea cosi’ l’espansione di una disciplina,
quella della responsabilità amministrativa degli enti, che il legislatore ha
considerato idonea a colpire nel corso del tempo anche la falsificazione
monetaria, il terrorismo internazionale e la tratta di persone, la cronaca
giudiziaria conduce a qualche riflessione di segno diverso. Finora nessuna
società è stata colpita da una sanzione misurata in quote, per un illecito
societario. E’ vero che i processi maturati a partire dal 2002 sono ancora in
una fase iniziale, ma i pochi casi registrati dai tribunali si sono concentrati
per lo più su episodi di corruzione e, sul piano sanzionatorio, hanno dato
luogo soprattutto a misure interdittive prese in via cautelare. Caso che non è
invece possibile riproporre nel campo dei reati societari.
La riforma del 2002, infatti, esclude l’applicazione delle sanzioni
interdittive, contemplate invece dal decreto del 2001. E sono proprio quelle
interdittive le sanzioni più temute dalle imprese che si possono trovare a
dovere fronteggiare (è già successo a Milano nel caso Siemens, con il divieto
cautelare alla contrattazione con la Pa) situazioni molto pesanti e inedite.
Avere cosi’ stabilito il raddoppio delle sanzioni pecuniarie alle società puo’
rappresentare un segnale importante, ma forse avrebbe avuto un peso diverso
l’allargamento delle sanzioni interdittive anche al settore delicato dei reati
societari.
Giovanni Negri, Il Sole 24 Ore