Equa riparazione. Sbagliare la sede del Tribunale non è negligenza – Cassazione Civile Sentenza n. 1334/2005
L’ essersi
rivolti a un giudice poi dichiarato incompetente non puo’ avere come automatica
conseguenza la negazione del diritto all’equa riparazione per l’eccessiva durata
del processo. L’indicazione arriva dalla Corte di cassazione che, con la
sentenza n.
1334 del 2005, ha chiarito che tutto il periodo necessario per arrivare alla
dichiarazione di incompetenza non deve essere necessariamente imputato alla
parte. Come pure alla parte non puo’ essere attribuito il ritardo
nell’istituzione delle sezioni stralcio.
La pronuncia deriva dalla contestazione mossa da una donna che nel 1985 aveva
convenuto il Comune davanti al pretore chiedendone la condanna all’esecuzione di
opere e al risarcimento dei danni collegati a una procedura di esproprio avviata
nei suoi confronti. Dopo cinque anni di rinvii il pretore aveva dichiarato la
propria incompetenza per valore e aveva indicato come autorità giudiziaria
competente il tribunale, fissando il termine ( rispettato) per la riassunzione
della causa. La controversia poi era rimasta congelata fino al 1998 quando, con
ordinanza del presidente della locale sezione stralcio, era stata assegnata a un
giudice onorario aggregato ( Goa).
Nel corso del tormentato iter giudiziario la parte aveva proposto ricorso
davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, reclamando la violazione
dell’articolo 6 della convenzione sulla ragionevole durata dei processi. Nel
frattempo era entrata in vigore anche la legge Pinto e l’istanza per ottenere il
risarcimento per l’eccessiva durata del procedimento era stata trasferita in
Italia, dove la corte d’appello l’aveva respinta sostenendo che il periodo
passato tra l’introduzione del giudizio e la dichiarazione di incompetenza
doveva essere attribuito alla negligenza della parte che si era rivolta per
proprio errore a un giudice incompetente.
La Cassazione non è stata di questo avviso e ha sottolineato come nella
valutazione del comportamento delle parti, da considerare per l’accertamento
della violazione del principio di ragionevole durata del processo, a contare ”
è la preordinazione del comportamento della parte alla dilatazione dei tempi di
definizione del processo ovvero la manifestazione di un atteggiamento
processuale caratterizzato da sostanziale disinteresse a una rapida definizione
del giudizio ” . Per la Suprema corte, il fatto che la parte si fosse rivolta a
un giudice incompetente non poteva esonerare la corte d’appello dal dovere di
verificare se nel periodo di cinque anni occorso per arrivare alla pronuncia di
incompetenza fossero individuabili elementi di inefficienza dell’apparato
giudiziario oppure comportamenti dilatori della parte.
In linea di principio deve comunque essere escluso che la domanda a un giudice
incompetente possa di per sè, a prescindere dalla concreta verifica dello
svolgimento processuale, provocare l’imputazione dell’intero periodo al
comportamento della parte medesima. ” L’ordinamento processuale, sia prima che
dopo le modifiche introdotte dalla legge 26 novembre 1990 n. 353, riconosce ”
ricorda la Cassazione ” comunque al giudice il potere di rilevare d’ufficio la
propria incompetenza, anche per valore ” .
Per quanto riguarda le sezioni stralcio, la sentenza avverte che il tempo
necessario per la loro attuazione non deve essere utilizzato per l’individuaizone
della durata media dei processi, dal momento che rappresenta ” un particolare
atteggiarsi ” dell’organizzazione giudiziaria per la definzione delle
controversie pendenti alla data del 30 aprile 1995. Giovanni Negri