Lavoro

Ferrovie responsabili dei danni ai lavoratori provocate dall’ amianto – CASSAZIONE CIVILE, Sezione Lavoro, Sentenza n. 644 del 14/01/2005


Le Ferrovie dello Stato sono tenute al risarcimento
dei danni provocati ai ferrovieri a causa dell’esposizione all’amianto. Lo ha
stabilito la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione respingendo il ricorso
delle Ferrovie contro una sentenza della Corte di Appello di Roma che le aveva
condannate a risarcire i danni ad un operaio nei confronti del quale non erano
state adottate le idonee misure di tutela della salute. La Suprema Corte ha
infatti spiegato che l’art. 2087 del codice civile, prescrivendo agli
imprenditori di adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro,
l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la
personalità morale dei prestatori di lavoro, ha stabilito un obbligo che si
riferisce al modo di organizzare l’impresa apprestando attrezzature e servizi
idonei allo scopo, e che, in questo caso, "non si tratta … di una piccola
impresa che galleggia nel turbinio di leggi da cui trarre indicazioni
comportamentali, ma di una grande realtà aziendale, parallela, per i servizi
sanitari, allo Stato e diffusa su tutto il territorio nazionale, dotata di un
organismo ad hoc, assistito da competenze scientifiche certamente non border
line, deputate, in primo luogo, ad assicurare e garantire la salute dei
ferrovieri", per cui "la filiera del comando, come si usa oggi delineare una
complessa realtà aziendale, ovvero la responsabilità di un’organizzazione
sanitaria di grande potenzialità sul piano della prevenzione e tutela della
salute, si è dimostrata inadeguata e/o difettosa, pur tra cotanto senno, nel
rilevare e segnalare tempestivamente al vertice gestionale il serio e non
ipotetico pericolo incombente, costituito dalle fibre d’amianto diffuse nel
materiale rotabile, suggerendo rimedi che la comunità scientifica
internazionale aveva ormai allo studio". In particolare, hanno sottolineato i
Supremi Giudici, la pericolosità dell’amianto è nota da tempo alla scienza
medica, tanto che "allo stato attuale delle conoscenze non è possibile
escludere l’esistenza di un rischio di tumore polmonare anche a livelli di
esposizione estremamente bassi".

 



CASSAZIONE CIVILE, Sezione Lavoro, Sentenza n. 644 del 14/01/2005

 

LA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE


SEZIONE LAVORO


SENTENZA


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società Rete Ferroviarie
Italiana p.a. (già Ferrovie dello Stato, società di trasporti e servizi per
azioni) propone ricorso per cassazione affidato a un motivo d’impugnazione,
ulteriormente illustrato da memoria ex art. 378, cod. proc. civ., contro la
sentenza descritta in epigrafe del Tribunale di Roma che, confermando la
decisione di primo grado, ha rigettato l’appello che aveva proposto nei
confronti del sig. S. C., a favore del quale era stata condannata al pagamento
della somma di L. 145.904.820, oltre interessi legali dalla domanda, a titolo di
risarcimento del danno biologico sofferto per la malattia tumorale causata da
esposizione all’amianto.

La sentenza d’appello ha
ritenuto, per quanto qui interessa (ovvero escluse le questioni di prescrizione
e di calcolo del risarcimento), che la responsabilità della società
ferroviaria nei confronti del C., in conseguenza della malattia sofferta
(carcinoma epidermoidale scarsamente differenziato), le andasse assegnata in
applicazione dell’art. 2087, cod. civ. [1], non essendo state tempestivamente
adottate dall’Azienda ferroviaria opportune iniziative a difesa dei lavoratori,
pur essendo note sul piano scientifico, quanto meno a partire dagli anni
sessanta, le conseguenze cancerogene dell’amianto, da ritenere fattore
sufficiente ed esclusivo, indipendentemente dal limitato tabagismo, posto che le
lavorazioni cui il C. era addetto lo esponevano ad un rischio di inalazione di
asbesto a causa del rilascio di fibre dai rivestimenti in amianto spruzzato
dalle casse dei rotabili e dalla polvere prodotta dall’usura delle pasticche
frenanti.

La parte intimata si è costituita con
controricorso.


MOTIVI DELLA DECISIONE

Con unico motivo parte
ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2087, 1218,
2043, 2697, cod. civ., anche in relazione alla legge 27/3/1992, n. 257, oltre
difetto di motivazione, perchè il Giudice di appello, condividendo il richiamo
dell’Ausiliare alla normativa interna e comunitaria che, in tema d’amianto,
sarebbe intervenuta tra gli anni sessanta e settanta, non ha tenuto conto che,
invece, cio’ si è verificato solo a partire dagli anni 80 (direttive CEE del
1980, 1983 e DM 16 ottobre 1986) ed è stato definito dalla legge n. 257 del
1992, tant’è che solo a partire dagli anni ’70 cesso’ la coibentazione delle
vetture con l’amianto e dall’inizio degli anni ’80 inizio’ il programma
ferroviario di decoibentazione delle vetture.

Nega, quindi, dovendosi
escludere una sua responsabilità oggettiva, di poter essere altrimenti ritenuta
responsabile del danno, oltretutto non avendo la sentenza considerato che le
dismissioni immediate del materiale rotabile avrebbero pregiudicato il sistema
trasporti, pur avendo, per contro, riconosciuto contraddittoriamente che il
livello d’esposizione all’amianto era estremamente basso e trascurato di
valutare che il C., dipendente dal 1959 delle Ferrovie, nel 1971 fu trasferito a
domanda a mansioni di assistente che escludevano e, comunque, riducevano il
nesso di causalità a livelli ancora più modesti.

Il ricorso non merita di essere accolto.

Va premesso che la sentenza
impugnata da atto che le non contestate lavorazioni alla quali il C. fu addetto
sino al 1971 implicavano un contatto continuo e non occasionale proprio con le
vetture e con l materiale per i quali era diffuso l’utilizzo dell’amianto.

Data questa cornice, non puo’,
per contro, essere apprezzata, per contestare l’esistenza del rapporti di
causalità e il conseguente addebito di responsabilità, l’affermazione
contenuta nel ricorso secondo cui: la stessa sentenza impugnata deve ammettere
che il livello di esposizione del C. all’amianto era estremamente basso.

Questa asserzione, reiterata
nella memoria: l’esposizione all’amianto era stata in effetti estremamente
bassa, è del tutto priva di consistenza, posto che la decisione afferma
qualcosa di assolutamente diverso, in linea con le argomentazioni che sorreggono
quel giudizio, ovvero che allo stato attuale delle conoscenze non è possibile
escludere l’esistenza di un rischio di tumore polmonare anche a livelli di
esposizione estremamente bassi.

La sentenza, come accennato,
fonda l’affermazione di responsabilità sotto il profilo della violazione
dell’art. 2087, cod. civ., (ovvero all’interno della responsabilità
contrattuale) esclusa ogni ipotesi di responsabilità oggettiva (v. motivazione
terzultimo alinea).

Quanto a questo profilo è
appena il caso di ricordare che da tempo la Cassazione ha affermato che l’art.
2087, prescrivendo agli imprenditori di adottare le misure che, secondo la
particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare
l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, ha
stabilito un obbligo che si riferisce al modo di organizzare l’impresa
apprestando attrezzature e servizi idonei allo scopo.

In particolare l’art. 2087 non
contiene soltanto l’enunciazione di un dovere imposto nell’interesse generale,
ma sancisce una vera e propria obbligazione, imponendo all’imprenditore una
serie di misure che si risolvono in una prestazione, che egli tenuto ad adempire
e che il lavoratore ha diritto di pretendere (v. Cass. 18 novembre 1976, n.
4318).

Orbene, in relazione al tempo
della prestazione lavorativa (anni dal ’59 al ’71), le Ferrovie dello Stato,
com’è noto, costituite con una speciale autonomia nell’ambito del Ministero dei
trasporti (e dell’aviazione civile), erano strutturate, al di la degli Uffici
direzionali propri di una Azienda autonoma, in Servizi, uno dei quali, non
ultimo per importanza, era rappresentato dal Servizio sanitario che si avvaleva
di medici, non solo di ruolo ma, in relazione alle singole specialità
professionali, di un elenco organico di medici c.d. fiduciari, tra cui
rivestivano una significativa rilevanza i consulenti (che la dottrina riferisce
espressi da docenti universitari), sia addetti alla sede centrale, sia ai
distretti periferici della rete ferroviaria (v. r.d. 8 gennaio 1925, n. 34,
recante modificazioni all’art. 82 della legge 7 luglio 1907, n. 429 circa il
servizio sanitario delle ferrovie dello Stato, nonchè DM 9 aprile 1968, n. 3685
e DM 19 giugno 1974, senza n.).

Non si tratta, cioè, in questa
fattispecie, di una piccola impresa che galleggia nel turbinio di leggi da cui
trarre indicazioni comportamentali, ma di una grande realtà aziendale,
parallela, per i servizi sanitari, allo Stato e diffusa su tutto il territorio
nazionale, dotata di un organismo ad hoc, assistito da competenze scientifiche
certamente non border line, deputate, in primo luogo, ad assicurare e garantire
la salute dei ferrovieri.

Orbene, la filiera del comando,
come si usa oggi delineare una complessa realtà aziendale, ovvero la
responsabilità di un’organizzazione sanitaria di grande potenzialità sul piano
della prevenzione e tutela della salute, si è dimostrata inadeguata e/o
difettosa, pur tra cotanto senno, nel rilevare e segnalare tempestivamente al
vertice gestionale il serio e non ipotetico pericolo incombente, costituito
dalle fibre d’amianto diffuse nel materiale rotabile, suggerendo rimedi che la
comunità scientifica internazionale aveva ormai allo studio.

In particolare, la pericolosità
dell’amianto, conclamata non da ipotetici indizi o evidenti ignoranze legali, ma
da vieppiù diffusi allarmi manifestati, sin da prima del periodo qui in
evidenza, dalla scienza medica sui perversi effetti incidenti sul bene primario
della salute (che la Costituzione e il codice garantiscono) in caso si
situazioni non occasionate da congiunture sporadiche o transitorie, ma
avvalorate da attività permanenti, contigue alle fonti di diffusione delle
particelle di asbesto, riconosciute evidenti attraverso il dibattito giudiziario
e la consulenza medico legale, azzera il tentativo, espresso dal ricorso, di
escludere la responsabilità contrattuale dell’Ente nei confronti dei suoi
dipendenti, impedendo l’accoglimento del ricorso.

Infatti, la responsabilità
dell’imprenditore ex art. 2087, cod. civ., non è limitata alla violazione di
norme d’esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, ma va estesa,
invece, nell’attuale sistema italiano, supportato a livello costituzionale, alla
cura del lavoratore attraverso l’adozione, da parte del datore di lavoro, nel
rispetto del suo diritto di libertà d’impresa, di tutte quelle misure e delle
cautele che, in funzione della diffusione e della conoscibilità, pur valutata
in concreto, delle conoscenze, si rivelino idonee, secondo l’id quod plerumque
accidit, a tutelare l’integrità psicofisica di colui che metta a disposizione
della controparte la propria energia vitale (v. ad es. Cass., 23 maggio 2003, n.
8204; 29 dicembre 1998, n. 12863; 8 aprile 1995, n. 4078).

Ogni ulteriore considerazione
appare, a questo punto, inutile per rimarcare il rigetto del ricorso.

Le spese processuali di questo
giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da
dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alle spese che liquida in
Euro 27,00, oltre Euro 3.000 per onorari.

Roma, 13 dicembre 2004.

Depositata in Cancelleria il 14 gennaio 2005.

 

 

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