Sgarbi non diffamò Camilla Cederna sul delitto Calabresi, attribuendo alla stessa una responsabilità morale e non giuridica – CASSAZIONE CIVILE, Sezione III, Sentenza n. 559 del 13/01/2005
Vittorio Sgarbi non diffamo’ Camilla
Cederna a proposito dell’omicidio del commissario Calabresi, e non è quindi
tenuto a risarcire i danni morali agli eredi. La Terza Sezione Civile ha
respinto il ricorso degli eredi della scrittrice contro il noto critico d’arte,
ex sottosegretario ai Beni Culturali, che, nel 1991, nel corso di una
trasmissione televisiva, aveva definito la scrittrice Camilla Cederna "quasi
mandante" dell’omicidio del commissario Calabresi in quanto, a suo dire, aveva
contribuito, con un suo libro, dal titolo "Pinelli, una finestra sulla strage",
a creare un clima di odio verso l’ufficiale di polizia, che poi venne
assassinato. Secondo la Suprema Corte, che ha confermato la sentenza di secondo
grado emessa dalla Corte di Appello di Milano, Sgarbi ha esercitato il diritto
di critica, attribuendo alla Cederna "una responsabilità morale e non già
giuridica dell’omicidio Calabresi", in quanto, come è stato sottolineato dai
giudici dell’appello, il libro aveva senza dubbio "contribuito a suscitare quel
clima di odio, nel quale maturo’ l’omicidio".
CASSAZIONE CIVILE, Sezione III, Sentenza n. 559 del 13/01/2005
(Presidente: V.
Duva; Relatore: F. Sabatini )
LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
SENTENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il 17 novembre 1991, nel corso di una trasmissione
televisiva, il sig. Vittorio Sgarbi, richiesto di esprimere la propria opinione
sul Presidente della Repubblica Cossiga, testualmente affermo’: "Leone fu una
vittima.
Non aveva fatto le cose che dicevano di lui.
E’ stato ingiustamente incriminato da giornalisti
poco attendibili come Camilla Cederna., cosi’ come in altri casi C. C. è stata
quasi mandante dell’omicidio Calabresi perchè ha scritto un libro contro
Calabresi incriminandolo come se fosse stato l’assassino del famoso anarchico
Pinelli".
Con atto di citazione del 3- 11 giugno 1993 la
signora C., tanto premesso e premesso altresi’ che tali giudizi erano lesivi
della propria reputazione, convenne in giudizio lo S. e la società R.T.I.,
questa quale ente gestore della emittente televisiva, e ne chiese la condanna al
risarcimento dei danni subiti.
Resistendo i convenuti, con sentenza del 16 ottobre
1996 il Tribunale di Monza accolse la domanda nei soli confronti dello S. e
liquido’ il danno in L. 100 milioni oltre accessori.
La sentenza fu impugnata in via principale dallo S.
ed in via incidentale dalla C., per la quale, deceduta nel corso del giudizio di
appello, si costituiscono poi gli eredi.
Con la pronuncia, ora gravata, la Corte di appello
ha accolto il gravame principale e per l’effetto ha respinto la domanda, ed ha
invece rigettato l gravame incidentale.
Esclusa l’applicabilità dell’art. 68 secondo e
terzo comma della Costituzione con il duplice rilievo che non era necessaria
l’autorizzazione a procedere trattandosi di responsabilità civile, e che non
era inoltre provata la dedotta qualità dello S., all’epoca del fatto, di membro
del Parlamento, punto della decisione sul quale si è formato il giudicato in
difetto di ricorso incidentale dello stesso, soccombente, per quanto ancora
interessa la Corte ha affermato che l’espressione: quasi mandante dell’omicidio
Calabresi, che sembrava attribuire una responsabilità di natura morale e non
giuridica, doveva essere valutata nel contesto delle affermazioni dello S.,
orbene, la C. aveva scritto un libro (Pinelli, una finestra sulla strage) che
aveva contribuito a creare un clima tale da determinare sentimenti di disistima
nei confronti del commissario Calabresi; pur avendo l’autrice perseguito
l’intento di sciogliere gli interrogativi suscitati dalla morte del Pinelli,
ella aveva di fatto partecipato, anche con altre pubblicazioni, a quell’opera di
linciaggio morale del commissario, che poi aveva portato al suo assassinio; in
tale contesto i giudizi espressi dallo S., che addebitavano alla C. una
corresponsabilità morale nell’assassinio per le pesanti insinuazioni da lei
espresse sul comportamento del commissario Calabresi in occasione della morte
del Pinelli, costituivano legittimo esercizio del diritto di critica, non
essendo dubitabile la sussistenza dei requisiti dell’interesse sociale alla
informazione e della correttezza dell’espressione.
Per la cassazione di tale decisione gli eredi C.
hanno congiuntamente proposto ricorso, affidato a due motivi, cui lo S. e la
R.T.I. resistono con distinti controricorso.
I
ricorrenti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La controricorrente società R.T.I. ha eccepito l’inammissibilità
del ricorso nei propri confronti sul rilievo che, in dispositivo, la sentenza
impugnata ha espressamente statuito il rigetto dell’appello incidentale della C.
nei riguardi di essa controricorrente, con decisione che non ha formato oggetto
del ricorso stesso.
L’eccezione è infondata.
Ancorchè il dispositivo della sentenza impugnata
sia formulato nei sensi indicati da detta società, il dispositivo stesso,
interpretato alla stregua della relativa motivazione, indica pero’,
univocamente, che, come i ricorrenti rettamente rilevano in memoria, la Corte
territoriale intese in realtà dichiarare assorbito l’appello incidentale, quale
effetto dell’accoglimento dell’appello principale dello S., pur utilizzando in
dispositivo un’espressione impropria.
Ed in effetti, in tanto essa avrebbe potuto
prendere in esame l’appello incidentale, diretto alla condanna della società
proprietaria del canale televisivo, mandata assolta in primo grado, in quanto
fosse stata confermata la responsabilità dello S., che attraverso detto mezzo
aveva manifestato le opinioni delle quali la C. si era doluta: ma essendo stato
anch’egli assolto in appello, ogni questione sulla responsabilità della
società era rimasta superata.
La notificazione del ricorso anche alla società
deve pertanto intendersi fatta ai soli effetti di cui all’art. 332 c.p.c.,
trattandosi di cause scindibili, con la conseguenza che, solo in caso di
accoglimento del presente ricorso, il giudice del rinvio dovrebbe esaminare
anche l’appello incidentale, sempre subordinatamente all’affermazione di
responsabilità dello S.
Il ricorso, rettamente limitato,
pertanto, ai soli rapporti C.- S., contiene due motivi strettamente connessi,
con i quali i ricorrenti, nel dedurre rispettivamente vizi di motivazione, che
affermano apparente, e la violazione degli artt. 21 Cost., 51, 595 e 596 c.p., e
115 c.p.c. [1],
allegano che attribuire a taluno la responsabilità soltanto morale di un
omicidio integra l’illecito della diffamazione; addebitano alla sentenza
impugnata di non essersi neppure posta la domanda se la C. avesse veramente
scritto che Calabresi era stato l’assassino del Pinelli; qualificano come
divagazioni metagiuridiche le argomentazioni concernenti gli effetti che
sarebbero stati provocati dal libro della C. nel contesto politico e sociale del
tempo; lamentano il mancato compimento della verifica dell’affermazione dello
S., secondo la quale nel proprio libro l’autrice aveva incriminato il
commissario come fosse l’assassino dell’anarchico, nonchè la mancata
considerazione del mezzo con il quale lo S. aveva manifestato le sue opinioni,
una trasmissione televisiva di intrattenimento rivolta ad un pubblico passivo;
richiamano i noti limiti all’esercizio del diritto di cronaca e di critica;
osservano che sono inammissibili attacchi gratuiti ed ingiustificati all’altrui
sfera morale, quali dovevano essere considerati le espressioni dello S., il
quale si intratteneva su argomento che non interessava la C. (il Presidente
Cossiga); sostengono che gli effetti provocati dal libro della C. non
attingevano gli estremi del notorio.
Il controricorrente, premesso che i libri, se non
uccidono fisicamente, possono nondimeno annientare la reputazione di una
persona, sostiene essere notorio, e di aver comunque e documentalmente provato,
sia con il libro della C. che con quello della vedova del commissario, che non
solo giornalisti, ma perfino storici, filosofi e ideologi della sinistra anche
extraparlamentare, rievocando i drammatici eventi di piazza Fontana e quelli
successivi che portarono all’assassinio del commissario Calabresi, si sono
assunti la responsabilità, morale e non giuridica, della creazione del clima
arroventato che è esitato nel linciaggio morale e, poi, nella soppressione del
commissario; la C., politicamente schierata, era nota per la sua irruenza e per
non aver risparmiato pesanti e martellanti commenti nonchè subdole insinuazioni
a carico del commissario, che, a suo dire, aveva un vestito da gangster ed era
difeso dallo stesso avvocato che aveva assistito poliziotti accusati
dell’omicidio di sette operai: fatti e circostanze, afferma l controricorrente,
che la Corte territoriale ha ben valutato, con argomentazioni delle quali i
ricorrenti pretendono l’inammissibile riesame.
Le censure sono infondate.
Deve anzitutto precisarsi che esse non riguardano
la poca attendibilità attribuita dallo S. alla C. riguardo al Presidente Leone,
ingiustamente incriminato, appunto aveva anche affermato il predetto, da
giornalisti poco attendibili, ma solo la seconda parte dell’intervista
televisiva, con la quale lo stesso aveva qualificato la scrittrice quasi
mandante dell’omicidio Calabresi per aver scritto un libro contro di lui
incriminando come se fosse stato l’assassino del famoso anarchico Pinelli.
Tanto precisato, la Corte osserva che, in tema di
diffamazione a mezzo stampa, per l’applicazione della scriminante dell’esercizio
del diritto è necessaria non solo la verità oggettiva del fatto, ma anche la
c.d. continenza, e cioè la correttezza dell’esposizione di esso (Cass. n.
11455/03); va ricondotta, ha precisato Cass. n. 196/03, al legittimo esercizio
del diritto di informazione e di critica anche l’attribuzione ad un soggetto di
un reato, quando non si traduca in una enunciazione immotivata ma possa
ricavarsi, con l’ordinario raziocinio dell’uomo medio e con minore o maggiore
fondamento, dalla concatenazione di un certo numero di fatti veri,
obiettivamente e correttamente riferiti, che rivestano interesse per una
collettività più o meno vasta di soggetti.
A tali criteri, che sembrano essere condivisi anche
dalle parti e che il collegio a sua volta condivide e fa propri, si è attenuta
anche la sentenza impugnata la quale, dopo aver rettamente collegato il giudizio
di quasi mandante alla sola pubblicazione del libro, ne ha tratto, anzitutto e
motivatamente, che lo S. aveva attribuito alla C. una responsabilità soltanto
morale e non già giuridica nell’omicidio Calabresi.
Essendo, tuttavia, suscettibile di arrecare offesa
all’altrui reputazione anche la sola attribuzione di siffatta responsabilità,
tanto più perchè collegata nella specie ad un fatto di estrema gravità quale
l’assassinio del commissario, il passaggio successivo era costituito dalla
necessaria verifica se tale negativo giudizio, del quale la Corte territoriale
non ha affatto posto in dubbio la lesività, di per se, della personalità
morale della C., fosse o non basato su fatti veri.
Orbene, la stessa Corte non si è affatto sottratta
a tale verifica e, alla stregua sia dell’esame diretto del libro, allegato agli
atti, sia dell’impatto che ha accertato essere stato da esso provocato
nell’opinione pubblica dell’epoca, ha ritenuto rispondente al vero che il libro
avesse contribuito a suscitare quel clima di odio, nel quale maturo’ l’omicidio.
Quanto all’esame diretto del libro, la motivazione,
per quanto sintetica, è nondimeno adeguata, giacchè mostra di recepire e far