CONFERENZA STAMPA DEL PRESIDENTE VALERIO ONIDA Palazzo della Consulta, 20 gennaio 2005 Introduzione del Presidente
Una difesa del ruolo indipendente della Corte
costituzionale non solo nei confronti della politica ma anche della nuova
giustizia costituzionale europea: la relazione del presidente della Consulta
Valerio Onida, pronunciata davanti alla stampa il 20 gennaio, ha sottolineato
che ai giudici di piazza del Quirinale non è ancora destinato il ruolo
secondario di corte regionale. Non solo, la Corte ha anche una funzione per
certi assimilabile a quella del giornalismo di istituzione di garanzia: il
presidente Onida ha dunque polemizzato con chi ritiene che in Italia queste
istituzioni manchino, pur se in Italia non c’è una cultura politica diffusa che
ne apprezzi l’importanza.
Onida si è soffermato infine sulle carenze o sulle lacune che si verificano nel
nostro Paese in tema di diritti, spesso in contrasto con la legislazione
europea: queste carenze derivano più "da incertezze interpretative o da cattive
applicazioni delle leggi o da disfunzioni di apparati, fattori dunque che
richiedono, per essere ovviati, non tanto una verifica sulla costituzionalità
di leggi, quanto efficienti sistemi di tutela nei casi concreti, e dunque il
buon funzionamento dei rimedi giurisdizionali: quelli comuni e, se occorresse e
se vi fosse, quello offerto dal ricorso costituzionale".
CONFERENZA STAMPA DEL PRESIDENTE VALERIO ONIDA Palazzo della Consulta, 20
gennaio 2005 Introduzione del Presidente
1. L’annuale conferenza stampa del Presidente è
una delle rare occasioni per riflettere sui rapporti fra la Corte e i mezzi di
comunicazione. Rapporti, direi (scherzosamente) di amore-odio. In ogni caso, non
facili.
A differenza delle istituzioni propriamente
politiche, la Corte non fonda la propria legittimazione sul consenso elettorale,
non utilizza e non deve utilizzare sistematicamente la comunicazione pubblica
come strumento per assicurarsi il consenso. Non ha dunque fra le sue esigenze
quella di "passare" nei mezzi di comunicazione: anche se, in una società
democratica, tutto cio’ che riguarda il funzionamento delle istituzioni
pubbliche e l’impatto della loro attività sulla vita degli individui e della
società puo’ e deve essere oggetto di comunicazione e di discussione.
La particolarità della Corte, come in genere degli
organi di tipo giurisdizionale, è che le giustificazioni delle proprie
decisioni sono date e devono essere date nelle motivazioni che essa è tenuta a
formulare e a rendere pubbliche: donde l’importanza, per la comprensione del
significato delle pronunce, dell’analisi delle motivazioni, che sono d’altronde
caratterizzate da una dose inevitabile di tecnicismo.
Si aggiunga che, nella nostra tradizione, anche
l’udienza pubblica non è il luogo di una discussione tra gli avvocati ed i
giudici: questi si limitano ad assistere per lo più muti all’argomentare delle
parti, in dialettica fra loro quando sono più d’una e sostengono posizioni
contrapposte, o altrimenti anche in un monologo. Nulla avviene di quanto è
invece usuale nella pratica di altre Corti, come ad esempio la Corte suprema
degli Stati Uniti, le cui udienze su temi importanti sono oggetto di diffuse
cronache sui grandi giornali.
Per di più, il carattere strettamente collegiale
della Corte e di tutta la sua attività, e l’impossibilità di rendere pubbliche
le eventuali opinioni dissenzienti di singoli giudici, impediscono di
personalizzare le decisioni e di provocare l’espressione di posizioni e pareri
individuali dei giudici sulle questioni sottoposte alla Corte. Non impediscono,
naturalmente, di spiegare la portata e gli effetti delle pronunce e delle loro
motivazioni.
Si capisce bene, allora, come fare della buona
informazione sulla Corte e sui suoi atti richieda speciali capacità e una
speciale qualificazione anche professionale in chi la cura. Occorre saper
leggere e interpretare il linguaggio delle decisioni, saperne cogliere i nessi
con i dati normativi e con le decisioni precedenti, saper comprendere le
dinamiche di un organo che esprime una necessaria continuità di indirizzi nel
tempo, pur con tutte le variazioni e le evoluzioni possibili. Bisogna, ad
esempio, saper spiegare ” e non è sempre facile ” la differenza fra una
pronuncia di accoglimento, una di rigetto, una pronuncia interpretativa e una
pronuncia di inammissibilità, con tutte le variazioni e le sottigliezze che
possono accompagnarsi all’uso di queste tecniche.
Il pubblico dei vostri lettori ha il diritto di
sapere e di capire, e il vostro compito è di renderlo possibile.
Non ha nulla a che fare, invece, con la corretta
informazione la ricerca esasperata di indiscrezioni su cio’ che è
avvenuto in camera di consiglio o sulle posizioni assunte in quella sede da
questo o da quel giudice. Esse non aggiungono nulla all’informazione dei lettori
e non sono notizie nel senso del giornalismo autentico, se non altro perchè non
sono verificabili nè falsificabili: non possono infatti essere nè confermate
nè smentite senza violare nuovamente la riservatezza della camera di consiglio.
Quando poi le decisioni della Corte hanno un
impatto diretto su temi oggetto di dialettica e di polemica politica quotidiana,
il rischio della strumentalizzazione è sempre in agguato. Allora è necessario
distinguere bene i fatti ” le pronunce e i loro reali contenuti ” dalle opinioni
che i protagonisti della politica esprimono su di essi. Puo’ accadere di
constatare ” a me è accaduto anche di recente, ad esempio in occasione della
decisione della Corte sulla questione del Crocifisso nelle aule scolastiche ”
che la corretta informazione, che pure vi è stata, sulla portata e sul senso
della decisione della Corte risulti immersa in una profluvie di esternazioni
politiche ” trattate anch’esse come notizie ” che disorientano per l’assenza,
talora, di nessi effettivi con cio’ che la Corte ha deciso e ha detto.
Riconoscere la difficoltà del vostro lavoro
significa anche riconoscere, quando c’è, il pregio e la qualità dell’opera
informativa che voi realizzate. Forse la Corte, per conto suo, potrebbe fare di
più per rendere più agevole il vostro lavoro, per esempio fornendo
sistematicamente ai mezzi di comunicazione strumenti accessibili di informazione
corretta sulla portata e il contenuto delle decisioni. Di recente abbiamo
cercato di diffondere di più la conoscenza sui modi di lavorare della Corte e
sulle sue tecniche di giudizio. Nel sito web della Corte ” che certo puo’ essere
arricchito e migliorato ” si possono ora trovare gli abstracts delle principali
decisioni, tradotti in inglese, per favorire l’accesso alla nostra
giurisprudenza a livello internazionale. Richieste e suggerimenti in questo
campo, provenienti dagli operatori professionali dell’informazione, sono più
che benvenuti.
2. In una società democratica, il giornalismo di
informazione ha una funzione essenziale di controllo sul potere e sul suo
esercizio, che per alcuni versi è sostanzialmente assimilabile a quella delle
istituzioni di garanzia, tra le quale vi è la Corte costituzionale. Per questo,
anche, l’indipendenza dei mezzi di comunicazione dai centri del potere è un
bene prezioso quanto l’indipendenza delle istituzioni di garanzia e di coloro
che ne sono titolari. Recentemente il neo-direttore di un grande quotidiano ha
scritto che "l’Italia è povera di istituzioni di garanzia". Non sarei
d’accordo, se con cio’ si intendesse dire che il nostro sistema
politico-costituzionale è scarso di articolazioni e di organi con funzioni di
garanzia. Queste ci sono e sono ben radicate nel sistema. Ma concordo
interamente con lui quando afferma che l’Italia "non esprime una cultura
politica diffusa che ne apprezzi l’importanza" (s’intende, delle istituzioni di
garanzia); e che "senza il rispetto per il ruolo dell’informazione e per
l’indipendenza delle autorità di garanzia, una democrazia è pura finzione".
La Corte costituzionale è istituzione di garanzia
per eccellenza: il rispetto della sua piena indipendenza, che non significa
reciproca ignoranza e indifferenza rispetto agli organi politici, ma netta
separazione e distinzione dei rispettivi ruoli, dei criteri che ne guidano
l’azione e delle relative logiche nei processi decisionali, è un bene
essenziale della democrazia.
3. Mi asterro’, in questa sede, dal riferirmi anche
sinteticamente all’intera attività della Corte nel 2004 (analiticamente
descritta nella relazione predisposta dal Servizio studi), un anno che ha visto
succedersi tre Presidenti della Corte: prima di me, Riccardo Chieppa e Gustavo
Zagrebelsky, ai quali esprimo ancora una volta la gratitudine della Corte.
Mi limitero’ (dando poi spazio a tutte le vostre
domande, a quelle a cui cerchero’ di rispondere ed eventualmente a quelle a cui
non potro’ rispondere) ad alcune osservazioni su due aspetti della nostra
attività: il contenzioso fra Stato e Regioni e i conflitti fra poteri.
Voglio pero’ premettere una breve considerazione
sulla durata dei procedimenti. Come sapete, la ragionevole durata dei processi
è oggetto di un diritto garantito dalla convenzione europea dei diritti
dell’uomo, e oggi anche di un vincolo costituzionale, in base all’art. 111,
secondo comma, della Costituzione come modificato dalla legge costituzionale n.
2 del 1999. D’altronde essa corrisponde ad un’esigenza essenziale perchè sia
resa davvero giustizia. La situazione di endemica violazione di questo diritto,
che caratterizza purtroppo il nostro paese, tanto da avere costretto, di fronte
alle migliaia di denunce alla Corte europea dei diritti, a creare un apposito
ricorso interno per offrire una qualche riparazione, costituisce ragione di
grave preoccupazione.
Anche la Corte costituzionale non si sottrae al
dovere di rendere effettivo questo principio, sia quando essa costituisce
l’istanza giurisdizionale davanti a cui il procedimento si esaurisce, sia quando
il suo intervento si inserisce in altro procedimento giudiziario, come nel caso
delle questioni sollevate in via incidentale. Sono state effettuate elaborazioni
sulla durata media dei vari tipi di procedimenti davanti alla Corte per il
decennio 1995-2004, da cui risultano fra l’altro i seguenti dati. La durata
media di tutti i procedimenti definiti nei dieci anni è di 353 giorni. Per i
giudizi in via incidentale (i più numerosi) è di 339 giorni, pur oscillando,
per i giudizi iniziati nei singoli anni, da 236 a 417 giorni. Durate medie più
elevate (rispettivamente 515 e 645 giorni) caratterizzano i giudizi di
legittimità in via principale e i giudizi per conflitto di attribuzioni fra
Stato e Regioni. La media nei giudizi per conflitto fra poteri è di 391 giorni,
e di 223 giorni quella dei giudizi di ammissibilità preliminare dei conflitti
medesimi.
Complessivamente puo’ dirsi che il grosso dei
procedimenti si esaurisce entro il secondo anno successivo a quello in cui essi
iniziano: per lo più non si va oltre 18-24 mesi. Ad oggi, tutti i giudizi
introdotti fino al 2002 compreso, e buona parte di quelli iniziati nel 2003,
sono definiti o almeno fissati per la decisione nei primi mesi del 2005; dei
procedimenti iniziati nel 2004 sono già definiti il 31,44 % dei giudizi in via
incidentale e il 19,83% dei giudizi in via principale.
Non sono dati pienamente soddisfacenti, ma nemmeno
allarmanti. La Corte sostanzialmente riesce a far fronte al proprio carico di
lavoro. Le pendenze restano stabili o diminuiscono: ad oggi risultano in attesa
di fissazione solo 198 questioni incidentali (accorpate le questioni sollevate
da più atti introduttivi), 24 ricorsi di legittimità in via principale, 22
ricorsi per conflitto di attribuzioni fra Stato e Regioni e 27 ricorsi per
conflitto tra poteri.
In via generale si deve osservare che durano di
meno i giudizi in via incidentale nei quali, non essendovi parti private
costituite o emergendo motivi di manifesta infondatezza o di manifesta
inammissibilità della questione, la Corte procede senz’altro in camera di
consiglio; mentre per le cause che devono essere trattate in udienza ” i giudizi
in via principale e per conflitti, e i giudizi in via incidentale con parti
private costituite ” una certa strozzatura è costituita dal numero limitato di
udienze che possono aver luogo in un anno e dall’esigenza di non gravare ogni
udienza di un numero eccessivo di cause da discutere. La necessità, negli
ultimi anni, di dare corso al numero crescente di ricorsi in via principale,
talvolta assai complessi, proposti da Stato e Regioni, anche per ottemperare ai
termini sollecitatori stabiliti in proposito dalla legge n. 131 del 2003 (c.d.
La Loggia), ha condotto a discutere, in ogni udienza, molti ricorsi di questa
natura, a spese dei giudizi incidentali con presenza di parti costituite.
D’altro canto, i numeri particolarmente elevati dei
giudizi in via incidentale instaurati nel 2003 e nel 2004 (rispettivamente 1196
e 1094), che di per sè potrebbero apparire allarmanti, sono spiegabili in gran
parte con il numero eccezionale (fino a più di