Civile

Illecito pubblicare abusivamente foto di un’attrice. Accolta la richiesta di danni di Stefania Sandrelli per le foto rubate del film “La chiave” – CASSAZIONE CIVILE, Sezione I, Sentnenza n. 22513 del 01/12/2004


La pubblicazione non autorizzata di foto di
un’attrice tratte da un film è illecita e dà diritto al risarcimento dei
danni per lesione del diritto all’immagine. Lo ha stabilito la Prima Sezione
Civile della Corte di Cassazione accogliendo il ricorso di Stefania
Sandrelli contro un noto settimanale per soli uomini che aveva pubblicato,
senza il consenso dell’attrice, foto tratte dal film "La chiave". La Corte
di Appello di Roma aveva infatti escluso il diritto al risarcimento sulla
base del fatto che l’attrice aveva rifiutato di consentire alla
pubblicazione, dimostrando, secondo i giudici di merito, la volontà di
abbandonare il proprio diritto. La Suprema Corte ha invece ribaltato il
ragionamento dei giudici dell’appello, ricordando che "chiunque pubblichi
abusivamente il ritratto di una persona nota per finalità commerciali, è
tenuto al risarcimento del danno, la cui liquidazione deve essere effettuata
tenendo conto anzitutto delle ragioni della notorietà di cui si tratta,
soprattutto se questa è connessa alla attività artistica del soggetto
leso, alla quale si collega normalmente lo sfruttamento esclusivo della
immagine stessa".

 



Suprema
Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza n.22513/2004
(Presidente: A. Saggio; Relatore: G.M. Berruti)

 


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto del 3 novembre 1983 Stefania
Sandrelli conveniva davanti al tribunale di Roma la spa Tattilo Editrice
chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito della
pubblicazione da lei non autorizzata sul periodico Playmen di foto di scena
scattate durante la lavorazione del film "La Chiave". Resisteva la
convenuta. Il Tribunale di Roma con sentenza non definitiva dichiarava il
diritto al risarcimento dei danni rimettendone la liquidazione al prosieguo.
La sentenza veniva confermata in sede di appello. Il ricorso per Cassazione
veniva rigettato.

Il giudizio inerente al quantum si
concludeva in primo grado con il rigetto della domanda della Sandrelli, non
avendo accertato il tribunale alcun danno nè patrimoniale nè morale.
Proponeva appello la Sandrelli e la Corte di Roma lo rigettava.

Il secondo giudice, premessa la
definitività della statuizione sull’illegittimità dell’uso delle foto in
questione da parte della Tattilo e dunque che il giudizio de quo riguardava
solo la quantificazione dei danni eventualmente seguiti a tale attività
illecita, escludeva anzitutto la pur astratta configurabilità di danni
morali non essendo la fattispecie al suo esame sussumibile in alcuna ipotesi
di reato. Negava quindi che alcun danno fosse stato provato ovvero che fosse
comunque emerso, per la ragione che la Sandrelli aveva alla stessa negato di
consentire la pubblicazione delle foto in questione.

Contro questa sentenza ricorre per
cassazione la Sandrelli con due motivi. Resiste con controricorso la Tattilo
Editrice. Le parti hanno depositato memorie.


MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la
Sandrelli lamenta la violazione degli artt. 10 cc e 96 e 97 della legge n.
633 del 1942 (L.A.). Sostiene che la sentenza impugnata dalla premessa della
inesistenza di reato e dunque di danno morale ha tratto erroneamente anche
la mancanza del pregiudizio per lesione della immagine dell’artista.

1.a. Con il secondo motivo che è connesso
al primo e va dunque esaminato insieme ad esso, la Sandrelli lamenta la
motivazione omessa o insufficiente relativamente al punto decisivo della
sussistenza del pregiudizio patrimoniale e della prova del medesimo.
Sostiene che la lezione del diritto alla immagine della persona nota è di
per sè produttiva di pregiudizio patrimoniale, e comunque che questo non
puo’ essere escluso sulla considerazione della decisione del titolare di non
esercitare al momento il diritto di sfruttarlo.

2. Osserva il collegio che l’argomentazione
fondamentale della sentenza impugnata, secondo la quale, premessa la
condivisibile esclusione di un danno morale, nel caso di specie non si puo’
riconoscere la sussistenza del pregiudizio patrimoniale quale conseguenza
della accertata illecita utilizzazione commerciale delle foto della
ricorrente, per la ragione che la ricorrente medesima avrebbe rinunciato, in
una certa occasione, ad autorizzare la pubblicazione delle stesse e dunque
di trarne un utile da sfruttamento, non puo’ essere condivisa. Essa infatti
trascura tanto la estensione del diritto alla immagine in capo alla persona
nota, come messa a punto dalla giurisprudenza di questa Corte, quanto i
criteri che conseguentemente debbono essere tenuti presenti nella
individuazione del pregiudizio prodotto dalla diffusione abusiva del
ritratto della stessa.

La Corte di Cassazione da tempo ha dato
luogo ad un orientamento, trascurato dal giudice del merito ma rispetto al
quale non vi sono ragioni per dissentire, in base al quale chiunque
pubblichi abusivamente il ritratto di una persona nota per finalità
commerciali, è tenuto al risarcimento del danno, la cui liquidazione deve
essere effettuata tenendo conto anzitutto delle ragioni della notorietà di
cui si tratta, soprattutto se questa è connessa alla attività artistica
del soggetto leso, alla quale si collega normalmente lo sfruttamento
esclusivo della immagine stessa.

Pertanto l’abusiva pubblicazione quando
comporta la perdita da parte del titolare del diritto o della facoltà di
offrire al mercato l’uso del proprio ritratto, dà luogo al corrispondente
pregiudizio (cass. n. 4031 del 1931).

Erroneamente la corte di merito ritiene di
superare il criterio che tale giurisprudenza emerge sulla base della
predetta circostanza del rifiuto da parte della Sandrelli a consentire alla
pubblicazione delle foto di cui si tratta.

Tale rifiuto anzitutto non puo’ essere
equiparato, come si dovrebbe trarre dalla sentenza in esame per dare ad essa
un senso giuridico compiuto, ad una sorta di abbandono del diritto stesso
con conseguente sua caduta in pubblico dominio, giacchè nella gestione del
diritto alla propria immagine ben si colloca la facoltà , protratta per il
tempo ritenuto necessario, di non pubblicare determinate fotografie, senza
che cio’ comporti alcun effetto ablativo. Ma soprattutto la stessa gestione
puo’ comportare la scelta di non sfruttare una determinata fotografia
perchè lo sfruttamento puo’ risultare lesivo, in prospettiva, del bene
protetto.

Dunque è del tutto paradossale individuare
in siffatto atto di gestione la dimostrazione della mancanza di lesività
economica nello sfruttamento abusivo posto in essere da parte del terzo.

Tale sfruttamento invece, in quanto
frustrante della predetta strategia generale che solo al titolare del
diritto spetta di adottare, puo’ risultare in concreto fonte di pregiudizio
ben più grave di quello che corrisponde al valore commerciale della
specifica attività abusiva. Ed il cui risarcimento puo’ ben essere
effettuato in termini di perdita della reputazione professionale, nella
specie allegata, da valutarsi caso per caso dal giudice del merito nei
limiti della ricchezza non conseguita dal danneggiato, ovvero anche con il
ricorso al criterio di cui all’art. 1226 cc..

Pertanto, se non puo’ dirsi, come pretende
la ricorrente, che la violazione del diritto allo sfruttamento esclusivo
dell’immagine in questione dia luogo di per sè ad un pregiudizio economico,
essendo questo da accertarsi caso per caso secondo le regole generali, la
sentenza impugnata, che ha escluso il danno sulla base della mancata
utilizzazione, fino a quel momento, da parte della Sandrelli delle foto di
scena di cui si tratta, in accoglimento del ricorso, deve essere cassata. La
causa deve essere rinviata ad altro giudice del merito che verificherà alla
luce del criterio indicato la sussistenza del pregiudizio lamentato alla
immagine professionale della Sandrelli ed alla sua cianche di autorizzare in
altro momento la pubblicazione delle foto, dando conto in motivazione
dell’accertamento che andrà a compiere.

Il giudice del rinvio provvederà anche
sulle spese di questa fase.


PER QUESTI MOTIVI

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la
sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Roma
anche per le spese.

Depositata in Cancelleria il 1 dicembre
2004.

 

 

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