Penale

ASSISTENZA FAMILIARE- Per la configurabilità del reato occorre lo stato di bisogno dell’avente diritto e la capacità economica dell’obbligato. CASSAZIONE PENALE, Sezione VI, Sentenza n. 37137 del 08/07/2004

Presupposto essenziale per la
fattispecie delittuosa descritta dall’art. 570 c.p. è far mancare ai soggetti in
esso indicati i "mezzi di sussistenza", che, per consolidata giurisprudenza,
vanno individuati in ciò che è strettamente indispensabile alla vita, come il
vitto, l’abitazione, i canoni per le ordinarie utenze, i medicinali, il
vestiario, le spese per l’istruzione dei figli. La Corte osserva attentamente
che con il termine “mezzi di sussistenza” non si intende il concetto civilistico
di "alimenti" poichè in quest’ultima nozione rientra anche ciò che è soltanto
utile o che è conforme alla condizione dell’alimentando oltre che proporzionale
alle sostanze dell’obbligato. Non sussiste, poi, alcuna correlazione tra mezzi
di sussistenza e l’assegno di mantenimento fissato dal giudice civile in sede di
separazione. La mancata o la minore corresponsione dell’assegno stabilito dal
giudice civile, infetti, non è sufficiente di per sè a dimostrare la
responsabilità penale se non è accompagnata dalla prova che, in ragione della
omissione, siano venuti meno i mezzi di sussistenza all’avente diritto, tanto
che il provvedimento del giudice civile non fa stato nel giudizio penale nè in
ordine alle condizioni dell’obbligato, nè per ciò che riguarda lo stato di
bisogno dell’avente diritto. Per la configurabilità del reato in esame, deve
dimostrarsi la sussistenza, in concreto, del duplice requisito dello stato di
bisogno dell’avente diritto e della capacità economica dell’obbligato di
fornire al primo i mezzi indispensabili per vivere.

 

 

 


 

 

CASSAZIONE PENALE, Sezione
VI, Sentenza n. 37137 del 08/07/2004
 

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:

Dott. ACQUARONE Renato –
Presidente

Dott. LEONASI Raffaele –
Consigliere

Dott. MANNINO Saverio –
Consigliere

Dott. SERPICO Francesco –
Consigliere

Dott. MILO Nicola – rel.
Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

(…) nato a (…) il (…)
avverso la sentenza 11/12/03 della Corte d’Appello di Genova;

Visti gli atti, la sentenza
denunziata e il ricorso;

Udita in Pubblica udienza la
relazione fatta dal Consigliere Dott. Nicola Milo;

Udito il Pubblico Ministero in
persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CESQUI E., che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso;

Il difensore non è comparso.

Svolgimento del processo e motivi della decisione

 

La Corte d’Appello di Genova,
con sentenza 11/12/2003, riformando in parte quella in data 7/2/2000 del
Tribunale della stessa città, riduceva la pena inflitta a (…) dichiarato
colpevole del delitto di cui all’art. 570 c.p., a giorni venti di reclusione,
sostituiti con giorni 40 di libertà controllata, e concedeva i benefici della
sospensione condizionale e della non menzione della condanna.

La pronuncia di colpevolezza
del (…) riguarda, in particolare, l’avere fatto mancare alla moglie separata,
(…) i mezzi di sussistenza nel periodo compreso tra il novembre 1996 e il
gennaio 1997.

Ha proposto ricorso per
Cassazione, tramite il proprio difensore, l’imputato, deducendo la mancanza e la
manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sua capacità
reddituale e alla sussistenza dello stato di bisogno della persona offesa.

Il ricorso è fondato.

Osserva la Corte che l’elemento
materiale del delitto di cui all’art. 570/2 n. 2 c.p., contestato in fatto
all’imputato, consiste nel fare mancare ai soggetti in esso indicati i "mezzi di
sussistenza", che, per consolidata giurisprudenza, vanno individuati in ciò che
è strettamente indispensabile alla vita, come il vitto, l’abitazione, i canoni
per le ordinarie utenze, i medicinali, il vestiario, le spese per l’istruzione
dei figli. I mezzi di sussistenza non si identificano con il concetto
civilistico di "alimenti" poichè in quest’ultima nozione rientra anche ciò che è
soltanto utile o che è conforme alla condizione dell’aumentando oltre che
proporzionale alle sostanze dell’obbligato. Non sussiste, poi, alcuna
correlazione tra mezzi di sussistenza e l’assegno di mantenimento fissato dal
giudice civile in sede di separazione. La mancata o la minore corresponsione
dell’assegno stabilito dal giudice civile, infetti, non è sufficiente di per sè
a dimostrare la responsabilità penale se non è accompagnata dalla prova che, in
ragione della omissione, siano venuti meno i mezzi di sussistenza all’avente
diritto, tanto che il provvedimento del giudice civile non fa stato nel giudizio
penale nè in ordine alle condizioni dell’obbligato, nè per ciò che riguarda lo
stato di bisogno dell’avente diritto. Per la configurabilità del reato in
esame, deve dimostrarsi la sussistenza, in concreto, del duplice requisito dello
stato di bisogno dell’avente diritto e della capacità economica dell’obbligato
di fornire al primo i mezzi indispensabili per vivere.

Ciò posto, va rilevato che la
Corte di merito si è limitata a prendere atto della circostanza che l’imputato,
nel circoscritto periodo compreso tra il novembre 1996 e il gennaio 1997, aveva
provveduto a pagare il canone di locazione dell’appartamento occupato dalla
moglie (lire 1.700.000 mensili), alla quale, però, non aveva versato altro,
nonostante il giudice civile avesse stabilito un assegno mensile di lire
6.000.000, e da ciò ha dedotto che l’avente diritto, disponendo unicamente di
una pensione mensile di lire 600.000, era venuta a trovarsi in stato di bisogno;
ha aggiunto, inoltre, che, se pure l’imputato aveva dimostrato di essersi venuto
a trovare, nel periodo in contestazione, in difficoltà economiche, queste non
avevano comunque costituito un insormontabile ostacolo per tenere fede ai propri
obblighi, anche perchè la situazione patrimoniale complessiva gli avrebbe
consentito, anche ricorrendo alla dismissione di alcuni beni, di procurarsi una
certa liquidità.

Tale trama argomentativa,
apparentemente logica, pecca in realtà di superficialità, non approfondisce
l’analisi della concreta fattispecie e da per provato ciò che, invece, deve
essere rigorosamente dimostrato, finendo per rivelarsi assolutamente inadeguata
a sorreggere la conclusione alla quale perviene.

Riassuntivamente vanno fatti i
seguenti rilievi, dai quali non può prescindersi e ai quali deve pur essere data
una risposta, in un quadro valutativo complessivo del caso in esame: –
pacificamente il Molino, fino a tutto l’ottobre 1996, aveva provveduto a versare
alla moglie, sulla quale non gravava – come si è detto – alcuna spesa per
l’alloggio, la non modesta somma mensile di lire 3.500.000, certamente
sufficiente, anche se inferiore a quella stabilita dal giudice della
separazione, per fronteggiare le esigenze quotidiane di vita e accumulare, con
una gestione oculata, un certo risparmio;

– la donna disponeva comunque
di un reddito proprio, sia pure modesto, di lire 600.000 mensili;

– il (…) aveva comunque
assicurato alla moglie, nel periodo in contestazione, l’alloggio, provvedendo a
pagare l’elevato canone mensile di lire 1.700.000 e non può essere sottaciuto
che tale esborso è certamente sovradimensionato rispetto all’obbligo, penalmente
rilevante, di assicurare all’avente diritto il soddisfacimento delle sole
esigenze primarie di vita (e tra queste non rientra ceno un alloggio di lusso);

– l’inadempimento del (…)
secondo la ricostruzione del giudice a quo, era rimasto circoscritto a soli tre
mesi e tale circostanza non può essere enucleata dal contesto generale della
vicenda, per inferirne automaticamente il giudizio di colpevolezza, ma deve
essere apprezzata e valutata in tale contesto, nel senso che vanno acquisiti
elementi specifici che dimostrino l’effettivo stato di bisogno in cui, proprio
in quei tre mesi, era venuta a trovarsi la (…) la quale fino all’ottobre 1996
aveva potuto comunque disporre di non trascurabile liquidità fornitale dal
marito;

– nè va sottovalutato il
momento di grave difficoltà economica in cui era venuto a trovarsi il (…) e
del quale ha dato atto lo stesso giudice di merito (non era stato in grado
neppure di corrispondere gli stipendi ai propri dipendenti); l’inadempimento nei
confronti della moglie può essere stato conseguenza diretta di tale oggettiva
situazione di difficoltà e non di una scelta volontaria;

nè vale obiettare che la
dismissione di qualche immobile gli avrebbe consentito di recuperare una certa
liquidità e di onorare il proprio obbligo, dovendosi anche considerare, in
contrario, che il breve arco temporale in contestazione appare poco compatibile
con una dismissione patrimoniale, che – di norma – richiede tempi più lunghi.
Quanto evidenziato incide in maniera decisiva sull’aspetto penale della vicenda,
rimanendo logicamente impregiudicate le ragioni della (…) sul piano
civilistico.

L’impugnata sentenza, pertanto,
va annullata con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra Sezione della Corte
d’Appello di Genova, che dovrà rivalutare il caso, tenendo conto dei rilievi di
cui innanzi e, ai fini di un’eventuale prescrizione del reato, anche dei periodi
di sospensione del termine prescrizionale per effetto di rinvii o sospensioni
del dibattimento per impedimento o su richiesta dell’imputato o del suo
difensore (S.U. 28/11/2001, Cremonese).


P.Q.M.

 

Annulla l’impugnata sentenza e
rinvia ad altra Sezione della Corte d’Appello di Genova per nuovo giudizio.

Cosí deciso in Roma, il 8
luglio 2004.

Depositato
in Cancelleria il 22 settembre 2004

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