Nella bancarotta fraudolenta per distrazione, l’accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi da parte dell’amministratore di fatto. CASSAZIONE PENALE, Sezione V, Sentenza n. 2
In tema di bancarotta
fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione delle
scritture contabili, ben puo’ ritenersi la responsabilità del soggetto
investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (c.d.
"testa di legno"), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di
diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto puo’ dirsi
con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non puo’,
nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il
principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni
nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in
assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima
la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole
accettazione del ruolo di amministrazione apparente non necessariamente implica
la consapevolezza di disegni criminosi da parte dell’amministratore di fatto.
CASSAZIONE PENALE, Sezione V,
Sentenza n. 28007 del 22/06/2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. MARRONE Franco –
Presidente
Dott. MARINI Pier Francesco –
Consigliere
Dott. COLONNESE Andrea –
Consigliere
Dott. ROTELLA Mario –
Consigliere
Dott. PANZANI Luciano –
Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) SQUILLANTE LUCIANO N. IL
28/05/1974;
avverso SENTENZA del 21/10/2003
CORTE APPELLO di NAPOLI;
visti gli atti, la sentenza ed
il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la
relazione fatta dal Consigliere Dott. MARINI PIER FRANCESCO;
Udito il Procuratore Generale
in persona del Dott. Aurelio Galasso che ha concluso per: rigetto del ricorso.
LA CORTE OSSERVA
Squillante Luciano ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del difensore,
avverso la sentenza in epigrafe, con la quale la Corte di Appello ha confermato
la di lui condanna alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione, oltre pene
accessorie, inflittagli dal Tribunale di Avellino, con sentenza 30.1.2002, quale
responsabile dei reati di cui agli artt. 216, 220, 219 e 223 L.F., commessi
nella qualifica di amministratore unico della S.r.l. IRPINIA 2000 fallita in
data 28.8.1997.
Il
ricorrente, quali mezzi di annullamento, ha dedotto inosservanza o erronea
applicazione degli artt. 216 e ss. RD 267/42 (L.F.) e 192 cod. proc. pen. sia in
ordine alla prova di sussistenza dei fatti di bancarotta – essendo invero
insufficiente l’unico indizio rappresentato dall’incapacità dell’imputato di
fornire giustificazione circa la sorte dei beni e delle scritture contabili –
sia in ordine alla soggettiva imputazione dei fatti medesimi in presenza di una
condotta di "spettatore inerte" e di amministrazione soltanto "apparente" della
società fallita; ha quindi successivamente depositato una memoria, sottoscritta
dal difensore, con la quale ribadisce ulteriormente il denunciato vizio, con
preminente rilievo circa il cattivo governo della regola di cui all’art. 192
codice di rito.
Premette, questa Corte, che gli episodi di bancarotta risultano testualmente
ascritti al ricorrente nella qualifica di amministratore solo "formale" (quella,
cioè, del classico "testa di legno"), assegnatagli dall’effettivo dominus della
società, il coimputato Veneziano Antonio, nonchè in concorso con costui (nei
cui confronti il procedimento è stato definito con sentenza di patteggiamento
ex art. 444 codice di rito).
Cio’ premesso, va anzitutto rilevato che, quanto alla bancarotta fraudolenta
patrimoniale è fondato il motivo di impugnazione laddove il ricorrente censura
che il dolo del reato sia stato affermato in via soltanto presuntiva.
Vero è, infatti, che, la sentenza da atto, incensurabilmente, che è stata
accertata la disponibilità in capo all’imprenditore, prima del fallimento, di
determinati beni (dalla pronuncia di primo grado risultanti consistere in tre
autoveicoli, liquidità e beni acquistati nell’anno 1995), il mancato
reperimento dei quali lo Squillante non ha saputo in alcun modo giustificare e,
dunque, tale circostanza, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di
legittimità in tema di bancarotta fraudolenta, autorizza il giudice di merito a
dedurre che i beni stessi siano stati dolosamente distratti, gravando sul
fallito l’obbligo giuridico di fornire dimostrazione della destinazione dei beni
acquisiti al suo patrimonio (v., fra le tante: Cass. Sez. 5^, 21.4.1999 n. 7569,
Jovino; Cass. Sez. 5^, 17.5.1993 n. 7726, Brancaccio ed altri; Cass. Sez. 5^,
17.3.1987 n. 644, Lombardi); e, dunque, è esente da vizi la conclusione che i
fatti distrattivi siansi realmente verificati.
E,
peraltro, sotto il profilo soggettivo, deve considerarsi che il ricorrente è
stato pacificamente ritenuto – e già nel capo di imputazione – come un mero
prestanome dell’amministratore di fatto (Veneziano Antonio), sicchè sotto detto
profilo, la riconducibilità all’amministratore di diritto (cd. "testa di
legno") dei fatti distrattivi commessi dall’amministratore di fatto –
circostanza che la sentenza da per ammessa – avrebbe richiesto, se non la prova
che l’imputato avesse avuto consapevolezza dei singoli episodi distrattivi,
almeno la generica consapevolezza di tali eventi "fermo restando che tale
consapevolezza non puo’ presumersi in base al semplice dato di avere il soggetto
acconsentito a ricoprire formalmente la carica " (Cass. Sez. 5^, 24.6.1999 n.
10465, Murra:
Cass. Sez. 5^, 5.2.1998 n. 3328, Riccieri). Nella specie, l’impugnata sentenza
ha fatto proprio uso di una tale presunzione, come è reso evidente laddove ha
argomentato che "…la circostanza che l’imputato si sia prestato ad assumere la
carica di amministratore apparente dimostra proprio che egli era ben consapevole
del fine illecito perseguito dall’effettivo dominus Veneziano Antonio" e che
"…lo Squillante, quand’anche fosse stato uno sprovveduto, non poteva non
rendersi conto che l’offerta della carica di amministratore doveva
necessariamente avere altra finalità…".
Tale motivazione non è soltanto "insoddisfacente" – perchè non è automatico
che ogni accettazione della carica di amministratore formale celi un disegno
criminoso dell’amministratore di fatto (potendo questi trovarsi in una
condizione che non gli consenta la gestione in prima persona) ma, in realtà,
denuncia come insufficiente la prova del dolo richiesto, sia pure come generico,
ai fini di riconducibilità all’amministratore di diritto dei fatti distrattivi
commessi dall’amministratore di fatto e, poichè nulla di più è ricavabile
dalla pronuncia di primo grado, sul punto la sentenza impugnata, ricorrendo
l’ipotesi di cui all’art. 530 comma 2 codice di rito, deve essere annullata
senza rinvio perchè il fatto non costituisce reato.
Non
ha fondamento, viceversa, la stessa censura in punto di bancarotta fraudolenta
documentale. Vero è, infatti, che anche per detto addebito la sentenza utilizza
l’identico argomento secondo cui lo Squillante "non poteva non rendersi conto
della sottrazione delle scritture contabili" ma, in tal caso, l’individuazione
della generica consapevolezza circa la condotta dell’amministratore di fatto
puo’ dirsi logicamente colta, nella sia pur sintetica espressione adottata dai
secondi giudici, considerato il diretto e personale obbligo dell’amministratore
di diritto di tenere e conservare le scritture e, quindi, coerentemente desunta
dalla volontaria abdicazione a tal dovere specifico in uno al dato oggettivo
della estromissione "fisica" delle scritture di legge dall’area del suo
immediato e costante controllo. Consegue che, limitatamente alla bancarotta
fraudolenta patrimoniale e con la formula sopra riferita precisato che i motivi
di ricorso non hanno riguardato l’ulteriore addebito di cui all’art. 220 L.F.
(omissione dell’obbligo ex art. 16 n. 3 L.F.) – la sentenza impugnata deve
essere annullata senza rinvio ai sensi dell’art. 620 lett. 1) codice di rito,
potendosi infatti provvedere alla determinazione della pena senza sostituire
giudizi di merito ma unicamente recuperando la massima estensione delle
attenuanti generiche prevalenti, esclusa dal giudice di merito con evidente
riferimento all’aggravante ex art. 219 L.F. data dall’ulteriore fatto di
bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Adottati nel resto gli stessi criteri determinativi e conservato l’aumento per
la continuazione con il reato ex art. 220 L.F., la pena è ridotta ad anni 2 e
mesi 1 di reclusione (p.b. anni 3 di recl. ridotta di un terzo per le attenuanti
generiche ed aumentata ex art. 81 cod. pen.).
P. Q. M.
LA CORTE annulla senza rinvio
la sentenza impugnata limitatamente all’ipotesi di bancarotta fraudolenta
patrimoniale perchè il fatto non costituisce reato e, per l’effetto, riduce la
pena ad anni due e mesi uno di reclusione.
Cosi’ deciso in Roma, nella
Camera di consiglio, il 4 giugno 2004.
Depositato in Cancelleria il 22
giugno 2004