Per la responsabilità del medico non è
necessario un contratto ma è sufficiente un "contatto" con il paziente. La
Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione ha stabilito che il medico
che consente il ricovero di un paziente pur essendo a conoscenza delle
carenze della struttura sanitaria nella quale lavora puo’ essere chiamato a
risarcire i danni eventualmente subiti dal paziente. Infatti, secondo la
Suprema Corte, il rapporto professionale nasce anche in assenza di un vero e
proprio contratto tra medico e malato, ma è sufficiente l’esistenza di un
"contatto sociale", in quanto chi esercita la professione sanitaria ha
precisi doveri di comportamento verso chi si è affidato alle sue cure
"entrando in contatto con lui", indipendentemente dall’esistenza di un
impegno formale.
Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, sentenza n.19564/2004
LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
SENTENZA
SVOLGIMENTO DEL
PROCESSO
I coniugi D. F. e S. E., in proprio e come
genitori del minore D. E., con separati atti di citazione del 2 gennaio
1988, hanno convenuto in giudizio davanti al tribunale di Vallo della
Lucania Gaetana Castello, M. e M. M., eredi del dott. A. M. ginecologo della
USL 59 di quella città, e quest’ultimo Ente, chiedendone la condanna in
solido al risarcimento di danni.
Gli attori hanno dichiarato che il 12 maggio
1983 S. E., ricoverata nel reparto di ostetrica dell’Ospedale S. Luca del
Vallo della Lucania, a causa dell’inerzia e dell’imperizia del dr. M.
nell’assistenza al parto, aveva perduto la capacità di procreare e che il
neonato era stato colpito da encefalopatia che gli aveva procurato l’invalidità
permanente.
Le convenute C. e M. hanno eccepito che, in
base allo statuto dei pubblici dipendenti e dell’art.
2236 cod. civ. [1], la responsabilità dei fatti non ricadeva sul
loro dante causa ed hanno chiamato in causa il dott. G. L., primario del
reparto ed il dott. A. G., operatore medico nello stesso reparto.
Costoro si sono costituiti nel giudizio ed
hanno eccepito che il procedimento penale aperto nei loro confronti per i
fatti denunciati si era concluso con sentenza istruttoria di non doversi
procedere e che la domanda rivolta contro di loro era inammissibile ed
improcedibile.
Le domande sono state accolte dal tribunale nei
confronti di G. C., M e M. M. e della USL 59 ed essi sono stati condannati
in solido al risarcimento del danno in favore di S. E. in proprio ed in
favore della stesa e di D. F. in proprio e nella qualità.
La decisione è stata impugnata da G. C., M. e
M. M., che hanno sostenuto che le domande proposte nei loro confronti erano
inammissibili o infondate e che la responsabilità dei fatti ricadeva sulla
USL e sui dottori L e G.
Nel giudizio si sono costituiti S. E. in
proprio ed i coniugi F. ed E., in proprio e nella qualità, ed hanno
proposto impugnazione incidentale, chiedendo che il risarcimento del danno
in loro favore fosse determinato in una somma maggiore di quella liquidata
dal tribunale.
Si sono costituiti pure il dott. A. G. e la
Gestione liquidatoria della USL 59 di Vallo della Lucania.
La Corte di appello di Salerno, con sentenza
del 18 luglio 2000, ha rigettato l’appello proposto da G. C., M. e M. M. ed
ha accolto le impugnazioni incidentali di S. E. in proprio e dei coniugi F.,
E. in proprio e nella qualità, condannando G. C., M. e M. M., la USL n. 59
di Vallo della Lucania ed il dott. G. L. a risarcire gli appellanti
incidentali del danno domandato, liquidandolo in oltre L. 706 milioni in
favore della E. ed in oltre L. 2.500 milioni in favore dei coniugi F. E.
G. C., M. e M. M. hanno proposto ricorso per
cassazione, al quale resistono, separatamente, il dott. A. G., S. E. e D. F.
Altro ricorso per cassazione è stato proposto
dalla Gestione liquidatoria USL 59 di Vallo della Lucania, alla quale
resiste il dott. D. F.
Gli altri intimati non hanno svolto attività
difensiva.
I ricorrenti principali ed il dott. G. hanno
depositato memoria.
MOTIVI DELLA
DECISIONE
Riunione dei ricorsi.
Il ricorso proposto da G. C., M. e M. M. e
quello incidentale proposto dalla Gestione liquidatoria USL 59 di Vallo
della Lucania hanno dato luogo a procedimenti diversi, che debbono essere
riuniti, perchè riguardano impugnazioni proposte separatamente contro la
stesa sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).
Questione incidentale di legittimità
costituzionale.
L’eccezione è stata proposta con il primo
motivo del ricorso di G. C., M. e M. M. con riferimento al complesso
normativo risultante dagli artt. 470, 484, 490 e 756 del codice civile,
ritenuto in contrasto con gli artt. 3, 24, 29 e 42 della Costituzione.
Le ricorrenti, premesso che sono state
condannate al risarcimento di danni siccome eredi del dott. M., sostengono
che la confusione del patrimonio dell’erede con quello del defunto, a
differenza di quanto accade nell’assunzione della qualità di legatario,
comporta un’illimitata responsabilità per i debiti ereditari anche quando
l’asse non sia sufficiente a coprire tutti i debiti.
Il sistema, nel loro assunto, è in contrasto
con il principio di eguaglianza, con l’esercizio del diritto di difesa da
parte dell’erede, con la tutela dei rapporti familiari quando la situazione
colpisca l’erede e con quella dell’integrità del patrimonio di quest’ultimo.
L’eccezione di incostituzionalità non è
fondata.
L’ordinamento vigente prevede limiti di
responsabilità patrimoniale in favore dell’erede e del legatario, in
considerazione dell’interesse di questi soggetti a contenere l’impegno
debitorio, derivante dalla riunione dei patrimoni, entro il valore dei beni
ricevuti.
L’erede si avvantaggia di tali limiti con il
beneficio di inventario dei debiti ereditari; il legatario con la
limitazione dell’adempimento del sublegato secondo la previsione dell’art.
671 cod. civ.
Nella fattispecie, non è chiaro se le
ricorrenti prospettano un’estensione dei limiti della loro responsabilità o
se denunciano una diversità di trattamento della posizione dell’erede
rispetto a quella del legato, in contrasto con i principi costituzionali
invocati.
Nel primo caso, l’eccezione sarebbe
manifestamente infondata sotto tutti i profili contenuti nel secondo comma
dell’art. 2740 cod. civ., secondo il quale la responsabilità patrimoniale
non puo’ essere esclusa, ma solo limitata e nei casi tassativamente previsti
dalla legge.
Nell’altro caso, l’eccezione non sarebbe
rilevante in questo giudizio, stante il disposto dell’art. 23, secondo
comma, della legge 11 marzo 1953 n. 87, secondo il quale la questione di
costituzionalità deve essere tale da indicare sul giudizio in corso.
Le ricorrenti, infatti, neppure allegano che,
con la cosiddetta confusione dei loro patrimoni con quello del defunto, si
sono concretamente trovate esposte a rispondere con beni che non provenivano
dal rapporto successorio.
La sentenza impugnata.
Per intendere i motivi del ricorso, per quanto
è ancora rilevante, è utile partire dai seguenti principi, esposti nella
sentenza impugnata.
L’obbligazione del medico dipendente da ente
ospedaliero, per danni subiti da una paziente a causa della non diligente
esecuzione della prestazione, ha la sua fonte in un rapporto contrattuale di
tipo professionale ed è disciplinata analogicamente a quella che deriva da
contratto di opera professionale.
Questo inquadramento implica che la
ripartizione dell’onere della prova e la valutazione del grado della colpa
debbono essere compiute in base al contratto d’opera professionale ed il
medico è tenuto ad osservare il dovere della diligenza, riferita alla
specifica prestazione resa; in questa situazione, il professionista non si
puo’ giovare dell’attenuazione della colpa, prevista per i casi che
comportano la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà ai sensi
dell’art. 2236 cod. civ.
L’accettazione del paziente nell’ospedale
determina la conclusione di un contratto d’opra professionale, dal quale
nasce l’obbligazione dell’ospedale di svolgere l’attività diagnostica e
terapeutica del caso specifico.
La liquidazione del danno biologico puo’ essere
fatta con il criterio base del valore del punto percentuale di’invalidità,
opportunamente differenziato.
Responsabilità professionale del dott. M. e
dell’ospedale.
Il tema forma oggetto del secondo motivo del
ricorso di G. C., M. e M. M., che puo’ essere esaminato insieme al primo e
secondo motivo del ricorso della Gestione liquidatoria della USL n. 59,
giacchè le censure svolgono argomenti tra loro comuni.
Con riferimento alla posizione del dott. M., la
sua responsabilità è stata individuata nella mancanza di diligenza, della
quale sono stati indicati i seguenti fattori: avere scelto di ricoverare la
sig.ra E. in un reparto di ostetrica che non era qualificato ed attrezzato
per le gravidanze a rischio
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