Csm, reintegro sotto tiro. Contestate le disposizioni sulla riammissione dei giudici che sono stati prosciolti
Csm e Parlamento davanti
alla Corte costituzionale per un conflitto di attribuzioni su una legge dello
Stato, per la prima volta nella storia della Repubblica. Oggetto dell’inedito
"scontro" è la legge 350/2003, poi integrata dal decreto legge 66/04. Il
provvedimento riconosce il diritto al reintegro dei dipendenti pubblici,
pertanto anche ai magistrati, che siano stati
sospesi o siano andati in
pensione in anticipo a causa di un procedimento penale poi concluso con
l’assoluzione o il proscioglimento.
Ieri il plenum del Consiglio
superiore della magistratura, respingendo la richiesta dell’ex giudice della
Cassazione Corrado Carnevale e di altri sei magistrati di rientrare in servizio
in posizione più elevata rispetto a quella occupata al momento delle
forzate dimissioni, ha deciso
a larga maggioranza di sollevare la questione davanti alla Consulta.
Per il Csm la disciplina non
appare, in alcuni aspetti, conforme a quanto dispone la Costituzione in materia
di ordine giudiziario e di attribuzioni del Consiglio. Non convincono il
plenum le disposizioni secono le quali il Consiglio deve, senza alcuna
valutazione, riammettere in servizio il magistrato prosciolto in sede penale con
formula piena e ammetterlo a funzioni superiori dopo una semplice
considerazione dell’anzianità di ruolo e dell’attitudine espressa dalle ultime
funzioni esercitate.
Le perplessità, osserva il
documento approvato, non vogliono far venire meno l’obiettivo risarcitorio della
legge; ma il Consiglio «intende sollevare, a tutela delle proprie prerogative,
vizi di incostituzionalità in ordine all’applicazione, nei confronti dei
magistrati, di taluni profili della sua disciplina, nella parte in cui l’effetto
risarcitorio esula dal mero ripristino
del rapporto di servizio e
investe la funzione giurisdizionale».
L’atto di riammissione in
servizio rientra infatti, per la maggioranza dei consiglieri, tra quelli che
l’articolo 105 della Costituzione riserva alla competenza esclusiva del
Consiglio; cui sarebbe, invece, sottratto qualsiasi potere di valutazione sull’idoneità
del richiedente a svolgere nuovamente le funzioni giudiziarie e a ricoprire il
posto richiesto. «In particolare ” sottolinea la delibera”suscita fondati
sospetti di incostituzionalità la disposizione di legge che prevede che la
riammissione
in servizio, in caso di
proscioglimento pieno, debba totalmente prescindere dalla valutazione circa la
rilevanza disciplinare dei fatti che hanno formato oggetto di procedimento
penale ai fini dell’accertamento, in termini di attualità, della idoneità
e della attitudini del
richiedente a esercitare nuovamente le funzioni».
Insomma la «tutela
risarcitoria in forma specifica», cioè il reintegro nel posto, non puo’ essere
accettata quando il comportamento contestato sul piano penale sia comunque
suscettibile di avere un rilievo su quello disciplinare. Vietare al Csm una
considerazione su questo possibile rilievo rappresenta una compressione del
ruolo di organo di autogoverno della
magistratura. E una ferita
alle attribuzioni costituzionali del Consiglio verrebbe anche dalla previsione
della legge che vieta un sindacato di merito sull’idoneità a funzioni
superiori: basterebbero la richiesta e l’anzianità maturata con giudizio non
negativo sulle attitudini dimostrate nell’ultimo incarico per aver diritto alla
"promozione".
GIOVANNI NEGRI, Il Sole 24 Ore