Lavoro

Riammissione in servizio se è illegittimo il termine dell’assunzione – CASSAZIONE CIVILE, Sezione Lavoro, Sentenza n. 19899 del 05/10/2004

diritto del
lavoratore resta fermo anche quando non si applica l’articolo 18

Il lavoratore ha diritto alla riammissione in servizio nel caso di
illegittimità del termine posto all’assunzione. Anche se non si applica
l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
E’ quanto affermato dalla sezione lavoro della Cassazione nella sentenza
19899/04, depositata il 5 ottobre scorso e qui integralmente leggibile tra i
documenti allegati.
Il fatto. Una donna ha lavorato come programmista regista alle dipendenze della
Rai attraverso una sequenza di contratti a tempo determinato (alcuni dei quali
conclusi in realtà con una società appaltatrice). L’ultimo contratto è
scaduto il 31 marzo 1995. Rimasta priva di lavoro, la donna ha chiesto alla Rai,
con lettera del 6 aprile 1995, di essere reintegrata in servizio. Poichè la
richiesta non è stata accolta, la lavoratrice si è rivolta al Pretore di Roma
chiedendo che fosse dichiarata la nullità dei termini di scadenza apposti ai
vari contratti – per mancanza di requisiti previsti dalla legge – che fosse
accertata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con l’azienda,
svoltosi, in alcuni periodi, con l’illegittima interposizione di una società
appaltatrice e che fosse condannata la Rai ad adibirla all’attività lavorativa
ed a pagarle, anche a titolo di risarcimento del danno, la retribuzione maturata
nel periodo successivo alla scadenza dell’ultimo contratto. La causa è stata
vinta davanti al Pretore, che ha accolto il ricorso accertando l’esistenza di un
rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e condannando la Rai a
riassumere in servizio la lavoratrice ed a pagarle tutte le retribuzioni
maturate. In grado di appello, il Tribunale di Roma ha confermato l’esistenza di
un rapporto a tempo indeterminato con la Rai, ma ha annullato la condanna alla
riammissione in servizio e al pagamento della retribuzione, rilevando: da un
lato, che non essendosi verificato un licenziamento non poteva disporsi la
reintegrazione nel posto di lavoro in base all’articolo 18 dello Statuto dei
lavoratori; dall’altro, che la retribuzione per il periodo successivo alla
scadenza dell’ultimo contratto non era dovuta in quanto la prestazione
lavorativa non era stata resa. Contro la pronuncia del Tribunale la lavoratrice
ha proposto ricorso in cassazione, sostenendo che la condanna all’adibizione
all’attività lavorativa doveva essere emessa in base alla normativa generale
sui contratti e che il collegio capitolino, nell’escludere il diritto alla
retribuzione, fatto valere anche in via risarcitoria, aveva ignorato che la
prestazione lavorativa era stata offerta dopo la scadenza dell’ultimo contratto
con lettera raccomandata del 6 aprile 1995.
La sentenza 19899/04: Nell’accogliere il ricorso la Cassazione ha affermato che
"se è vero che la giurisprudenza da tempo ormai ritiene che l’ordine di
reintegrazione costituisce una misura di tutela tipica che puo’ essere disposta
solo ove sia applicabile l’articolo 18 legge 300/70, la stessa giurisprudenza
riconosce, in via generale, il diritto del lavoratore all’esecuzione della
prestazione lavorativa ed un correlativo obbligo del datore di lavoro di
applicarlo, non lasciandolo in forzata inattività, giacchè il lavoro
costituisce un mezzo non solo di guadagno, ma di estrinsecazione della
personalità nel luogo di lavoro e la lesione di tale diritto da parte del
datore di lavoro costituisce inadempimento contrattuale". Trattandosi cosi’ di
un’obbligazione, la lavoratrice non ha sbagliato denunciando prima
l’inadempimento del datore di lavoro perchè l’aveva privata dell’attività
lavorativa e della relativa retribuzione, sollecitando poi l’esecuzione della
prestazione e il pagamento dello stipendio anche a titolo di risarcimento per i
danni subiti.

 

Fonte:

www.dirittoegiustizia.it

 

https://www.litis.it

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