Sanzioni eque nella riforma societaria, di Michele Vietti
di Michele
Vietti
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Sottosegretario alla giustizia e presidente della commissione per la riforma del
diritto societario
In un mercato globale, le risorse, gli investimenti
si muovono in modo transnazionale e scelgono di andare ad allocarsi là dove ci
sono regole più favorevoli, là dove ci sono regole più agili, là dove ci
sono regole più flessibili.
Il titolo
d’investimento non esprime più soltanto una quota di partecipazione a un
capitale, il titolo esprime anche dei diritti corporativi, esprime anche la
partecipazione a un certo tipo d’organizzazione dell’impresa. Dunque, se il
riferimento all’organizzazione imprenditoriale, al modello di governance, alla
struttura dell’impresa è più agile, più flessibile, diventa più appetibile,
e allora quel titolo attirerà di più gli investimenti. Per questo credo che
abbiamo reso un buon servizio al paese con la Riforma del diritto societario,
perchè abbiamo costruito un apparato di norme utile per consentire agli
imprenditori di questo paese di perseguire meglio i propri interessi. Un sistema
rispettoso dell’autonomia privata, nella misura in cui consente agli
imprenditori di scegliere lo strumento giuridico migliore per perseguire le
finalità che intende attuare facendo impresa, costruendo una società
commerciale. Ecco perchè è utile che la Riforma venga studiata, che venga
approfondita, perchè sempre meglio si possa capire quanto lo strumento
giuridico che abbiamo approntato sia idoneo a rispondere alle esigenze della
nostra imprenditorialità.
Si fa talora
una certa confusione tra la Riforma del diritto societario e i problemi del
mercato finanziario. La Riforma è intervenuta sulla tipologia codicistica delle
società commerciali; non è intervenuta, e non poteva intervenire, sui mercati
finanziari. In questo paese, probabilmente, abbiamo vissuto un’anomalia, cioè
abbiamo avuto prima la Riforma delle società quotate con la legge Draghi e poi
la Riforma del Codice. Addebitare alla Riforma del diritto societario effetti
che si sono verificati nelle recenti crisi del mercato finanziario è
assolutamente improprio. E’ improprio sia per una ragione cronologica sia per
una ragione di sostanza. Ragione cronologica perchè tutti i cosiddetti scandali
finanziari di questo paese, si sono verificati prima dell’entrata in vigore
della Riforma che, com’è noto, data 1° gennaio 2004. Anche la normativa penale
modificata che è entrata in vigore con il decreto legislativo della primavera
del 2003 non ha nè poteva avere nessun effetto sugli scandali Cirio e Parmalat
perchè, com’è noto, i falsi in bilancio sarebbero stati commessi da queste
società sotto il vigore del vecchio articolo 2621 del codice civile, cioè
sotto il vigore del cosiddetto falso in bilancio più repressivo, più punitivo
e più dissuasivo. Allora puo’ darsi che la nostra riforma del falso in bilancio
non sia la migliore del mondo, puo’ darsi che debba essere modificata, cambiata
o migliorata, ma non diciamo che questo deve avvenire perchè è il nuovo falso
in bilancio che ha prodotto gli scandali Cirio e Parmalat.
La modifica
del falso in bilancio ha introdotto un rapporto proporzionale tra la pena e il
danno. Nella vecchia fattispecie c’era la previsione della reclusione fino a
cinque anni indipendentemente dal danno. Noi abbiamo previsto che la pena cresca
in misura proporzionale alla crescita del danno. Dove non c’è danno, la
contravvenzione; dove c’è danno, se la società non è quotata, querela e
reclusione fino a quattro anni; dove c’è danno e la società è quotata,
procedibilità d’ufficio e reclusione fino a cinque anni. Si ritiene che questa
pena sia insufficiente? Aumentiamola. Si ritiene che, quando sia lesa una
pluralità di risparmiatori con un danno ingente, la pena dovrebbe essere
aumentata? Aumentiamola, non ho contrarietà. Sono personalmente scettico
sull’effetto salvifico delle sanzioni penali. Il diritto dell’economia deve
funzionare, nella sua fisiologia, con rimedi endosocietari di forte trasparenza.
Ed è quello che la riforma cerca di introdurre e di potenziare attraverso la
migliore definizione dei controlli, la migliore identificazione dei compiti del
collegio sindacale e del revisore contabile, attraverso la pluralità dei
sistemi di governance, e cosi’ via.
Quando dobbiamo
ricorrere alla sanzione penale è perchè siamo passati dalla fisiologia alla
patologia societaria. E quando siamo entrati nella patologia societaria
aumentare la minaccia della pena non è speranza di ottenere il risultato.
Peraltro, la Riforma, accanto alla modifica del falso in bilancio, ha introdotto
una serie di nuove fattispecie penali. Cito, fra tutte, il reato di false
comunicazioni alle società di revisione che, guarda caso, era una delle ipotesi
che si sono verificate, in quegli scandali. Non solo, ma le nuove fattispecie
penali che noi abbiamo introdotto sono dichiaratamente concorrenti, rispetto al
falso in bilancio, mentre con il vigore della vecchia normativa non si riteneva
che lo fossero. Dunque, l’apparato sanzionatorio complessivo porta oggi a cumuli
di pena ingenti.
Fonte: Italia Oggi