Per la Cassazione il cambio religione può essere motivo di addebito della separazione
Il diritto di professare liberamente la propria religione,
garantito dalla Costituzione, puo’ incontrare un limite nel rispetto dei doveri
coniugali. E in ogni caso non ‘liberà dal rischio di vedersi attribuire la
‘colpà nel caso in cui il matrimonio finisca male.
Fra Carta costituzionale, che garantisce la libertà di fede, e articoli di
codice civile che regolano i doveri di coniugi e genitori, si è dovuta muovere
la Cassazione che ha dato ragione ad una ex moglie il cui marito, aderendo ad
una nuova fede, si era allontanato da casa, in preda ( ha sostenuto la signora)
ad una "vera e propria esaltazione religiosa".
Alla Suprema Corte si è rivolta la ex moglie, dopo che i giudici di appello
di Venezia, che avevano il compito di esaminare il caso, avevano stabilito in
modo chiaro: non ci sono valide ragioni per addebitare la separazione al marito
che ha cambiato religione, perchè questi, "nella scelta di appartenenza ad una
confessione religiosa e nella conseguente rinuncia alla convivenza, ha
esercitato un diritto costituzionalmente garantito", senza ledere i suoi diritti
coniugali e paterni.
Non cosi’ per la Suprema Corte che osserva: i giudici di Venezia hanno
ritenuto erroneamente che la rinuncia alla convivenza coniugale da parte dell’ex
marito che ha ( com’è suo diritto) cambiato fede, non comporti di per sè
l’addebito della crisi coniugale.
Scrivono testualmente gli alti magistrati: "la corte territoriale, sulla base
dell’incensurato apprezzamento di fatto, secondo cui ‘la scelta di appartenenza
ad una confessione religiosà ha determinato conseguente ‘rinuncia alla
convivenzà…è incorsa in violazione di legge là dove ha ritenuto di poter
argomentare da cio’ che ‘non sussistano …valide ragioni per porre l’addebito
della separazionè a carico" dell’ex marito, avendo quest’ultimo esercitato un
diritto costituzionalmente garantito. Il comportamento del coniuge che cambia
fede e partecipa alle pratiche del culto "si connette all’esercizio dei diritti
grantiti dall’articolo 19 della Costituzione, e nonostante la sua inevitabile
incidenza sull’armonia della coppia, non puo’ essere considerato come ragione di
addebito della separazione ‘se ed in quanto’ non superi i limiti di
compatibilità con i concorrenti doveri di coniuge e genitore fissati dagli
articoli 143 e 147 del codice civile" (fra i quali c’è anche il dovere di
coabitazione); determinando cosi’ l’impossibilità di proseguire la convivenza o
un grave pregiudizio per i figli.
Ai giudici di appello di Venezia è stato quindi nuovamente inviato il caso