Civile

Dal Palazzaccio arriva il no all’aborto eugenetico per feti malformati -; CASSAZIONE CIVILE, Sezione III, Sentenza n. 14488/2004


Nel nostro ordinamento l’esistenza di malformazioni del feto, che non incidano
sulla salute o sulla vita della donna,

non permettono alla gestante di praticare l’aborto. E’ questo il principio
enunciato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 14488/2004 che, in
sostanza, sbarra la strada al riconoscimento giuridico dell’aborto eugenetico.

In particolare, secondo il
Supremo collegio, il nostro ordinamento giuridico non contempla il “diritto a
non nascere”, il quale non è configurabile nè in capo alla gestante, nè al
nascituro (il quale acquista la  capacità giuridica solo con la nascita).

Sicchè, una
coppia di coniugi, entranbi affetti da talassemia e che hanno trasmesso la
malattia alla figlia, si sono visti rigettare la domanda di risarcimento danni
avanzata nei confronti del ginecologo, responsabile, a loro, giudizio, di non
aver informato la coppia del rischio di malformazioni a carico del feto per
effetto della congenita patologia di entrambi i coniugi. La donna, dunque, non
avrebbe avuto la possibilità di scegliere l’interruzione della gravidanza, che
avrebbe risparmiato alla nascitura molte sofferenze.

Secondo  la
Cassazione, pero’, la sussistenza del diritto a nascere sani non si traduce in
automatico diritto a non nascere se non sano, conseguentemente non puo’
affermarsi che il feto malformato non deve essere lasciato nascere. Ed infatti,
la possibilità di praticare l’aborto non dipende dalle malformazioni del feto
ma dalle conseguenze dannose sulla salute della madre durante la gravidanza.

All’inesistenza
di un diritto a non nascere, se malformati, consegue,quindi, l’impossibilità di
riconoscere al nascituro la titolarità di un diritto al risarcimento del danno.
Tuttavia, nel caso di mancata informativa del medico circa i rischi alla salute
del futuro nascituro, il professionista sarà senz’altro responsabile, a titolo
di colpa professionale nei confronti dei genitori) del danno patrimoniale
derivante dall’aver negato al padre e alla madre la possibilità di evitare le
conseguenze di avere un figlio talassemico. (M. M.)

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