Per stabilire il numero complessivo dei dipendenti in un’impresa e di qualificarla come artigiana, gli assenti non possono essere cumulati con i sostituti. Cassazione Civile Sezione Lavoro, Sentenza n. 4607 del 06/03/2004
Ai sensi
dell’art. 4, comma 1, lett. e, della legge n. 443 del 1985, il numero massimo di
dipendenti per le imprese di costruzioni edili puo’ essere elevato a 14, a
condizione che le unità aggiuntive siano apprendisti. In relazione agli
assenti, ai quali spetta, naturalmente, il diritto alla conservazione del posto
di lavoro, la Cassazione Civile si era già pronunciata in merito ( sentenza del
16 maggio 1995 n. 5354), propendendo per una non cumulabilità degli assenti con
i sostituti, pur rimanendo fermo il diitto alla conservazione el posto. Da cio’,
pertanto, si ricava l’orientamento generale secondo cui "nel computo dei
dipendenti, rilevante ai fini della qualificazione di un’impresa come artigiana,
non possono cumularsi gli assenti con diritto alla conservazione del posto con
gli eventuali sostituti". Tutto questo, pero’, non implica un’esclusione dei
lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto (come gli assenti
per malattia), ancorchè non sostituiti, dal numero totale dei dipendenti; se
cosi’ fosse, infatti, il numero dei dipendenti dell’azienda artigiana varierebbe
anche giornalmente in funzione delle assenze per malattia, dovendo considerarsi
fuori dell’organico tutti i lavoratori assenti con diritto alla conservazione
del posto. L’orientamento giurisprudenziale ha semplicemente escluso il cumulo
degli assenti con gli eventuali sostituti al fine di stabilire il numero dei
dipendenti normalmente impiegati dall’impresa. (Il caso in esame riguarda
un’impresa di costruzioni edili, in relazione alla quale la Suprema corte ha
affermato che, ai fini del mantenimento della qualifica artigiana, i dipendenti
non apprendisti non devono superare le dieci unità e gli apprendisti non devono
superare le nove unità, nel rispetto del numero massimo complessivo di
quattordici dipendenti).
La Corte
Suprema di Cassazione
Sezione
Lavoro
Composta
dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott.
Gugliemo SCIARELLI – Presidente
Dott. Donato
FIGURELLI – Consigliere
Dott. Attilio
CELENTANO – rel. Consigliere
Dott.
Federico ROSELLI – Consigliere
Dott.
Alessandro DE RENZIS – Consigliere
ha
pronunciato la seguente:
Sentenza
sul ricorso
proposto da:
B.. G., M.
G., già titolari della s.d.f. "B. & M.", elettivamente domiciliati in ROMA VIA
FLAMINIA 441, presso lo studio dell’avvocato FULVIANO DE MARI, rappresentati e
difesi dall’avvocato ANTONIO VENTURA, giusta delega in atti;
– ricorrenti
–
contro
I., in
persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA
VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e
difeso dagli avvocati FABRIZIO CORRERA, DOMENICO PONTURO, FABIO FONZO, giusta
delega in atti;
–
controricorrente –
avverso la
sent. n. 2715/01 del Tribunale di BARI, depositata il 2 gennaio 2001 R.G.N.
589/99;
udita la
relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27 novembre 2003 dal
Consigliere Dott. Attilio CELENTANO;
udito il P.M.
in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico che ha
concluso per il rigetto del ricorso;
Svolgimento del processo
L’I. otteneva
decreto ingiuntivo dal Pretore di Bari, nei confronti della società di fatto B.
e M., per la somma complessiva di L. 239.746.491, a titolo di contributi e somme
aggiuntive per il periodo dall’1 gennaio 1987 al 30 novembre 1992. Il decreto si
fondava su un processo verbale di ispettori I., che avevano accertato il
superamento del limite dimensionale previsto dall’art. 4 della legge 8 agosto
1985, n. 443 per il riconoscimento della qualifica artigiana dell’impresa. Era
stata richiesta, di conseguenza, la differenza fra i contributi dovuti per il
settore industriale e quelli relativi al settore artigiano, oltre alle sanzioni
relative.
L’opposizione
avverso detto decreto veniva accolta dal Pretore di Bari con sentenza del 24
giugno 1999.
Il Pretore
riteneva il carattere costitutivo della iscrizione della società opponente
nell’albo delle imprese artigiane, con la conseguente impossibilità dell’I. di
procedere ad un autonomo inquadramento e di richiedere contributi prima di avere
ottenuto la cancellazione dall’albo.
L’appello
dell’I., cui resisteva la società di fatto, veniva accolto dal Tribunale di
Bari con sentenza del 7 novembre 2000/2 gennaio 2001.
I giudici di
appello ritenevano che la iscrizione nell’albo delle imprese artigiane, ai sensi
della legge 8 agosto 1985, n. 443, non avesse valore costitutivo, valendo solo
ai limitati fini del conseguimento delle agevolazioni previste a favore di tale
tipo di imprese e non anche ai fini contributivi e previdenziali.
Osservavano
che, pur essendo a carico dell’I., quale creditore opposto avente la veste
sostanziale di attore, l’onere di provare i fatti costitutivi del preteso
credito, i giudici potevano liberamente valutare, oltre al verbale di
accertamento prodotto da entrambe le parti, i libri paga depositati dagli
opponenti ed afferenti il periodo in contestazione, ancorchè incompleti, in
forza del principio della libera acquisizione delle prove.
Ritenevano di
limitare le indagini ai punti specificamente contestati dagli opponenti, e
rilevavano che dal gennaio al maggio 1987 l’impresa aveva superato i limiti
dimensionali, per eccedenza del numero totale dei dipendenti e per eccedenza,
comunque, del numero degli apprendisti. Ritenevano irrilevante la mancanza dei
libri paga relativi al periodo da giugno a novembre 1987, in quanto la perdita
delle caratteristiche di impresa artigiana, accertata nel periodo gennaio/maggio
1987, imponeva alla stessa l’onere di dimostrare di avere riacquistato
stabilmente la dimensione occupazionale artigiana, donde la irrilevanza del
fatto che dal gennaio al maggio 1988 risultava un ipotetico rientro nei limiti
dimensionali e la superfluità di una indagine dettagliata sui mesi successivi,
fino al 30 novembre 1997, atteso che, nella misura in cui tali mesi erano
documentati dalle copie dei libri paga prodotti, tali limiti a volte erano
rispettati e a volte violati.
Per la
cassazione di tale decisione ricorrono, formulando tre motivi di censura, G. B.
e G. M., già titolari della società di fatto "B. & M.".
L’I. resiste
con controricorso.
I ricorrenti
hanno depositato memoria.
Motivi
della decisione
Con il primo
motivo, denunciando violazione degli artt. 5 e 7 della legge 8 agosto 1985, n.
443 e dell’art. 1, comma 3, del D.L. 15 gennaio 1993, n. 6, nonchè vizio di
motivazione, la difesa dei ricorrenti sostiene che i giudici di appello hanno
malamente interpretato tali norme, atteso che le stesse depongono per il
carattere costitutivo e vincolante, a tutti gli effetti, anche contributivi e
previdenziali, della iscrizione all’albo delle imprese artigiane.
Deduce il
carattere interpretativo dell’art. 1, comma 3, del D.L. n. 6 del 1993, con
conseguente efficacia retroattiva.
Con il
secondo motivo la difesa dei ricorrenti denuncia vizio di motivazione circa la
ritenuta insussistenza delle condizioni per il riconoscimento della qualifica
artigiana dell’impresa; nonchè violazione dei principi relativi all’onere della
prova (art. 2697 c.c.) e degli artt. 115 e 116 c.p.c.
Deduce che il
Tribunale, pur avendo affermato che il verbale di accertamento in relazione ai
fatti appresi de relato non ha valore neppure di semplice presunzione, ha non
solo ed incoerentemente limitato la propria indagine ai soli punti contestati in
modo specifico dagli attuali ricorrenti, ma ha anche ritenuto che l’I., che ne
aveva l’onere, avesse dato prova dei fatti posti a base della domanda.
Assume che il
verbale non conteneva null’altro che il rilievo degli ispettori sul ritenuto
superamento dei limiti occupazionali, oltre il conteggio dei maggiori contributi
richiesti, e che non è corretta la ricostruzione operata sulla scorta dei
documenti esibiti dalla controparte, dichiaratamente incompleti.
Con il terzo
motivo la difesa dei ricorrenti denuncia insufficiente e contraddittoria
motivazione riguardo al computo dei dipendenti e alla valutatone delle prove ai
fini della qualifica artigiana dell’impresa opponente; violazione o falsa
applicazione dell’art. 4, comma 1, lett. e, della legge n. 443 del 1985, degli
artt. 2083 e 2697 c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c.
Assume che
l’art. 4, comma 1, lett. e, della legge n. 443 del 1985, nello stabilire il
tetto di 10 dipendenti, compresi gli apprendisti in numero non superiore a 5,
facoltizza le imprese edili ad elevare il numero fino a 14 dipendenti, a
condizione che le unità aggiuntive siano apprendisti.
Sostiene che,
contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, il numero massimo di apprendisti
per le imprese edili artigiane è di 9 unità, numero mai superato dalla
società di fatto.
Deduce che un
eventuale esubero di apprendisti non comporterebbe, comunque, l’automatica
perdita della qualifica artigiana, ove sussista la prevalenza del lavoro del
titolare sui mezzi impiegati.
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