Lavoro

L’astensione audio-video posta in essere dai dipendenti di un’emittente televisiva, che per sua natura diminuisce i danni di uno sciopero totale, salvaguarda le prestazioni minime. Tribunale Roma, Sezione Lavoro, Sentenza n. 211491 del 14/06/2004


L’astensione audio-video
posta in essere dai dipendenti di un’emittente televisiva (in questo caso la 7
Televisioni spa), che per sua natura diminuisce i danni di uno sciopero totale,
salvaguarda le prestazioni minime. Non è quindi una forma di sciopero
censurabile. E’ illegittima, in tale situazione, la cosiddetta "serrata di
ritorsione" e cioè il rifiuto da parte dell’emittente della prestazione
lavorativa e la mancata erogazione dell’intera retribuzione relativa ai giorni
di astensione. E’ quanto affermato dal Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, con la
sentenza 211491del 14 giugno 2004. Cosi’ facendo, hanno aggiunto i giudici di
merito, l’emittente ha violato il diritto di sciopero e dato vita a una condotta
antisindacale. La società è stata condannata a non attuare più, durante i
periodi di proclamata astensione dal lavoro (come in questo caso) con le
modalità audio-video, l’illegittima chiusura e interruzione dell’attività
aziendale e di non rifiutare, in ogni caso, di accettare e retribuire le
prestazioni dei giornalisti in sciopero. Ha dovuto, infatti, restituire a ogni
singolo giornalista l’importo trattenuto. C’è di più. E’ stata
inconfutabilmente rifiutata dalla Corte la pretesa di attribuire la
responsabilità del black out del 29 e 30 marzo 2004 ai giornalisti perchè tale
interruzione è dipesa da una decisione della società antecedente
all’agitazione. Neppure puo’ essere invocato da parte dell’emittente
l’inadempimento contrattuale dei cronisti che hanno semplicemente dato voce a
una pretesa sindacale con modalità da loro ritenute, non importa se
giustamente, idonee a un determinato contesto di lotta e quindi espressione del
diritto di sciopero.

 




Tribunale Roma, Sezione
Lavoro, Sentenza  n
.

211491 del 14/06/2004

Il Giudice designato;

letti gli atti ed i
documenti di causa;

a scioglimento della
riserva di cui all’udienza del 11.6.04;

osserva che
l’organizzazione sindacale ricorrente ha convenuto in giudizio la 7 Televisione
per sentire dichiarare l’antisindacalità della condotta della stessa
resistente che, a fronte dello sciopero dei giornalisti attuato secondo le
modalità di astensione audio-video, avrebbe posto in essere una vera e propria
serrata di ritorsione, costituita dalla chiusura o interruzione temporanea dell’attività
aziendale, trattenendo agli scioperanti l’intera retribuzione relativa ai giorni
di astensione (29 e 30 marzo 2004).

La società resistente si
è difesa assumendo che – il rifiuto che il rifiuto di accettare le prestazioni
"incomplete" che i giornalisti avrebbero dovuto rendere in detti giorni
costituirebbe una legittima reazione a fronte di una iniziativa illegittima dei
lavoratori, come tale costituente esplicazione della libertà di iniziativa
economica costituzionalmente garantita, avendo il diritto di rifiutare la
prestazione incompleta, tanto più che le modalità di attuazione
dell’agitazione avrebbero integrato un vero e proprio "sciopero totale".

Occorre premettere che i
fatti di causa sono sostanzialmente pacifici, anche a prescindere dalla
genericità e contraddittorietà delle contestazioni della resistente.

L’astensione audio-video
consiste, com’è noto, nell’astensione dal lavoro, durante il proclamato periodo
di sciopero, dalle sole prestazioni in video ed in voce trasmesse in diretta o
in differita. Durante le ridotte edizioni del Tg (massimo di 5 minuti) non viene
trasmesso nessun filmato o servizio con l’immagine o la voce del giornalista ed
il conduttore si limita a leggere le notizie predisposte dalla redazione. Cio’
che caratterizza questa forma di astensione "parziale e incompleta" è il fatto
che i giornalisti si recano regolarmente al lavoro, secondo i regolari turni
predisposti, e continuano pertanto a svolgere le loro prestazioni diverse da
quelle in video ed in voce. Risulta dagli atti che la convenuta, tramite e-mail
trasmessa la sera del 28 marzo al Comitato di Redazione dal Direttore delle
Risorse della 7 Televisione ha espressamente comunicato quanto segue:
"riteniamo che non ci sia interesse da parte dell’azienda per prestazioni
incomplete … per le suddette giornate di sciopero l’azienda non accetterà
prestazioni parziali". E’ nota la definizione del diritto di sciopero tutelato
dall’art. 28 della legge 300/70. Si tratta di una astensione collettiva dal
lavoro costituzionalmente tutelata disposta da una pluralità di lavoratori per
il raggiungimento di un fine comune (Cass. n. 711/80). Con la storica sentenza
n. 711/801a Suprema Corte ha abbandonato la ricerca dei c.d "limiti interni"
dello sciopero per spostare la sua attenzione su quelli c.d. "esterni",
rappresentati essenzialmente da quei diritti di rango pari o superiore a quello
di sciopero e con i quali il diritto stabilito dall’art. 40 della Costituzione
interagisce. In questa prospettiva l’unico sciopero illegittimo, come tale
civilmente sanzionabile, deve essere considerato quello che danneggia, non tanto
e semplicemente la produzione, quanto, ed in modo irreparabile, la stessa
potenzialità produttiva del datore di lavoro. L’ampia e illimitata tutela di un
simile diritto consente di comprendere l’infondatezza dei rilievi di
incostituzionalità della società resistente che, molto ottimisticamente, ha
chiesto, già in questa prima fase sommaria, la rimessione degli atti alla Corte
Costituzionale deducendo in particolare il contrasto tra l’art. 1, comma 2, lett
e) della legge 146/90 e gli articoli 3, 21 e 41 della Costituzione, e quindi la
violazione del principio di parità di trattamento.

La legge 146/90 si applica
solo al servizio pubblico radiotelevisivo e quindi alla he rimane, nonostante
oggi l’espressione possa essere considerata "squalificata", l’ente che produce e
diffonde tale servizio pubblico. La prospettata questione di costituzionalità
non è quindi neanche rilevante, potendo il giudizio essere definito
indipendentemente da ogni valutazione sulla richiamata legge, e ugualmente
irrilevanti sono le clausole contrattuali Rai/Mediaset che non costituiscono il
metro di valutazione della legittimità dell’astensione. Ed, invero, la
circostanza che in Rai e Mediset realtà organizzative e produttive comunque
diverse, le modalità di esercizio dello sciopero audio-video siano state
contrattualmente regolamentate, e in qualche modo limitate, non rende
incostituzionale o arbitraria la pretesa dell’associazione ricorrente a
conseguire, in mancanza di una regolamentazione pattizia, la piena attuazione
del diritto. La 7 Televisione spa ha il diritto di rivendicare il suo ruolo
affermando che anch’essa produce e diffonde informazione radiotelevisiva "che ha
il pubblico come destinatario". L’affermazione rende pero’ ancora più
contraddittoria la sua posizione ove si consideri che le ragioni dello sciopero
riguardavano proprio la volontà della società convenuta di "tagliare"
l’informazione, cancellando dal palinsesto notiziari e programmi giornalistici
(doc. 1 della produzione della ricorrente). Non risulta invece tutelata dalla
costituzione la serrata che non costituisce un diritto e integra, di regola, un
tipico illecito contrattuale, avendo il datore di lavoro l’obbligo di accettare
le prestazioni offerte dal lavoratore. Il diritto del lavoratore a svolgere
mansioni corrispondenti alla sua qualifica si fonda sull’art. 2103 codice civile
e non puo’ essere leso neanche per ragioni oggettive ed organizzative (cfr Cass.
n. 28 del 7/1/2004 per l’ipotesi di crisi aziendale).Ovviamente esistono ipotesi
tutelate dall’ordinamento in cui il datore di lavoro puo’ legittimamente
impedire la prestazione del lavoratore, ma tra queste ipotesi non rientra la
reazione all’esercizio, anche se in forma anomala, del diritto di sciopero. In
verità la Suprema Corte (Cass. n. 6193/98) ha riconosciuto la possibilità che,
di fronte ad emergenze improvvise ed imprevedibili, in presenza delle quali, per
l’astensione dal lavoro, si verrebbe a produrre un pericolo imminente per i
diritti fondamentali dei cittadini, possa anche configurarsi uno stato di
necessità tale da scriminare una iniziativa datoriale, in un contesto di
normalità oggettivamente lesiva del- diritto di sciopero. E’ tuttavia evidente
che gli estremi di una simile situazione eccezionale non possono essere
ravvisati nel caso in esame. Cio’ che rileva è invece la circostanza che la
convenuta non poteva comunque rifiutarsi di accettare le prestazioni dei
lavoratori in presenza di una forma di lotta collettiva, le cui modalità le
erano state oltretutto preannunciate dalla O.S. La circostanza che lo stato di
agitazione abbia assunto carattere "anomalo", non consente di valutare la
condotta dei lavoratori secondo il metro dell’inadempimento contrattuale. La
Suprema Corte, occupandosi anche dello sciopero "bianco", di quello "a
scacchiera" e di quello "a singhiozzo", ha avuto modo di rilevare che qualsiasi
forma di sciopero, ancorchè diversa dalla completa o integrale paralisi dell’attività
lavorativa è legittima, e non puo’ quindi essere sanzionata, con il solo limite
(c.d. "esterno") che tale iniziativa non pregiudichi la produttività
dell’azienda, ovvero non comporti la duratura inutilizzabilità degli impianti
mettendo in pericolo la loro integrità con conseguenti effetti negativi sulla
possibilità del datore di lavoro di contenere il normale livello occupazionale
della propria impresa (ad es. Cass. n. 11147/99). A maggior ragione rientra nel
concetto di sciopero legittimo una astensione solo "parziale".

Infatti l’astensione
audio-video diminuisce per definizione i danni di uno sciopero totale,
salvaguarda le prestazioni "minime" e non comporta la distruzione
totale/parziale o una inutilizzabilità degli impianti, nè mette in pericolo l’integrità
psico-fisica delle persone.

Non sembra sostenibile poi
che una simile astensione per due giorni possa incidere in modo rilevante sulla
produttività e, tantomeno, sulla stessa "potenzialità produttiva"
dell’azienda.

La condotta della 7
Televisioni spa costituisce, pertanto, reazione ad una forma di lotta
costituzionalmente garantita strettamente collegata al contenuto della protesta
e come, tale, antisindacale.

Secondo la Corte del resto
(ad es. Cass n. 7884/97, n. 4952/98 e n. 9743/2002) l’attività sindacale "è
ontologicamente contrappositiva degli interessi imprenditoriali".

E’ evidente che non si è
trattato di uno sciopero totale, perchè, se cosi’ fosse stato, la resistente
non avrebbe potuto dichiarare espressamente prima che lo sciopero fosse
attuato
di rifiutare le prestazioni residue, ma, se anche cosi’ fosse stato,
la 7 Televisioni non potrebbe invocare i principi in tema di inadempimento
contrattuale.

Pare opportuno, allora,
ricordare i principi affermati da Cass. n. 9743/2002, in relazione ai limiti del
diritto di manifestazione del pensiero nell’ambito della dialettica sindacale:
il comportamento non puo’ essere scisso dalla sua finalizzazione e solo ove il
giudice accerti che l’attività del lavoratore era solo formalmente tale,
debordando del tutto dagli standards propri di una vera, per quanto aspra,
attività sindacale, è possibile passare alla seconda fase dell’indagine,
inerente l’incidenza oggettiva e il suo potenziale lesivo del rapporto di
fiducia nei confronti del datore di lavoro (cosi’ la citata Cass. n. 9743/2002).

In altre parole, se lo
scopo dei giornalisti era quello di effettuare una protesta sindacale e se le
modalità dell’agitazione sono state da loro ritenute, non importa se
giustamente, quelle più efficaci ed adeguate in un determinato contesto di
lotta la condotta, in quanto espressione dell’esercizio della più tipica
espressione dell’attività sindacale
(il diritto di sciopero) non puo’
essere valutata con
il parametro dell’inadempimento contrattuale
(salvi i limiti "esterni" di cui si è già detto). In ordine poi al modo in cui
deve essere intesa questa attività sindacale, la stessa Corte (ad es. Cass. n.
2335/96) ha chiarito che, analogamente al diritto di sciopero, a detta
espressione deve essere dato un significato ampio, in modo tale da farvi
rientrare non solo quelle attività svolte dai lavoratori sindacalisti, vale a
dire quelle attività esercitate per conto di un sindacato, ma anche quei
comportamenti che, al di fuori di iniziative formalmente assunte in sede
sindacale, siano comunque diretti a far valere posizioni e relative
rivendicazioni dei lavoratori dipendenti, con il consenso espresso o tacito di
questi ultimi ed in contrapposizione con il datore di lavoro (vedi anche Cass.
14 febbraio 1983 n. 1114). Anche a volere aderire all’opinione della società
resistente, la legittimità del rifiuto datoriale della prestazione senza
obbligo di corrispondere la relativa retribuzione è vincolata alla prova che
l’astensione "anomala" si sia tradotta, non in una mera difficoltà, ma in una
vera e propria sopravvenuta impossibilità obiettiva a ricevere le prestazioni
"residue" ex art. 1256 codice civile (Cass. n. 1331/87). Quanto esposto consente
di comprendere l’infondatezza delle eccezioni della convenuta secondo la quale
le trattenute dovrebbero essere considerate legittime non avendo appunto i
dipendenti interessati "giustificato" un inesistente inadempimento, costituito
dall’esercizio del diritto di sciopero. La pretesa di attribuire la
responsabilità del black out del 29 e 30 marzo 2004 ai giornalisti è smentita
dalla stessa documentazione in atti dalla quale risulta che si è trattato di
una decisione della società presa prima che l’agitazione potesse essere
attuata. Quindi i lavoratori non hanno in realtà attuato nessuno sciopero,

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