Per la valutazione e liquidazione del danno all’immagine, una volta provata la lesione della reputazione personale si rittiene conseguentemente provata anche la riduzione o la perdita del relativo valore. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza n. 70
In materia di danno all’immagine o più in
generale alla reputazione personale (diritto la cui integrità trova fondamento
nei diritti della persona umana tutelati dall’ art. 2 Cost.) si ritiene, a
proposito del danno in re ipsa inerente alla lesione della reputazione personale
intesa come valutazione che di un certo soggetto viene fatta nel contesto in cui
egli vive, che provata la lesione della reputazione personale cio’ comporta la
prova anche della riduzione o della perdita del relativo valore.
Taluni eventi,
secondo il comune sentire, comportano, inevitabilmente, una modificazione
peggiorativa della valutazione della reputazione di un individuo (ed danno
all’immagine): al giudice del merito che abbia riscontrato tale evento non va
fornita alcuna prova della lesione della reputazione conseguita all’altrui
comportamento illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c., dovendo egli solo
raccordarsi al predetto comune sentire – o coscienza sociale – individuandovi
quali sono gli effetti che solitamente conseguono a determinati eventi: in tal
senso è corretto affermare che per alcuni eventi (quale ad esempio la perdita
del proprio lavoro per ragioni non onorevoli) il danno è in re ipsa nel senso
che ad essi consegue, inevitabilmente, un effetto pregiudizievole.
Cassazione
Civile, Sezione Lavoro, Sentenza n. 7043 del 13/04/2004
La Corte Suprema
di Cassazione
Sezione Lavoro
Composta dagli
Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Guglielmo
SCIARELLI – Presidente
Dott. Luciano
VIGOLO – Consigliere
Dott. Giovanni
MAZZARELLA – Consigliere
Dott. Corrado
GUGLIELMUCCI – rel. Consigliere
Dott. Guido VIDIRI
– Consigliere
ha pronunciato la
seguente:
Sentenza
sul ricorso
proposto da:
CAIAZZA DIONIGI,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA CAMPELLO SUL CLITUMNO 20, presso lo studio
dell’avvocato RICCARDO GALDIERI, rappresentato e difeso dagli avvocati PEPPINO
VALLONE, RITA PROCOPI, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
REGIONE CALABRIA;
– intimata –
e sul 2° ricorso
n. 20940/01 proposto da:
REGIONE CALABRIA,
in persona del legale rappresentante pro tempore, già elettivamente domiciliato
in ROMA PZZA BORGHESE 3, rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI MORRONE,
giusta delega in atti, e da ultimo d’ufficio presso la CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA DI CASSZIONE;
– controricorrente
e ricorrente incidentale –
e contro
CAIAZZA DIONIGI;
– intimato –
avverso la sent.
n. 495/00 del Tribunale di CROTONE, depositata il 13 giugno 2000 – R.G.N.
966/99;
udita la relazione
della causa svolta nella Pubblica udienza del 24 settembre 2003 dal Consigliere
Dott. Corrado GUGLIELMUCCI;
udito l’Avvocato
DE PETRILLO per delega PROCOPI;
Udito l’Avvocato
MORRONE;
udito il p.m. in
persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. D’ANGELO Giovanni che ha
concluso per l’accoglimento del terzo e quarto motivo del ricorso principale.
Svolgimento del
processo
1 – La Giunta
della Regione Calabria ha prima revocato (con delib.G.R. n. 4479 del 1996 cui ha
fatto seguito il D.PG.R. n. 618 del 1996) la nomina dell’avv. Dionigi Caiazza a
direttore generale della ASL n. 5 di Crotone e, quindi, risolto con
provvedimento presidenziale n. 573/97, a seguito di verifica dei risultati di
gestione, il contratto di diritto privato stipulato con lo stesso per la durata
di cinque anni.
2 – Il Pretore ha,
su ricorso dell’avv. Dionigi, dichiarato la illegittimità dei predetti
provvedimenti ed ha condannato la Regione Calabria a risarcire allo stesso i
danni subiti, liquidati in via equitativa in una somma pari a lire 200.000.0000
oltre alla corresponsione delle somme a lui spettanti per la durata del
contratto.
3 – Il Tribunale
di Crotone, per quanto interessa nella presente sede, con sentenza del 13 giugno
2000 ha ritenuto:
a – il difetto di
giurisdizione dell’a.g.o in ordine all’accertamento della legittimità dei
predetti provvedimenti di revoca della nomina e di risoluzione del contratto di
diritto privato;
b – la sussistenza
della propria giurisdizione in ordine alla lesione di interessi legittimi che
aveva comportato danni "danni patiti e patendi" e, nell’ambito degli stessi, un
danno all’immagine, nonchè la mancata percezione dei compensi per la durata
pattuita del contratto;
c – il difetto di prova, in ordine al primo tipo di
danni postulati, di un evento lesivo – non potendosi asserire che esso, a fronte
dell’illegittimo comportamento della p.a. – fosse in re ipsa – neanche per il
danno all’immagine (configurazione questa data in sede d’appello) – sicchè,
anche sotto il profilo della individuazione dei criteri di quantificazione dello
stesso, del tutto illegittimo s’appalesava il ricorso a quello equitativo;
d – la necessaria
pregiudizialità dei giudizi amministrativi, promossi dall’avv. Dionigi,
relativi alla illegittimità dei provvedimenti adottati nei suoi confronti,
rispetto a quello sulle spettanze, anche esse chieste in via risarcitoria, con
accertamento, con effetto di giudicato della illiceità della condotta della
p.a. – dovutegli per effetto della intera durata pattuita del rapporto di lavoro
con conseguente necessità di sospendere il giudizio, relativamente a tale punto
ex art. 295 c.p.c. e tanto in dichiarato dissenso con le decisioni n. 500 e 501
del 1999 delle S.U. che a fronte della lesione di interessi legittimi hanno
ritenuto che anche l’accertamento dell’illegittimità del comportamento della
p.a. rientri nella giurisdizione dell’a.g.o..
4 – La Regione
Calabria ha chiesto la cassazione della sentenza con ricorso sostenuto da
quattro motivi di cui due attinenti alla giurisdizione, cui l’avv. Dionigi ha
resistito con controricorso proponendo, a sua volta ricorso incidentale; ha
anche presentato memoria.
5 – La causa è
stata quindi rimessa alle S.U. che con sent. n. 6854/03 hanno ritenuto:
a – La sussistenza
della giurisdizione del giudice amministrativo quanto alla domanda di
accertamento di illegittimità dei provvedimenti adottati dalla Regione
Calabria;
b – che lo
scrutinio dei motivi di competenza delle sezioni unite non poteva estendersi
alla questione, contenuta nell’ultimo motivo di ricorso, della pregiudizialità
del giudizio di annullamento degli atti illegittimi dinanzi al giudice
amministrativo che investe il provvedimento di sospensione del procedimento, di
carattere intrinsecamente ordinatorio e non riguardante, quindi, il riparto di
giurisdizione;
c – di rimettere
alla Sezione Lavoro l’esame delle ulteriori censure.
Motivi della
decisione
1 – Le stesse sono
state formulate con il terzo ed il quarto motivo.
2 – Con il primo
di essi il ricorrente denuncia violazione falsa applicazione dell’art. 2043 c.c.
e dell’art. 1226 c.c. nonchè della normativa sul risarcimento del danno;
violazione della normativa in materia di prova e di liquidazione del danno;
difetto di motivazione.
La censura, dopo
una premessa – relativa alla non configurabilità di un ruolo dirigenziale per
il direttore generale dell’ASL che secondo il ricorrente è un amministratore
unico e legale rappresentante della stessa – ha il suo punto centrale nella
contestazione della necessità – asserita dal Tribunale – di dover provare, per
il danno all’immagine – che costituisce per il ricorrente l’aspetto precipuo
degli effetti lesivi da lui subiti – sia l’esistenza di una evento lesivo in cui
lo stesso si sia concretizzato sia i criteri di quantificazione dello stesso,
con esclusione dell’utilizzazione del criterio equitativo.
2.1 – L’esistenza
di detto danno era invece suscettibile di valutazione equitativa perchè essa
ben puo’ ritenersi in re ipsa, atteso che era inevitabile l’offuscamento della
sua immagine – e la lesione della sua reputazione – rispetto all’opinione
pubblica ed alla Pubblica Amministrazione – a seguito di un provvedimento di
rimozione fondato su gravi addebiti.
3 – La censura è
fondata.
In materia di
danno all’immagine – o più in generale a