Lavoro

Il sinistro verificatosi al lavoratore durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro non è qualificabile come infortunio “in itinere” nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, salvo

Da un primo orientamento formulato dall’art 6 del
D.P.R. n.1124 del 1965  si evince che il legislatore inizialmente non ha inteso
estendere “la tutela assicurativa alle ipotesi di mero collegamento dell’evento
infortunistico con la prestazione lavorativa”, ossia alle attività  accessorie e
preparatorie compiute dal lavoratore per recarsi al posto di lavoro o per
tornare. In altre  parole non era possibile in alcun modo ricondurre il sinistro
capitato al lavoratore durante il tragitto nell’ipotesi dell’infortunio “in
itinere”. Successivamente la Giurisprudenza, mutando indirizzo, ha ritenuto il
lavoro un “fattore occasionale ” di rischio, un occasione in grado di esporre a
rischi e pericoli lo stesso lavoratore e, pertanto, ha ampliato la tutela
assicurativa facendo rientrare in essa anche il c.d. infortunio “in itinere”.
L’unico limite è dato dal "rischio elettivo" (intendendosi per tale quello che,
estraneo e non attinente all’attività  lavorativa, sia dovuto ad una scelta
volontaria e cosciente del lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente, in
base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente
l’attività  lavorativa, ponendo cosí una causa interruttiva di ogni nesso tra
lavoro, rischio ed evento: ex plurimis, Cass. 30 maggio 1995n.6088). Dalle
osservazioni fatte si evince che nell’ipotesi in cui il lavoratore debba
necessariamente raggiungere il luogo di lavoro utilizzando la strada pubblica ed
i mezzi pubblici di trasporto  e  non siano dunque possibili altre scelte
diverse al lavoratore, “si configura un rapporto finalistico, o strumentale, tra
l’attività  di locomozione e di spostamento” (tra luogo di abitazione e quello di
lavoro, e viceversa) e l’attività  di stretta esecuzione della prestazione
lavorativa, che di per sè è sufficiente ad integrare quel "quid pluris"
richiesto per la indennizzabilità  dell’infortunio "in itinere" (cfr. Cass. 17
maggio 2000 n. 6431). Il lavoratore, però, che decide volontariamente di
utilizzare un mezzo diverso da quello pubblico per un suo interesse personale
(pur potendo servirsi sia del mezzo pubblico che, eventualmente, del mezzo messo
a disposizione dal datore), sceglie di accettare un rischio ulteriore in cui non
è configurabile l’occasione di lavoro in quanto si interrompe il collegamento
con l’attività  lavorativa svolta. Tale rischio va sotto il nome di “rischio
elettivo” cioè  quella particolare situazione nella quale il lavoratore viene a
trovarsi per scelta volontaria, puramente arbitraria e diretta a soddisfare
impulsi personali, che lo inducono ad affrontare rischi diversi da quelli
inerenti alle normali attività ; in esso, non può ravvisarsi quel nesso di
occasionalità  tra lavoro e sinistro ed è da escludere ogni diritto
all’indennizzo.

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza n. 7875 del 24/04/2004.

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 17 giugno 1998, Cantoni Ivan
esponeva di essere dipendente della SIRTI S.p.a., con qualifica di operaio,
presso la sede di via dell’Elettricista, Zona Roveri (Bologna), con orario di
lavoro dalle 8 alle 12 e dalle 13 alle 17 e pausa pranzo di un’ora.

Aggiungeva che, non avendo attivato il datore di lavoro un
servizio mensa interno, i dipendenti, durante la pausa pranzo, si recavano,
usufruendo di buoni pasto, presso esercizi pubblici, situati nelle vicinanze,
raggiungibili con il mezzo proprio, perchè il poco tempo a disposizione non
consentiva l’uso degli autobus di linea urbano. Soggiungeva che, essendo la sua
abitazione distante poco meno di tre chilometri dal luogo di lavoro, egli
preferiva ritornare a casa per consumare il pranzo, utilizzando il proprio
ciclomotore, poichè l’uso del mezzo pubblico, per il tragitto casa-lavoro e
viceversa, era particolarmente disagevole, e richiedeva, ogni volta, circa
un’ora di tempo, mentre con il ciclomotore impiegava poco più di dieci minuti.
Precisava che il 6 agosto 1996 ed il 5 marzo 1997, nel tragitto casa-lavoro
durante la pausa pranzo, era rimasto vittima di due sinistri stradali, svoltisi
con le medesime modalità , ma che l’INAIL non aveva riconosciuto i due eventi
come infortunio sul lavoro, sostenendo che il primo si era verificato fuori
dall’ambiente di lavoro, in presenza di rischio generico non protetto dalla
legge sugli infortuni sul lavoro, e che il secondo non risultava provato sulla
base della documentazione acquisita. Ciò premesso, il ricorrente conveniva,
davanti al Pretore di Bologna, l’INAIL, chiedendone la condanna, previo
accertamento che entrambi i sinistri costituivano infortunio sul lavoro, alla
corresponsione della rendita per invalidità  permanente, ragguagliata alla
percentuale del 18-20% per il primo infortunio e, dalla data del secondo, alla
misura complessiva del 30%, oltre accessori.

Radicatosi in contraddittorio, il Tribunale di Bologna,
succeduto a far tempo dal 2 giugno 1999 all’Ufficio del Pretore soppresso a
seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, con
sentenza del 27 luglio-16 agosto 2000, respingeva la domanda.

Il Tribunale, premesso che dal primo incidente stradale era
derivata una inabilità  permanente pari al grado del 12% e dal secondo una
inabilità  permanente del 14%, escludeva che i due sinistri fossero riconducibili
alla occasione di lavoro, perchè il ricorrente, anche se la datrice di lavoro
non aveva predisposto un servizio mensa, non aveva necessità  di recarsi a casa
per consumare il pasto meridiano, potendo pranzare, come facevano tutti i suoi
colleghi, presso pubblici esercizi, situati in prossimità  del luogo di lavoro,
con l’impiego di buoni pasto messi a disposizione dalla società  datrice di
lavoro. In conseguenza, il rischio assunto dal Cantoni doveva essere considerato
elettivo e, quindi, non era configurabile l’occasione lavoro.

Avverso la detta decisione il Cantoni proponeva appello, cui
resisteva l’INAIL, chiedendo il rigetto del gravame.

Con sentenza del 28 ottobre-4 novembre 1998 l’adita Corte
d’appello di Bologna rigettava l’appello, osservando – conformemente alla tesi
del primo Giudice – che il Cantoni, volendo ritornare al domicilio per consumare
il pasto, nonostante il datore di lavoro gli avesse messo a disposizione i
relativi buoni da utilizzare negli esercizi pubblici situati in prossimità  del
luogo di lavoro, si era venuto a trovare, per scelta volontaria ed interessi
personali, ad affrontare rischi diversi da quelli inerenti alle normali
attività ; ciò che rappresentava la pratica realizzazione di un cd. rischio
elettivo, che escludeva il diritto all’indennizzo.

Ricorre per Cassazione Ivan Cantoni con un unico motivo,
ulteriormente illustrato da memoria, cui resiste l’INAIL con controricorso.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo di ricorso Ivan Cantoni deduce violazione
e falsa applicazione dell’art. 2 del D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 e
dell’art. 12 D.Lgs. n. 38 del 2000, nonchè contraddittoria e comunque
insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, insistendo
nel sostenere la sussumibilità  della fattispecie concreta nell’ambito
dell’"infortunio in itinere", e, come tale, da ritenersi indennizzabile, alla
luce di un criterio di "ragionevolezza", idoneo a giustificare la consumazione
del pasto nella propria abitazione. Il ricorso è infondato.

Come è noto, il D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 non ha
disciplinato, se non nell’ipotesi dei marittimi (art. 6), l’infortunio che si
verifichi mentre il lavoratore si reca al lavoro o fa ritorno all’abitazione.

Il carattere eccezionale dell’art. 6 D.P.R. n. 1124 del
1965
cit. ha costituito argomento per confermare che il legislatore del 1965
non ha inteso estendere, quanto meno in maniera indiscriminata, la tutela
assicurativa alle ipotesi di mero collegamento dell’evento infortunistico con la
prestazione lavorativa, ossia alle attività  accessorie e preparatorie compiute
dal lavoratore per recarsi al posto di lavoro o per tornare.

Partendo da tale premessa, la giurisprudenza di questa Corte,
cui va prestata adesione – dando specifica rilevanza alla previsione della mera
"occasione" (di lavoro), quale presupposto dell’indennizzabilità  (art. 2
D.P.R. n. 1124 del 1965)-
si è orientata nel senso che il lavoro preso in
considerazione dalla legge, in quanto espone il lavoratore al rischio,
costituisce esso stesso in definitiva, "fattore occasionale" del rischio
tutelato; con la conseguenza che il requisito della "occasione di lavoro"
finisce con l’attribuire rilievo ad ogni esposizione a rischio,
indipendentemente dal grado maggiore o minore di questo, assumendo il lavoro –
come precisato – il ruolo di fattore occasionale del rischio stesso, con l’unico
limite – ed in tal modo si è inteso rispettare la sopra rilevata mancata
previsione legislativa – costituito dal "rischio elettivo" (intendendosi per
tale quello che, estraneo e non attinente all’attività  lavorativa, sia dovuto ad
una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente, in
base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente
all’attività  lavorativa, ponendo cosí una causa interruttiva di ogni nesso tra
lavoro, rischio ed evento: ex plurimis, Cass. 30 maggio 1995n.6088).

Corollario di tali enunciazioni è che, allorquando l’utilizzo
della pubblica strada sia imposto dalla necessità  di raggiungere il posto di
lavoro, particolarmente ove la strada pubblica conduca esclusivamente ad esso e
non siano dunque possibili al lavoratore scelte diverse, si configura un
rapporto finalistico, o strumentale, tra l’attività  di locomozione e di
spostamento (tra luogo di abitazione e quello di lavoro, e viceversa) e
l’attività  di stretta esecuzione della prestazione lavorativa, che di per sè è
sufficiente ad integrare quel "quid pluris" richiesto per la indennizzabilità 
dell’infortunio "in itinere" (cfr. Cass. 17 maggio 2000 n. 6431).

Il che viene a determinarsi sia quando il lavoratore, per
recarsi sul luogo di lavoro o per tornare alla propria abitazione, usi un mezzo
pubblico, sia quando debba necessariamente usare un mezzo di trasporto
particolare che non sia quello solitamente usato dalla generalità  degli utenti
della strada, come nel caso di necessità  dell’uso del veicolo privato per
l’assenza o l’inadeguatezza di mezzi pubblici (cfr. Cass. 2291/92), sempre
naturalmente che la distanza tra l’abitazione del lavoratore e il luogo di
lavoro sia tale da non poter essere percorsa a piedi, nel qual caso è proprio la
"necessità " dell’uso del mezzo privato che viene meno (Cass. L. 1 novembre 1997
n. 8929). Tale orientamento è stato recepito dal legislatore, il quale con la
legge 17 maggio 1999, n. 144, ha delegato il
Governo (art. 55 lett. U) a dettare una specifica normativa per la tutela
dell’infortunio "in itinere", ponendogli come criterio direttivo il recepimento
dei principi giurisprudenziali consolidati in materia; ed il legislatore
delegato, nell’attuare la delega con l’art. 12 del
D.Lgs. 23 febbraio
2000, n. 38
, si è ispirato al conclusivo approdo della giurisprudenza di
legittimità  sopra richiamata, riconoscendo la tutela assicurativa agli
"infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata
e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro", escludendo l’operatività 
della tutela nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato salvo che esso
non sia "necessitato".

Orbene, il Tribunale ha diligentemente indagato in ordine
alle circostanze di fatto caratterizzanti la situazione in esame, osservando –
per quanto concerne le contestazioni mosse dal Cantoni in questa sede – che
nella fattispecie in esame risultava provato, sulla base della documentazione
allegata agli atti e delle deposizioni dei testi escussi, colleghi di lavoro
dell’appellante, che la S.p.a. Sirti, non disponendo di un servizio interno di
mensa, consegnava dei buoni pasto ai propri dipendenti, i quali li utilizzavano,
nella pausa pranzo della durata di un’ora, presso degli esercizi pubblici
convenzionati, situati in prossimità  del luogo di lavoro.

Il Cantoni, invece, preferiva consumare il pranzo presso la
propria abitazione, perchè questa non era molto distante dal luogo di lavoro
(circa tre chilometri). Tuttavia, poichè il servizio urbano di trasporto
pubblico non gli consentiva di coprire il pur breve tragitto in un tempo
compatibile con la durata della pausa pranzo, l’appellante utilizzava il proprio
motorino per recarsi al suo domicilio e ritornare al lavoro, impiegando circa
dieci minuti per tratta.

Da tale situazione di fatto, il Giudice d’appello ha tratto
il convincimento che la decisione del lavoratore di consumare il pranzo
meridiano presso la propria abitazione, pur avendo la possibilità  di utilizzare
i buoni pasto, forniti dal datore di lavoro, negli esercizi pubblici, situati in
prossimità  del luogo di lavoro, cui qualche volta poteva accedere anche con un
veicolo messo a disposizione dalla S.p.a. Sirti costituiva il frutto di una sua
volontaria e libera determinazione, che non trovava alcun diretto collegamento
con l’attività  lavorativa svolta.

Il Cantoni, infatti, volendo, comunque, ritornare al
domicilio, ha "elettivamente" scelto di accettare un rischio ulteriore rispetto
a quello cui sarebbe andato incontro se, come i suoi colleghi di lavoro, avesse
consumato il pranzo in prossimità  del luogo di lavoro, di guisa che, essendo i
due eventi lesivi (sinistri stradali) ricollegabili al "rischio elettivo", cioè
a quella particolare situazione nella quale il lavoratore sia venuto a trovarsi
per scelta volontaria, puramente arbitraria e diretta a soddisfare impulsi
personali, che lo inducono ad affrontare rischi diversi da quelli inerenti alle
normali attività , non poteva essere ravvisato quel nesso di occasionalità  tra il
lavoro ed i due sinistri, che, ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, ne
condiziona la indennizzabilità , secondo l’orientamento di questa, Corte,
recepito dall’art. 12 del D.P.R. n. 1124 del 1965 citato.

Del tutto correttamente, pertanto, il Giudice a quo ha
concluso che gli incidenti stradali, occorsi a Cantoni Ivan il 6 agosto 1996 ed
il 5 marzo 1-997, non costituivano infortuni sul lavoro e, quindi, non erano
coperti dalla tutela assicurativa dell’INAIL, non avendo il lavoratore
utilizzato il buono pasto secondo le indicazioni dell’azienda.

Avendo, dunque, il Giudice d’appello congruamente motivato le
ragioni delle sue conclusioni ed essendosi al contempo adeguato ai principi
elaborati in materia da questa Corte, non essendo provate e neppure dedotte
specifiche esigenze familiari od altro, giustificative della scelta operata dal
Cantoni, alla stregua dell’invocato principio di "ragionevolezza", il ricorso
deve essere rigettato.

Nulla per le spese ex art. 152 disp.att.c.p.c.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Cosí deciso in Roma, il 14 gennaio 2004.

Depositato in Cancelleria il 24 aprile 2004.

<p cla

https://www.litis.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Litis.it
Panoramica privacy

This website uses cookies so that we can provide you with the best user experience possible. Cookie information is stored in your browser and performs functions such as recognising you when you return to our website and helping our team to understand which sections of the website you find most interesting and useful.