In presenza di crimini internazionali, l’immunità funzionale degli organi dello Stato estero non può essere invocata: Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza n. 5044 del 11/03/2004
Con la sentenza in esame, le
Sezioni Unite della Suprema Corte sono intervenute in merito alla rsponsabilità
dello Stato estero conseguente a violazione dei diritti fondamentali
dell’individuo e sulla operatività della relativa immunità dalla
giurisdizione civile. La Corte ha affermando il principio secondo cui deve
essere affermata la giurisdizione dello stato estero nei confronti del Paese che
si presume responsabile, con conseguente inefficacia della c.d. immunità
funzionale, in presenza di crimini internazionali (i quali di per sè minacciano
l’umanità intera e minano le fondamenta stesse della coesistenza
internazionale) che siano stati commessi nel paese in cui il giudizio è stato
instaurato.
Svolgimento del processo
1 – Con atto notificato il 23 settembre 1998, il signor L.F. conveniva in
giudizio, innanzi al Tribunale di Arezzo, la R. F. d. G., chiedendone la
condanna al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti per
essere stato catturato in provincia di Arezzo, il 4 agosto 1944, da forze
militari tedesche e, quindi, deportato in Germania per essere utilizzato presso
imprese tedesche quale lavoratori "forzato". Aggiungeva l’attore che la sua
permanenza in un lager di sterminio a K., dove la R. W. (R. M. H. G. W.) e la M.
costruivano aeroplani, missili e altre armi da guerra, si era protratta fino al
20 aprile 1945.
La parte convenuta eccepiva il difetto di giurisdizione dell’autorità
giudiziaria italiana e dichiarava di non accettare il contraddittorio sul merito
della vicenda.
1.1 – Il Tribunale, con sentenza del 3 novembre 2000, dichiarava il difetto
di giurisdizione del giudice italiano, sul rilievo che la domanda avanzata
dall’attore trovava il suo fondamento in fatti compiuti da uno Stato straniero
nell’esercizio della sua sovranità e che, pertanto, la controversia era
sottratta alla cognizione dello Stato territoriale in base al principio della
cd. immunità ristretta fondato sul diritto internazionale consuetudinario.
1.2 – La Corte d’appello di Firenze respingeva l’appello del F., ribadendo
quanto già affermato dal Tribunale e osservando, in particolare, che il
riconoscimento della giurisdizione del giudice italiano nella controversia in
esame non avrebbe potuto trovare fondamento:
– nella Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione
delle decisioni in materia civile e commerciale, firmata a Bruxelles il 27
giugno 1968 (d’ora innanzi: Convenzione), essendo escluse dal suo ambito di
applicazione, secondo il costante orientamento della Corte di Giustizia, le
materie attinenti all’esercizio di potestà pubbliche da parte di autorità
statali;
– e neppure nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata
dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, essendo le sue disposizioni rivolte
(non agli individui, ma) agli Stati e prive di valore precettivo immediato.
1.3 – Il F. chiede la cassazione di tale sentenza con quattro motivi di
ricorso, illustrati con memoria.
La R.F. di G. resiste.
Motivi della decisione
2 – Con il primo motivo il ricorrente – denunciando violazione e falsa
applicazione degli artt. 1, 5, terzo comma, e 57, della Convenzione sulla
competenza giurisdizionale in materia avite e commerciale firmata a Bruxelles il
27 settembre 1968 (d’ora innanzi: Convenzione) censura la sentenza impugnata per
aver negato la giurisdizione del giudice italiano senza considerare che nella
specie erano applicabili i criteri di individuazione della competenza
giurisdizionale stabiliti in detta Convenzione, posto che:
– la controversia intercorre tra un soggetto avente il proprio domicilio in
uno Stato contraente (l’Italia) nei confronti di un altro Stato contraente (la
R.F. di G.) e, quindi, per definizione localizzato entro l’ambito territoriale
di applicazione della Convenzione;
– che la pretesa risarcitoria trova fondamento in fatti avvenuti nel
territorio italiano;
– che, secondo il diritto italiano e tedesco, anche le domande risarcitorie
proposte nei confronti di un ente pubblico hanno natura "civile";
– che le disposizioni contenute nella Convenzione prevalgono sulle norme
internazionali di diritto consuetudinario e, quindi, anche sul principio sul
quale si fonda l’immunità dalla giurisdizione degli Stati stranieri;
– che, in base al criterio stabilito dall’art. 5, n. 3, "in materia di
delitti o quasi delitti", il convenuto domiciliato in un altro Stato contraente
puo’ essere citato davanti al giudice dello Stato in cui – l’evento dannoso si
è verificato, anche quando si tratti di uno Stato contraente diverso da quello
in cui il convenuto è domiciliato.
2.1 – La censura, in tali termini formulata, è palesemente infondata.
Invero, la Convenzione (i cui contenuti sono ora assorbiti, salvo che per la
Danimarca, dal Regolamento n. 44/01/CE emanato il 22 dicembre 2000 dal Consiglio
dell’Unione Europea) non è applicabile alle controversie relative ad attività
che costituiscono espressione della sovranità dei singoli Stati, come è stato
chiarito a più riprese dalla Corte di Giustizia affermando, in tema di
responsabilità della Pubblica Amministrazione, che la pretesa risarcitoria del
danneggiato assume carattere "civile" (e rientra, quindi, nell’ambito di
applicazione della Convenzione) solo se è fondata su fatti che non siano stati
commessi dalla Pubblica Amministrazione "nell’esercizio della sua potestà
d’impero" (sent. 21 aprile 1993, c. 171/91; 16 dicembre 1980, c. 814/79; 14
ottobre 1976, c. 29/76).
3 – L’infondatezza, per le ragioni indicate nel precedente paragrafo, della
censura formulata con il primo motivo, porta a ritenere assorbito il terzo
motivo, con il quale il ricorrente – denunziando violazione degli artt 2 e 3 del
Protocollo aggiuntivo della Convenzione – sia duole che la Corte territoriale
non abbia rimesso alla Corte di giustizia CE la questione interpretativa volta a
chiarire se la domanda di risarcimento proposta nei confronti della Germania nel
ricorso rientri, o meno, nell’ambito di operatività della Convenzione medesima.
Invero, anche quando la rimessione della questione alla Corte di Giustizia è
obbligatoria (ma tale non era nel caso di specie, dal momento che la Corte
d’appello non era chiamata a decidere quale giudice di ultima istanza e non
ricorrevano, quindi, le condizioni per applicare il principio posto dall’art.
234, ultimo comma, del Trattato CE), deve pur sempre considerarsi che l’obbligatorietà
del rinvio non è assoluta, in quanto esso risponde all’esigenza di assicurare
la corretta e uniforme applicazione del diritto comunitario in tutti gli Stati
membri e il giudice (anche se di ultima istanza) puo’ quindi astenersi
legittimamente dal sottomettere la questione interpretativa all’esame della
Corte di giustizia tutte le volte che la sua soluzione si imponga con tale
evidenza da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio (Corte di giustizia
CE 6 ottobre 1982, c. 283/81; 16 gennaio 1974, c. 166/73; 27 marzo 1963, cause
riunite 28-30/62; Cass. 22 novembre 1996, n. 10359).
4 – Con il secondo e quarto motivo, tra loro strettamente connessi, il
ricorrente – denunciando violazione degli artt. 10 e 24 Cost. censura la
sentenza impugnata per aver ritenuto:
– che il principio della immunità giurisdizionale degli stati stranieri ha
natura e valore di principio generale di diritto internazionale consuetudinario;
– che detto principio puo’ operare anche in presenza della violazione di
norme di "jus cogens" e, in particolare di quelle che attengono al rispetto
della dignità umana e dei diritti inviolabili della persona.
5 – Contrariamente a quel che mostra di ritenere il ricorrente, l’esistenza
di una norma consuetudinaria di diritto internazionale che impone agli Stati
l’obbligo di astenersi dall’esercitare il potere giurisdizionale nei confronti
degli Stati stranieri e la sua operatività, nel nostro ordinamento, in virtù
di quanto disposto dall’art. 10 Cost., primo comma, , non sono revocabili
in dubbio, anche se deve riconoscersi, come si dirà tra breve, che la portata
di tale principio (che un tempo aveva carattere assoluto, nel senso che
accordava allo Stato straniero un’immunità totale, quale che fossero la natura
e l’oggetto della controversia, rispetto alla giurisdizione dello Stato
territoriale) è andata e va progressivamente restringendosi (Cass., sez. un., 3
agosto 2000, n. 530/SU; 3 febbraio 1996, n. 919; v. altresi’, infra, p. 10.1).
La censura è pertanto, sotto tale riguardo, chiaramente infondata.
6 – Il suo esame, sotto l’altro profilo, richiede un più lungo discorso.
Con la già citata sent. n. 530/SU del 2000, questa Corte – chiamata a
giudicare della "nocività" per l’incolumità fisica e la salute dei residenti,
dell’attività di addestramento di velivoli alla guerra, in funzione difensiva,
effettuata in base alle previsioni del Trattato NATO dagli Stati Uniti d’America
sul territorio italiano – dopo aver ribadito che immunità dalla giurisdizione
civile puo’ essere riconosciuta solo limitatamente alle attività che
costituiscano "estrinsecazione immediata e diretta" della sovranità di uno
Stato estero, ha negato che la "potenziale incidenza negativa" di attività
siffatte "sui diritti fondamentali dell’uomo" potesse assumere "valore e portata
discriminatoria" in ordine alla loro riconducibilità "alla sfera del diritto
pubblico" e alla loro idoneità "alla realizzazione dei fini istituzionali dello
Stato", precisando che "tale dato" avrebbe consentito soltanto di affermare che
esse erano potenzialmente nocive sotto i profili sopra indicati, ma non avrebbe
consentito di escludere che si trattava di attività sovrane, sottratte, in
quanto tali, al potere giurisdizione dello Stato territoriale. Questo perchè l’attività
di addestramento alla guerra delle forze armate in funzione difensiva
"rappresenta un fine pubblico essenziale … dello Stato" e, quindi, un’attività
"indefettibilmente e ontologicamente iure imperi".
6.1 – Nella stessa ottica sembra porsi la sentenza pronunciata il 15 dicembre
1995 dalla Corte Suprema d’Irlanda nel caso McElhinney. L’Inghilterra era stata
convenuta in giudizio da un cittadino della Repubblica d’Irlanda davanti ai
giudici di quel Paese per rispondere dei danni subiti a causa di uno "shock
post-traumatico" causatogli, da un militare inglese in servizio al confine tra
la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord. Al passaggio della frontiera,
l’autovettura del sig. McElhinney aveva urtato il militare, che aveva reagito
inseguendolo anche oltre la linea di confine ed esplodendo alcuni colpi di arma
da fuoco, tre dei quali in territorio irlandese. Dopo averlo raggiunto, il
militare gli aveva puntato contro l’arma, premendo il grilletto, che si era
pero’ inceppato.
La Corte ha ritenuto che l’Inghilterra potesse beneficiare dell’immunità
dalla giurisdizione, osservando che il militare aveva agito nell’esercizio di
poteri inerenti all’attività di controllo sulla linea di confine,
riconducibili, in quanto tali, all’esercizio della sovranità dello Stato
convenuto. Questa impostazione è stata fatta propria, con la sentenza 21
novembre 2001, McElhinney v. Ireland, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo
(alla quale l’attore aveva fatto ricorso assumendo che la Repubblica d’Irlanda,
declinando la propria giurisdizione, gli aveva precluso la possibilità di
tutelare il suo diritto in via giudiziaria, violando l’art. 6.1 della
Convenzione sulla salvaguardia, dei diritti dell’uomo), ma sulla base di
considerazioni che, come si preciserà in seguito, non possono essere condivise
(infra, p. 10.1).
7 – Il problema che viene in considerazione nel presente giudizio è
profondamente diverso.
Che gli atti a suo tempo compiuti dalla G., sui quali si radica la pretesa
avanzata dal F., fossero espressione della sua potestà d’impero, non è invero
revocabile in dubbio, trattandosi di atti posti in essere nel corso di
operazioni belliche. Il problema che si pone, infatti, è quello di accertare se
l’immunità dalla giurisdizione possa operare anche in presenza di comportamenti
che, a differenza di quelli considerati nel precedente paragrafo, assumono
connotati di estrema gravita, configurandosi, in forza di norme consuetudinarie
di diritto internazionale, quali crimini internazionali, in quanto lesivi di
valori universali che trascendono gli interessi delle singole comunità statali
(v. infra, p. 9).
7.1 – La circostanza che tali comportamenti si inserissero nello svolgimento
di operazioni belliche pone peraltro una questione preliminare.
Con ordinanza del 5 giugno 1(2002, n. 8157 queste Sezioni Unite hanno infatti
statuito che gli atti compiuti dallo Stato nella conduzione di ostilità
belliche si sottraggono ad ogni sindacato giurisdizionale, costituendo
espressione di una funzione di "indirizzo politico", rispetto alla quale "non è
configurabile una situazione di interesse protetto a che gli atti in cui detta
funzione si manifesta assumano o meno un determinato contenuto". In applicazione
di detto principio è stato dichiarato il difetto di giurisdizione su una
domanda di risarcimento proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio e
del Ministero della difesa dell’Italia per l’avvenuta distruzione, nel corso
delle operazioni aree della NATO contro la Repubblica Federale di Jugoslavia, di
un obbiettivo non militare, e al conseguente decesso di alcuni civili. E’
agevole pero’ osservare, da un lato, che l’insindacabilità delle modalità di
svolgimento delle attività di suprema direzione della cosa pubblica non è di
ostacolo all’accertamento degli eventuali reati commessi nel corso del loro
esercizio e delle conseguenti responsabilità, sia sul piano penale che su
quello civile ( artt. 90 e 96 Cost.; art. 15, L.Cost. 11 marzo 1953,
n. 1; art. 30, L. 25 gennaio 1962, n. 20); dall’altro, che, in forza
del principio di adattamento sancito dall’art. 10 Cost., primo comma, le
norme di diritto internazionale "generalmente riconosciuti" che tutelano la
libertà e la dignità della persona umana come valori fondamentali e
configurano come "crimini internazionali" i comportamenti che più gravemente
attentano all’integrità di tali valori, sono divenute "automaticamente" parte
integrante del nostro ordinamento e sono, pertanto, pienamente idonee ad
assumere il ruolo di parametro dell’ingiustizia del danno causato da un fatto"
doloso o colposo altrui. E’ quindi evidente che i principi contenuti in detta
pronuncia non possono venire in considerazione nel caso di specie.
7.2 – Come si è riferito (retro, p. 1), i fatti posti a fondamento della
domanda risarcitoria avanzata dal ricorrente si erano concretati nella sua
cattura e nella sua deportazione in Germania per essere utilizzato quale "mano
d’opera non volontaria" al servizio di imprese tedesche.
Alla stregua della Risoluzione 95-1° dell’11 dicembre 1946, con la quale
l’Assemblea generale delle Nazioni Unite "confermo’" i principi di diritto
internazionale dello Statuto e dalla sentenza, del Tribunale mi