Sul caso Cossiga-Onorato-Flamigni la Consulta
ribadisce che deve essere la magistratura a decidere se le dichiarazioni del
Presidente sono coperte da immunità. Respinto il ricorso del senatore a
vita
L’irresponsabilità del presidente della Repubblica è sempre e solo
"funzionale" e spetta all’Autorità giudiziaria valutare se, in concreto,
determinate dichiarazioni del Capo dello Stato siano o meno coperte dall’immunità.
Lo ha ribadito la Corte costituzionale con la sentenza 154, con la quale ha
in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile il ricorso del
senatore a vita Francesco Cossiga.
La vicenda. L’ex Presidente della Repubblica si
era rivolto alla Consulta sollevando conflitto di attribuzioni nei confronti
della corte di Cassazione che aveva cassato con rinvio la sentenza della
Corte d’Appello di Roma sul contenzioso tra Cossiga e gli ex senatori
Pierluigi Onorato e Sergio Flamigni.
La causa riguarda una richiesta di risarcimento per danno morale da
diffamazione sollevata dagli ex parlamentari in risponda ad alcune
"esternazioni" ritenute offensive dell’allora Capo dello Stato.
In primo grado il Tribunale di Roma aveva accolto le richieste di Flamigni e
Onorato con un verdetto poi ribaltato dalla Corte d’appello. Quest’ultima
aveva ritenuto improponibili le domande sostenendo che le dichiarazioni di
Cossiga fossero coperte dall’immunità prevista dall’articolo 90 della
Costituzione. Nel 2000, i giudici del Palazzaccio cassano con rinvio la
decisione di secondo grado, chiarendo i confini dell’immunità presidenziale
che, nel caso delle esternazioni, esiste nella misura in cui queste siano
"strumentali ed accessorie alla funzione presidenziale".
Le tesi di Cossiga. Il presidente Cossiga, nel
suo ricorso alla Corte costituzionale aveva invece eccepito, in primo luogo:
""la non spettanza all’autorità giudiziaria del potere di individuare il
contenuto delle immunità presidenziali di cui all’articolo 90 Costituzione,
nonchè di giudicare se gli atti compiuti dal Presidente della Repubblica
abbiano natura funzionale o extrafunzionale", compito che invece sarebbe
esclusiva della Corte costituzionale; in secondo luogo, l’ex presidente
della Repubblica ha sostenuto l’impossibilità a distinguere, nell’ambito
delle esternazioni "riferibili o genericamente connesse alla carica
rappresentativa" tra manifestazioni del pensiero compiute come libero
cittadino e affermazioni riconducibili all’esercizio della carica. Le
"esternazioni" verso i senatori Falmigni e Onorato, è l’ultima tesi di
Cossiga, dovrebbero essere ricondotte in ogni caso all’ambito coperto dall’immunità.
Nel caso di Onorato, infine, non sarebbero nemmeno diffamatorie.
La sentenza. I giudici della Consulta hanno distinto gli ambiti di
intervento della giustizia ordinaria e di quella costituzionale. La
competenza di quest’ultima, in materia di conflitto di attribuzioni, "non
puo’ sostituirsi al giudice comune per l’accertamento in concreto dell’applicabilità
della clausola di esclusione della responsabilità". Contro una errata
valutazione in concreto dell’Autorità giudiziaria sulla portata dell’immunità
o sulla sua sussistenza, scrive la Corte, rimangono i normali mezzi di
impugnazione e, in ultima istanza, il conflitto d’attribuzione davanti alla
Corte: "Ma non puo’ essere negata la competenza dell’autorità giudiziaria a
pronunciarsi, nell’esercizio della sua generale funzione di applicazione
delle norme, ivi comprese quelle della Costituzione".
La Corte afferma anche che, pur essendo mobile e opinabile, la definizione
di "funzioni presidenziali", "una cosa è fuori discussione: l’articolo 90
della Costituzione sancisce la irresponsabilità del Presidente – salve le
ipotesi estreme dell’alto tradimento e dell’attentato alla Costituzione –
solo per gli "atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni". E’ dunque
necessario tenere ferma la distinzione fra atti e dichiarazioni inerenti
all’esercizio delle funzioni, e atti e dichiarazioni che, per non essere
esplicazione di tali funzioni, restano addebitabili, ove forieri di
responsabilità, alla persona fisica del titolare della carica". La Corte
riconosce che, per le esternazioni, questa distinzione puo’ risultare, in
fatto, difficile: "ma l’eventuale maggiore difficoltà non toglie che essa
sia necessaria".
Per la parte restante, il ricorso è stato
dichiarato inammissibile perchè la sentenza della corte di Cassazione non
afferma, nè nega, in concreto le responsabilità di Cossiga limitandosi ad
indicare i principi ai quali i giudici di merito devono attenersi: "Le
censure in esame sono dunque premature, potendo, se del caso, essere
proposte solo nei confronti delle pronunce con le quali l’autorità
giudiziaria abbia giudicato nel merito sugli addebiti mossi al sen. Cossiga,
escludendo che essi siano coperti dalla immunità".
Legittimazione soggettiva. In via preliminare
la Corte ha risolto, in senso positivo, il dubbio sulla legittimazione a
proporre conflitto d’attribuzione da parte di un ex presidente della
Repubblica, affermando che: "la legittimazione possa estendersi a chi ha
cessato di ricoprire la carica, nelle particolari situazioni, come quella
che si verifica nel presente caso, in cui concorrono le seguenti due
circostanze: a) la controversia sulle attribuzioni e sulla loro ipotizzata
lesione coincide con una controversia circa l’applicabilità, nel caso
concreto, di una norma costituzionale la cui portata si sostanzia
nell’escludere o nel limitare, in via di eccezionale prerogativa, la
responsabilità della persona fisica titolare della carica costituzionale
per atti da essa compiuti; b) vi è coincidenza fra la persona fisica della
cui responsabilità si discute, e il titolare, nel momento in cui è stato
compiuto l’atto da cui si fa discendere la responsabilità, della carica
monocratica alla quale la norma costituzionale collega la prerogativa della
immunità".
I giudici hanno anche ammesso l’intervento di
soggetti diversi da quelli legittimati a proporre il ricorso, principio che
pur rimanendo escluso in via generale, conosce delle eccezioni. In analogia
ha quanto affermato con la sentenza 76/2001 sulle immunità dei consiglieri
regionali, i giudici hanno spiegato che negare l’ingresso "alla difesa delle
parti del giudizio comune, in cui si controverte sull’applicazione della
immunità, significherebbe esporre tali soggetti all’eventualità di dover
subire, senza possibilità di far valere le proprie ragioni, una pronuncia
il cui effetto potrebbe essere quello di precludere definitivamente la
proponibilità dell’azione promossa davanti alla giurisdizione".
Il testo della sentenza
Corte Costituzionale, Sentemza n. 154 del 26/05/2004
(Fonte: Diritto e Giustizia)
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