E’ consentito all’azienda non adottare i meccanismi di rotazione tra i lavoratori posti in cassa integrazione per motivi di ordine tecnico ed organizzativo volti a garantire un regolare livello di efficienza produttiva. Cassazione Civile, Se
La legge 23 luglio 1991 n. 223 individua i principi
generali in base ad i quali opera il meccanismo di rotazione tra i vari
dipendenti che esercitano le medesime funzioni e sono occupati nell’unità
produttiva aziendale interessata dalle sospensioni lavorative. Secondo tale
dettame, infatti, nei confronti di alcuni lavoratori in cassa integrazione puo’
non applicarsi il meccanismo di rotazione, sempre che la scelta del datore sia
giustificata da esigenze di efficienza dell’apparato tecnico-produttivo e dal
fatto che si sia verificato un sostanziale esaurimento degli incarichi da
assolvere. E’ da ritenersi conforme a correttezza e buona fede il comportamento
della società, che, in una fase di ristrutturazione e riorganizzazione
aziendale, aveva ridotto l’attività di progettazione, necessariamente
proiettata nel futuro, e mantenuto in forza solo i dipendenti che, in quanto
addetti a compiti operativi, e quindi alla concreta realizzazione dei progetti
in atto, ricoprivano posizioni lavorative irrinunciabili. "In tale situazione" –
prosegue la sentenza – "il rientro del lavoratore nel circuito produttivo era
impossibile, giacchè la sua attività era praticamente esaurita e non
sussistevano altri lavoratori svolgenti le medesime mansioni con i quali avrebbe
potuto effettuare la rotazione".
Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza. n.
6177 del 27/03/2004
Svolgimento del processo
Con ricorso al Pretore di Napoli, depositato il 19 gennaio 1994, L.D.A. esponeva
di lavorare alle dipendenze della S.p.A. M., inquadrato dapprima al 6° e poi al
7° livello, e di essere stato da ultimo utilizzato, quale ingegnere, presso la
"direzione di coordinamento ed indirizzo della progettazione"; di avere svolto
mansioni di dirigente, superiori a quelle di inquadramento; di essere stato
posto in cassa integrazione una prima volta l’8 febbraio 1993 e, dopo il rientro
al lavoro, l’11 ottobre 1993, senza essere stato più richiamato; di ritenere
illegittima la seconda collocazione in cigs, in quanto contraria alle regole di
cui all’art. 1, commi 7 e 8, della legge n. 223 del 1991, nonchè in
violazione dei criteri di correttezza e buona fede.
Tanto premesso, chiedeva accertarsi il suo diritto alla superiore qualifica, con
le conseguenti differenze retributive; accertarsi la illegittimità della messa
in cassa integrazione dell’11 ottobre 1993 ed il suo diritto ad essere
reintegrato nel posto di lavoro, nonchè il diritto a percepire la differenza
tra la retribuzione e quanto percepito a titolo di cigs o, in subordine, un
risarcimento danni pari a 24 mensilità.
La M. S.p.A., costituitasi, si opponeva alle domande.
Al termine della istruttoria, il Pretore rigettava la domanda di superiore
inquadramento e di reintegra nel posto di lavoro; dichiarava la illegittimità
della messa in cassa integrazione dell’11 ottobre 1993 e condannava la società,
a titolo di risarcimento del danno, al pagamento di una indennità pari a 24
mensilità calcolate sulla base dell’ultima retribuzione, previa detrazione di
quanto percepito a titolo di indennità cigs.
L’appello della società, cui resisteva il lavoratore, veniva accolto dal
Tribunale di Napoli con sentenza del 5/26 luglio 2000.
I
giudici di secondo grado ritenevano, diversamente dal Pretore, che la scelta
societaria di non applicare la rotazione nei confronti del D.A. fosse stata
dettata da esigenze di efficienza dell’apparato tecnico produttivo, e, in
particolare, dal sostanziale esaurimento delle competenze affidate al lavoratore
e dalla sua non tangibilità con altri lavoratori interessati alla rotazione.
Per la cassazione di tale decisione ricorre, formulando un unico motivo di
censura, Luigi D.A..
La S.p.A. M. in liquidazione resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto
decisivo della controversia, la difesa del ricorrente osserva che l’art. 1,
comma 8, della legge 23 luglio 1991, n. 223 consente all’impresa "di non
adottare meccanismi di rotazione tra i lavoratori che espletano le medesime
mansioni e sono occupati nell’unità produttiva interessata dalle sospensioni",
purchè sussistano "ragioni di ordine tecnico-organizzativo connesse al
mantenimento dei normali livelli di efficienza".
Deduce che la motivazione della sentenza impugnata risulta contraddittoria, in
quanto il Tribunale ha, da un lato, ritenuto che le mansioni del ricorrente non
fossero riscontrabili in altri suoi colleghi e, dall’altro, valutato corretto il
programma datoriale che, in linea con l’espressa previsione legislativa, avrebbe
dovuto rivolgersi, ai fini della esclusione della rotazione, a lavoratori che
(diversamente dal D.A.) espletavano le medesime mansioni.
Assume che il fatto che il ricorrente avesse compiti non fungibili con altri
avrebbe dovuto suggerire il rientro dello stesso nella rotazione.
Sostiene che le mansioni del lavoratore, rivolte alla valutazione degli studi di
fattibilità dei progetti, dei costi degli stessi e dei materiali utilizzati,
erano sostanzialmente irrinunciabili; e di cio’ il Tribunale avrebbe dovuto
tenere conto, mentre, paradossalmente, lo stesso ha fondato proprio su tale
aspetto la regolarità della condotta datoriale, non spiegando perchè mai
l’unico addetto alle descritte mansioni non avesse potuto trovare posto, sia
pure, in rotazione, nell’attività aziendale.
Aggiunge che, come colto dal Pretore, l’istruttoria testimoniale aveva accertato
che anche dopo l’11 ottobre 1993 l’attività di approfondimento degli aspetti
progettuali relativi ai profili contrattuali e dei costi era continuata, seppure
affidata ad altro settore, come riferito dal teste D.M.
Deduce la irrilevanza del fatto che il teste D.M. non fosse stato in grado di
menzionare i compiti assolti dal D.A. al rientro dalla cassa integrazione dell’8
febbraio 1993, atteso che oggetto di doglianza era solo il periodo successivo
all’11 ottobre 1993.
Conclude affermando che, in sostanza, la individuazione delle mansioni svolte
dal ricorrente, l’accertata persistenza delle stesse anche dopo l’11 ottobre
1993 e la considerazione dell’effettivo contenuto dell’art. 1, comma 8, della
legge n. 223 del 1991 avrebbero dovuto condurre alle conclusioni cui era
pervenuto il Pretore, che erroneamente e contraddittoriamente sono state
censurate dal Tribunale.
Il ricorso non è fondato.
La sentenza impugnata, dopo avere richiamato le linee generali del meccanismo di
rotazione tra i dipendenti posti in cassa integrazione, come disciplinato dalla
legge n. 223 del 1991, afferma che nel caso di specie "deve quindi
ritenersi che la scelta societaria di non applicare la rotazione nei confronti
del D.A. sia stata dettata da esigenze di efficienza dell’apparato
tecnico-produttivo ed in particolare dal sostanziale esaurimento delle
competenze affidategli e dalla sua mancata fungibilità con altri lavoratori
interessati alla sospensione".
Il Tribunale poi rileva, sulla scorta delle testimonianze R. e M., che gli altri
ingegneri occupati presso la M. e non posti in cassa integrazione erano addetti
specificamente alla direzione tecnica di alcune opere, e quindi a compiti
operativi di notevole rilevanza, mentre, contrariamente a quanto ritenuto dal
primo giudice, non emergeva dagli atti di causa la sussistenza di una residua
attività di competenza del D.A., attesa la genericità delle dichiarazioni del
teste D.M. circa il fatto che, dopo la sospensione dell’appellato, per gli
aspetti contrattuali ed economici lo stesso si rivolgeva alla direzione tecnica.
I
giudici di secondo grado hanno quindi osservato che appariva conforme a
correttezza e buona fede il comportamento della società, che, in una fase di
ristrutturazione e riorganizzazione aziendale, aveva ridotto l’attività di
progettazione, necessariamente proiettata nel futuro, e mantenuto in forza solo
i dipendenti che, in quanto addetti a compiti operativi, e quindi alla concreta
realizzazione dei progetti in atto, ricoprivano posizioni lavorative
irrinunciabili. "In tale situazione" – prosegue la sentenza – "il rientro del
D.A. nel circuito produttivo era impossibile, giacchè la sua attività era
praticamente esaurita e non sussistevano altri lavoratori svolgenti le medesime
mansioni con i quali avrebbe potuto effettuare la rotazione".
La motivazione risulta corretta, rispettosa dei criteri di cui all’art. 1 della
legge 23 luglio 1991, n. 223, immune da vizi logici.
Contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, non sussiste alcuna
contraddizione nel ragionamento dei giudici di secondo grado.
Gli stessi hanno chiaramente escluso che l’ing. D.A. rientrasse tra i
"lavoratori che espletano le medesime mansioni e sono occupati nell’attività
produttiva interessata dalle sospensioni; il richiamo al criterio di rotazione,
come disciplinato dalla legge n. 223 del 1991, rientra nella parte
introduttiva della motivazione, diretta ad illustrare le novità introdotte da
tale legge, ma non tende affatto ad applicare il criterio dei "lavoratori che
espletano le medesime mansioni" all’appellato.
Le ragioni di ordine tecnico-organizzativo, che consentono di escludere, ai
sensi dell’ottavo comma dell’art. 1 della legge n. 223 del 1991, alcuni
lavoratori, tra quelli che espletano le medesime mansioni, dal meccanismo di
rotazione, consentono altresi’ di escludere del tutto altri lavoratori, che non
hanno mansioni identiche ad altri, dalla messa in cassa integrazione o dalla
rotazione nella stessa.
Ed è in forza di tale principio che il Tribunale ha ritenuto corretta la scelta
societaria.
Quanto alla valutazione delle testimonianze R. e D.M., la difesa del ricorrente
si limita ad un diverso apprezzamento delle stesse e a sostenere, contrariamente
a quanto ritenuto dai giudici di appello, che i compiti dell’ing. D.A. fossero
presenti anche nella fase di ristrutturazione che aveva interessato la società.
Si tratta di una diversa valutazione del materiale probatorio che non puo’
trovare ingresso in questa sede, una volta escluso che i brevi brani di
deposizioni testimoniali riportati evidenzino vizi logici.
Per tutto quanto esposto il ricorso va rigettato.
Il diverso esito
dei due gradi di merito consiglia la compensazione delle spese di questo
giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta
il ricorso e compensa tra le parti le spese di questo giudizio.
Cosi’ deciso in
Roma, il 28 ottobre 2003.
Depositato in
Cancelleria il 27 marzo 2004