Il passaggio dei lavoratori da un’azienda ad un’altra in esecuzione di accordi sindacali intercorsi tra le due aziende, comporta il diritto del lavoratore a pretendere la retribuzione per l’attività prestata dal datore effettivo
Nel caso in cui, sulla base di accordi sindacali
tra aziende, si stabilisca che uno o più lavoratori dipendenti di un’azienda
debbano esercitare la loro attività alle dipendenze e presso i locali di
un’altra azienda, si configura, come è stato altre volte evidenziato dalle
sentenze della Cassazione Civile, conversione legale del rapporto (v. sentenze
Cass. Civ. 4 febbraio 1988 n. 1144, Cass. Civ . 5 agosto 1998 n. 7670 e altre
non massimate, tra cui Cass. 26 maggio 2000 n. 6926, 6 aprile 2001 n. 5185, 11
febbraio 2001 n. 15618) ovvero di novazione legale soggettiva ed oggettiva del
rapporto (Cass. 4 febbraio 1987 n. 1080, Cass. 30 marzo 1987 n. 3066, Cass. 20
aprile 1990 n. 3289, Cass. 5 giugno 1991 n. 6385). In ogni caso il rapporto di
lavoro sussiste con il datore committente che è l’unico in grado di determinare
e quantificare la portata e la misura della obbligazione contributiva e
retributiva. Pero’, in riferimento all’obbligazione contributiva,
l’interposizione del commettente al datore apparente nel rapporto lavorativo
comporta la responsabilità di entrambi nel senso che l’obbligazione,
consistente nel pagamento delle somme retributive, puo’ essere adempiuta oltre
che dal datore committente ( operando in tal caso il meccanismo ex art. 1180
c.c. primo comma) anche dal datore di lavoro interposto con effetti liberatori
nei confronti del datore di lavoro effettivo.
Cassazione Civile Sezione Lavoro Sentenza n. 6144
del 27/03/2004
Svolgimento del processo
Con sentenza del 28 febbraio
1996 il Pretore di Roma rigettava l’opposizione proposta dalla soc. L.F. avverso
l’ingiunzione di pagamento emessa nei suoi confronti per l’importo di lire
190.856.667 in favore di U.T., per retribuzioni maturate dal 1° giugno 1988 al
31 marzo 1995.
Tale decisione, impugnata dalla
soccombente, era confermata dal Tribunale della stessa sede con pronuncia
depositata il 16 giugno 2000.
Il giudice del gravame rilevava,
da un lato, la inammissibilità di qualsiasi contestazione sulla sussistenza del
rapporto di lavoro subordinato tra le parti, in considerazione del precedente
giudicato sul punto, e, dall’altro, che detto rapporto non era stato mai risolto
dalle Ferrovie, come accertato nel giudizio promosso dal lavoratore in epoca
successiva alla assunzione dello stesso da parte della soc. L.P., alle cui
dipendenze, secondo le deduzioni svolte dall’appellante, il lavoratore era
passato in base agli accordi sindacali intervenuti. Il Tribunale aggiungeva che
la mancata esecuzione delle prestazioni lavorative, dedotta dall’appellante per
negare il diritto alle retribuzioni posto dal lavoratore a fondamento della
pretesa avanzata in via monitoria, era addebitabile ad una scelta di parte
datoriale, e che il lavoratore, già con l’originario ricorso del 1988, aveva
messo le sue energie lavorative a disposizione delle F., infine, il giudice di
appello escludeva che potessero essere detratto dalle somme dovute al lavoratore
le retribuzioni corrisposte dalla società L.P., poichè l’obbligazione a cui
era tenuta la soc. F. era di natura retributiva e quindi non poteva trovare
applicazione l’art. 1227 c.c.
La cassazione della pronuncia
del Tribunale è stata richiesta dalla società F., con ricorso articolato in
due motivi.
Il T. ha resistito con
controricorso.
La ricorrente, ora denominata
R.F. s.p.a., ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi
della decisione
La ricorrente denuncia, in uno
con vizio di motivazione, violazione e falsa applicazione degli artt. 1362
c.c. e ss. (primo motivo) ed ancora insufficienza e contraddittorietà della
motivazione su punti decisivi della controversia (secondo motivo). Critica la
sentenza impugnata per non avere considerato il tenore letterale nè
dell’accordo sindacale dell’11 giugno 1987, mai contestato dai lavoratori, ove
era stato previsto l’affidamento dei servizi di pulizia e di accudienza ad
alcune imprese, tra le quali la soc. L.P., e il passaggio dei lavoratori
interessati alle dipendenze di tali aziende, nè dell’accordo 23 marzo 1988, in
cui era stato esplicitato che ogni questione relativa al pregresso rapporto con
le F. era stata completamente soddisfatta e risolta. Censura inoltre la
pronuncia del Tribunale per avere, da un lato, escluso l’acquiescenza del T. in
ordine alla propria assunzione da parte della soc. L.P. e alla prosecuzione di
tale rapporto lavoro per oltre un quinquennio con tale società, e, dall’altro
lato, ritenuto la sussistenza del diritto alle retribuzioni nei confronti della
società ricorrente, malgrado l’incontroverso pagamento per il medesimo titolo
effettuato dalla società L.P..
Le censure innanzi esposte, ad
eccezione dell’ultima, non possono essere accolte.
Inammissibili, rileva la Corte,
sono sia quelle concernenti la violazione dei canoni ermeneutici che la
ricorrente denuncia con riferimento ai richiamati accordi sindacali, sia le
doglianze per i vizi di motivazione correlati all’omesso esame del contenuto dei
relativi documenti. Infatti, a fronte della deduzione svolta dalla sentenza
impugnata circa l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato del T. alle
dipendenze della società F., per il giudicato intervenuto sul punto e
costituito dalla precedente sentenza del Pretore di Roma (posteriore agli
accordi sindacali richiamati e che tali patti aveva considerato c), la
ricorrente si è limitata a richiamare il passaggio dei lavoratori da un’azienda
ad un’altra in esecuzione dei menzionati accordi, e a sostenere l’erroneità di
una interpretazione di tali pattuizioni, in senso diverso dalla prevista
assunzione dei lavoratori da parte delle imprese, a cui era stato affidato
l’appalto dei servizi di pulizia e di accudienza. Ma cosi’ argomentata la
censura sollecita, in contrasto on il principio dell’intangibilità del
giudicato, nuove e difformi decisioni sull’esistenza del rapporto di lavoro
della T. alle dipendenze della società L.P. anzichè delle F., cosi’ come aveva
deciso la sentenza del Pretore di Roma passata in giudicato.
Quanto al vizio di motivazione
sul punto dell’acquiescenza da parte del lavoratore al passaggio alle dipendenze
della società L.P., la doglianza è priva di fondamento, poichè il
convincimento a cui è pervenuto il Tribunale, nel ritenere la non
configurabilità di un siffatto comportamento del lavoratore alla cessione alla
soc. L.P. del proprio rapporto di lavoro subordinato intercorrente con le F., è
congruamente giustificato dalla valorizzazione del comportamento manifestato dal
T. con la proposizione della domanda giudiziaria, avanzata in epoca successiva
alla sua formale assunzione alle dipendenze della soc. L.P. e diretta
all’accertamento della sussistenza del suo rapporto di lavoro con la società F..
Si tratta di argomentazioni logiche e prive di errori, che danno conto del
ragionamento coerente del giudice del merito, e del resto la ricorrente non
spiega quali le carenze o le contraddittorieta di tale ragionamento.
Fondata invece è la censura
relativa alla questione della incidenza delle retribuzioni percepite dal
lavoratore sul credito da lui fatto valere in giudizio.
Accertata con efficacia di
giudicato la interposizione illecita della soc. L.P. con riferimento
all’assunzione dei lavoratori, tra cui l’odierno resistente, che effettuavano le
prestazioni lavorative nell’attività di pulizia in favore della società F., il
giudice del inerito ha omesso di considerare la sostituzione di quest’ultima
alla società interposta nel rapporto di lavoro in questione, in applicazione
dell’art. 1, comma quinto, della legge 23 ottobre 1960 n. 1369, che si è
verificata, secondo quanto ha già avuto occasione di evidenziare la
giurisprudenza di questa Corte, con la conversione legale del rapporto (v.
sentenze 4 febbraio 1988 n. 1144, 5 agosto 1998 n. 7670 e altre non massimate,
tra cui Cass. 26 maggio 2000 n. 6926, 6 aprile 2001 n. 5185, 11 febbraio 2001 n.
15618) ovvero con la novazione legale soggettiva ed oggettiva del rapporto
(Cass. 4 febbraio 1987 n. 1080, Cass. 30 marzo 1987 n. 3066, Cass. 20 aprile
1990 n. 3289, Cass. 5 giugno 1991 n. 6385). Qui non ha rilievo prendere
posizione circa l’esattezza dell’una o dell’altra tesi, poichè cio’ che
interessa è la conclusione cui portano entrambe, cioè la sussistenza del
rapporto di lavoro con il committente, l’unico rilevante al fine di determinare
la portata e la misura della obbligazione contributiva e retributiva. Si è poi
evidenziato, con riferimento all’obbligazione contributiva (cfr. Cass. 9 ottobre
1995 n. 10556) che con la sostituzione nel rapporto di lavoro del committente al
datore di lavoro apparente, la responsabilità del primo permane e concorre con
quella dell’altro e l’obbligazione puo’ essere adempiuta, oltre che dal terzo (
art. 1180 c.c., primo comma),
anche dal datore di lavoro interposto con effetti liberatori nei confronti del
datore di lavoro effettivo.
Alle medesime conclusioni si deve pervenire per l’obbligazione
retributiva che è a carico del datore di lavoro interponente (e v. pure Cass. 3
marzo 2001 n. 3096, che ha preso in esame l’ipotesi inversa a quella qui in
esame: in tale pronuncia si è specificato che, in caso di interposizione
illecita di manodopera, il lavoratore, il quale deve essere considerato a tutti
gli effetti alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente ne abbia
utilizzato le prestazioni, puo’ comunque richiedere l’adempimento degli obblighi
retributivi anche al datore di lavoro interposto).
Quindi erroneamente il giudice
del merito non ha considerato l’adempimento da parte di uno dei coobbligati per
la medesima prestazione.
In relazione a tale censura la
sentenza impugnata deve essere annullata e la causa rimessa ad altro giudice di
appello, designato come in dispositivo, il quale dovrà determinare il credito
del T. nei confronti della società F. nella differenza tra le retribuzioni ad
esso spettanti per il rapporto di lavoro intercorso con la medesima società,
per il periodo dal 1° giugno 1988 al 31 marzo 1995, e quanto dal medesimo
lavoratore percepito, nello stesso periodo di tempo per retribuzioni, dalla
società L.P..
Al giudice del rinvio è
altresi’ demandata la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per
quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte
e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello
di Roma.
Cosi’ deciso in Roma, il 25 settembre 2003.
Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2004