Lavoro

L’azione di risarcimento danni da mobbing ha natura contrattuale. Cassazione Civile Sezioni Unite, Sentenza n. 8438 del 04/05/2004

MOBBING
– RESPONSABILITA’ CONTRATTUALE DEL DATORE DI LAVORO



Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute in merito alla
qualificazione giuridica dell’azione di danni conseguente alla responsabilità
del datore di lavoro per “mobbing”, risolvendo un contrasto giurisprudenziale
che perdurava da diverso tempo. L’azione di risarcimento, che trova  uno dei sui
addentellati normativi nell’art. 2087 del Codice Civile, laddove è fatto
obbligo all’imprenditore di adottare tutte le misure che sonmo necessarie a
tutelare l’integrità fisica e morale del dipendente  ha, dunque, natura
contrattuale in quanto diretta a far valere la violazione di obblighi, in capo
al datore di lavoro, scaturenti dal contratto di lavoro stesso ed
indipendentemente dalla natura dei danni subiti e dei quali si chiede il
ristoro. Pertanto le pratiche vessatorie, poste in essere da uno o più soggetti
diversi per danneggiare in modo sitematico un lavoratore nel suo ambiente di
lavoro  costituiscono violazioni di specifici obblighi contrattuali derivanti
dal rapporto di impiego.

Quanto  alla determinazione del
momento in cui gli eventi dannosi debbano considerarsi verificati, La Corte,
richiamando altra giurisprudenza  – sebbene in tema di illecito
extracontrattuale – (Cass. I febbraio 1995 n. I i 56, 20 dicembre 2000 n.16009),
ha ribadito che si deve fare riferimento non al danno ma al rapporto eziologico
tra questo e il comportamento contra ius dell’agente.  (Avv. Marco Martini)

 


Cassazione Civile, Sezioni Unite

Sentenza n. 8438 del 4 maggio 2004




(Presidente G. Sciarelli – Relatore G. Amoroso)



SVOLGIMENTO DEL PROCESSO



S. B.
conveniva dinanzi al Tribunale di Trento l’(omissis) e la (omissis)
esponendo di aver lavorato alle dipendenze di detto Istituto dal 1981, e di
essere stato collocato in ruolo come fattore dell’(omissis), con
l’attribuzione di mansioni di direzione tecnica e amministrativa. Il ricorrente
aveva presentato degli esposti in ordine ad illeciti rilevati a carico del
direttore generale dell’Istituto, del Direttore amministrativo e dei consiglieri
di amministrazione dell’ente; successivamente, a partire dal 1987, era stato
oggetto di comportamenti vessatori posti in essere dai membri del Consiglio di
Amministrazione, ed era stato quindi privato delle funzioni già svolte, essendo
prima inquadrato come assistente agronomo e poi come collaboratore agronomo,
assegnato dal 1989 a compiti meramente esecutivi, collocato in locali angusti e
disagevoli, e costretto nel 1993 a lasciare l’alloggio concessogli gratuitamente
dall’ente datore di lavoro. Il B. denunciava poi ulteriori comportamenti
vessatori posti in essere in relazione al godimento dei periodi di congedo
ordinario, affermando che in conseguenza di tale situazione era stato colpito da
disturbi psicofisici, accusando una sindrome psiconeurosica ansioso depressiva.


Il sig. B. deduceva di essere stato
quindi vittima di un’attività di mobbing, concretatasi nella violazione degli
artt. 2087 e 2103 cod. civ., da cui era seguita una menomazione psicofisica, con
conseguente responsabilità del datore di lavoro per danno alla capacità
lavorativa, danno biologico, danno morale ed esistenziale. Chiedeva il
risarcimento di tali danni e la condanna dell’ente alla reintegrazione nei posto
di lavoro spettante, con l’inquadramento nell’ottava qualifica funzionale.


Con decisione non definitiva il
Tribunale adito dichiarava la propria giurisdizione e il difetto di
legittimazione passiva della Provincia Autonoma di Trento. A seguito di gravame
proposto dall’ente convenuto in primo grado, con la sentenza oggi denunciata la
Corte di Appello di Trento rilevava l’inammissibilità dell’appello incidentale
della Provincia Autonoma di Trento e dichiarava il proprio difetto di
giurisdizione. Ad avviso del giudice dell’appello, con la domanda azionata erano
stati fatti valere diritti derivanti da responsabilità contrattuale del datore
di lavoro, nell’ambito di un rapporto di lavoro alle dipendenze di pubblica
amministrazione, per fatti lesivi riferibili a periodo antecedente al 30 giugno
1998. La controversia era pertanto devoluta alla giurisdizione esclusiva dei
giudice amministrativo.


Avverso questa sentenza S. B.
propone ricorso per cassazione affidato ad unico complesso motivo, illustrato da
memoria. L’(omissis) resiste con controricorso e ricorso incidentale
condizionato con due motivi.


La Provincia Autonoma di Trento non
si è costituita.


MOTIVI DELLA DECISIONE

1.                 
I ricorsi
proposti contro la stessa sentenza devono essere riuniti ai sensi dell’art.335
cod.proc.civ.

2.                 

1. La difesa del B. eccepisce
preliminarmente l’inammissibilità dei controricorso e ricorso incidentale,
rilevando che l’atto è stato tardivamente notificato il 3 febbraio 2003, dopo
il decorso del termine di cui all’art.370 cod.proc.civ., che scadeva il 2
febbraio 2003; che la procura speciale apposta sull’atto è stata sottoscritta
dall’avv. (omissis), non ammesso al patrocinio dinanzi alla Corte di
Cassazione, il quale ha anche autenticato la firma della parte.

2.                 

2. Le eccezioni sono infondate.
Per la prima, si deve rilevare che il 2 febbraio 2003 (giorno di scadenza come
rilevato dalla parte del termine per la notifica del controricorso e ricorso
incidentale) cadeva di domenica; la scadenza era quindi prorogata, ai sensi
dell’art.i55 cod.proc.civ., al primo giorno seguente non festivo, nel quale è
stata compiuta 1a notifica dell’atto.

2.                 

3. Per la seconda, si osserva
che l’(omissis) ha conferito la procura speciale alle liti, apposta a
margine al controricorso e ricorso incidentale, agli avvocati (omissis) e
(omissis), i quali hanno entrambi sottoscritto l’atto. Secondo la
giurisprudenza di questa Corte, la certificazione da parte di avvocato che non
sia ammesso al patrocinio innanzi alla Suprema Corte dell’autografia della
sottoscrizione della parte apposta sulla procura speciale ad litem rilasciata in
calce o a margine del ricorso o del controricorso per cassazione, che sia stato
firmato anche da altro avvocato (quest’ultimo iscritto nell’albo speciale e
indicato come condifensore in procura), costituisce mera irregolarità, inidonea
a incidere sui requisiti indispensabili per lo scopo dell’atto (v. tra le più
recenti decisioni Cass. 10 ottobre 2000 n.13468, 1I ottobre 2001 n.12411, 6
giugno 2003 n.9078, 8 luglio 2003 n.10372).

3.                 

L’unico complesso motivo del
ricorso principale reca il titolo "violazione e falsa applicazione dell’art.360
cod.proc.civ. punto i per motivi attinenti alla giurisdizione (giurisdizione
dell’A.G.O. in luogo della affermata giurisdizione amministrativa); punto 3 per
violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riguardo all’art.69
punto 7 del dlgs 165/2001, trattandosi di domanda di nullità del procedimento
di appello e percepito mancato deposito da parte dell’Amministrazione appellante
dei fascicolo di primo grado; punto s per omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia".

4.                 

Nell’ordine logico va esaminata
anzitutto la denuncia di nullità della sentenza di appello, che si pone con
carattere di pregiudizialità rispetto alla questione di giurisdizione, e che la
parte ricollega al mancato deposito del fascicolo di primo grado dell’appellante
Istituto Agrario. La censura non ha fondamento, in relazione al principio di
tassatività di cui all’am 156 I° comma cod.proc.civ. A seguito delle modifiche
introdotte dalla legge n. 353 del 1990, il nuovo testo dell’art.348
cod.proc.civ. non prevede più la declaratoria di improcedibilità dell’appello
in conseguenza della mancata presentazione del proprio fascicolo da parte
dell’appellante (sanzione che era invece comminata dal secondo comma dello
stesso articolo prima delle modifiche introdotte dalla legge n. 353 del 1990)
ancorchè il deposito del fascicolo e della sentenza impugnata siano comunque
prescritti dal combinato disposto degli artt. 165, 359 e 347 C.P.C. (Cass. 18
maggio 2001 n.6805, 2 luglio 2003 n.10404).

5.                 

1. La difesa del ricorrente
principale sostiene di aver fatto valere, in relazione ai comportamenti
denunciati, una responsabilità sia contrattuale che extracontrattuale dell’ente
datore di lavoro. La Corte di Appello ha fondato la propria decisione in ordine
alla qualificazione dell’azione proposta sull’ordine di servizio emanato
dall’ente nel 1989, senza considerare che la parte non aveva chiesto in
proposito alcun accertamento sulla legittimità dell’atto. La Corte territoriale
ha erroneamente affermato, con una motivazione "contraddittoria e travisata
proprio su un punto decisivo", che l’attore in primo grado ha prospettato una
responsabilità esclusivamente contrattuale della controparte, senza considerare
che la richiesta di risarcimento di danno alla salute non poteva costituire
oggetto della cognizione del giudice amministrativo, dinanzi al quale la pretesa
risarcitoria non trova alcuna tutela.

La parte rileva (punto f del ricorso) che con l’atto introduttivo sono state
prospettate condotte illecite poste in essere dai datore di lavoro "non con
riguardo allo svolgimento del rapporto contrattuale di lavoro …. ma riguardo a
condizioni relazionali e di vita che nell’ambiente di lavoro sono state
appesantite da un accanimento e da atteggiamenti e condotte, anche omissive, che
rappresentano vere e proprie violazioni del principio aquiliano del neminem
laedere". La ricostruzione compiuta dalla Corte territoriale, che tende a far
rientrare nel rapporto contrattuale ogni vicenda vessatoria subita dal
dipendente, comporta che il fenomeno del mobbing "non puo’ di necessità
verificarsi in alcun ambiente di lavoro e nei confronti di alcun dipendente,
poichè in simile contesto ogni condotta

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