Email private in ufficio, la sfida alle regole
I sindacati: no ai licenziamenti per uso dei pc aziendali.
Diritti e controlli devono essere stabiliti dai contratti
I
dipendenti sono preoccupati: da un po’ di tempo avvertono la sgradevole
sensazione che negli uffici la loro vita privata sia sotto osservazione.
Un controllo non sempre privo di conseguenze. Anche drastiche: «Quattro
lavoratrici – denuncia la Fim-Cisl – sono state licenziate perchè hanno usato
la posta aziendale per fini personali».
Il personal computer, in azienda, è
molto poco personal: un altro dipendente è stato sospeso per
tre giorni perchè l’azienda ha trovato documenti privati sul suo pc. Le email,
per loro stessa natura, sono quanto di più controllabile esista: lasciano
indirizzi, orari, tempi e, soprattutto, contenuti. Quando sono nate non si
pensava che sarebbero diventate uno strumento di lavoro insostituibile, con la
conseguente distinzione tra utilizzo pubblico e privato. Ora i sindacati
chiedono che la materia venga regolamentata. Eventuali controlli, insomma,
dovranno essere contrattati: «Grave – dice Nicola Alberta della Fim-Cisl – è il
tentativo di eludere il confronto messo in atto da alcune società che si
rivolgono direttamente ai lavoratori chiedendo la sottoscrizione, per
accettazione, delle procedure aziendali». «Una sentenza penale – spiega
l’avvocato Gianni Sozzi, esperto di diritto del lavoro e consulente della Fiom –
ha stabilito che nell’accesso del datore di lavoro alla email del dipendente non
è configurabile il reato di violazione della corrispondenza». Non c’è lo
strappo della busta, con la email, ma c’è la violazione della norma prevista
dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, che vieta il controllo a distanza
sul lavoro dei dipendenti. L’azienda che vuole verificare se un dipendente perde
tempo con il computer non puo’ farlo di nascosto. La giurisprudenza su questo
tema ha avuto pronunciamenti controversi, ma alcuni punti fermi esistono: «I
controlli non devono essere occulti – spiega l’avvocato Sozzi – e non devono
invadere la sfera privata. Inoltre esiste il divieto di indagine sulle opinioni
dei propri dipendenti».
«All’Ibm Italia –
spiega Alfio Riboni, membro della rappresentanza sindacale di base – l’azienda
si è limita a ricordare che la posta elettronica è uno strumento di lavoro».
Detto questo, senza altri parametri, è prassi che l’uso della email non sia
sottoposto a ulteriori restrizioni, come invece avviene per il telefono. «Da
noi, per fare telefonate private – continua Riboni – bisogna inserire un codice
personale e alla fine del mese viene addebitato al dipendente il costo delle
chiamate».
Quando uno strumento di lavoro è anche
mezzo di comunicazione tutto si complica: più è evoluto più
la giurisprudenza è in affanno. Ci sono state sentenze che hanno stabilito che
è un reato leggere le email dei dipendenti senza avvertirli, anche se queste
rappresentano a loro volta un dolo perchè non dovevano essere scritte con un
computer aziendale. «Non esiste un diritto assoluto alla privacy – dice Filippo
Raffa, avvocato intervenuto all’incontro organizzato a Milano sul tema dalla
Fim-Cisl -. Ci sono sistemi informatici che permettono anche a distanza di tempo
un controllo invasivo e occulto sui dipendenti».
Manca ancora una regolamentazione
di un problema che, per la sua stessa natura, è complesso e rischia di
avvitarsi tra libertà individuali e contratti collettivi, diritto alla privacy
e costi aziendali, tra leggi del codice civile e relazioni sindacali. Se da una
parte il controllo occulto di una email privata puo’ configurare la violazione
della legge sulla privacy e dello statuto dei lavoratori, dall’altra le aziende
sostengono che il computer non è di proprietà del dipendente, per cui non puo’
utilizzarlo per scopi personali.
«Il problema – sintetizza Alberta – è ancora molto sottovalutato da parte delle
aziende ed è frequente il caso di controlli occulti e illegittimi cui sono
sottoposti i lavoratori, sovente destinatari di provvedimenti disciplinari». I
tempi del cartellino da timbrare e del ciclocronografo, con cui i capi
misuravano la produttività dei lavoratori, sono lontani. Ma le nuove
tecnologie, dalle email alle videocamere, possono diventare controllori ben più
subdoli.
Stefano Rodi
FONTE:
http://www.corriere.it