Lavoro

Lavoro – trasformazione del rapporto full-time in part-time. Cassazione Civile Sezione Lavoro Sentenza n. 7012 del 13/04/2004

La sezione lavoro
della Corte di cassazione, con la sentenza n. 7012 del 13 aprile 2004,
confermando la decisione del giudice d’appello, ha rigettato il ricorso di una
lavoratrice dipendente il cui rapporto di lavoro (part-time) era stato
trasformato in full-time, per la durata di un anno, e poi di nuovo in part-time.
La ricorrente lamentava la necessità, nel caso della seconda trasformazione,
della convalida da parte della direzione provinciale del lavoro.
In materia di contratti di lavoro part-time, regolati dalla nuova legge Biagi,
la Cassazione ha affermato che l’inosservanza dei requisiti di forma previsti
non comporta l’automatica sostituzione della disciplina con quella dei rapporti
a tempo pieno e questo in quanto manca una disposizione in tal senso, analoga a
quella dettata in materia di contratto di lavoro a tempo determinato.
La Corte, in particolare, ritiene legittima la possibilità che, in un contratto
a tempo parziale regolarmente costituito, le parti (datore di lavoro e
lavoratore) possano raggiungere un accordo per innalzare l’orario di lavoro fino
al tempo pieno, stabilendo anche il periodo temporale di validità.


Cassazione Civile
Sezione Lavoro Sentenza n. 7012 del 13/04/2004

Svolgimento del processo

 


Con sentenza del 4 – 16 giugno 1999 il Tribunale di
Pisa accoglieva la domanda di Manzo Viviana proposta nei confronti della
Fondazione Stella Maris e dichiarava che il rapporto di lavoro intercorrente fra
le parti era a tempo pieno ed indeterminato a decorrere dal 10 giugno 1996, con
condanna della Fondazione al pagamento delle differenze retributive pari a L.
16.800.000. Il rapporto originariamente era sorto nel 1990 a tempo pieno ed
indeterminato ed era stato poi trasformato, a domanda, a tempo parziale per due
volte con durata annuale e poi ancora a tempo parziale e poi a tempo pieno in
data 10 giugno 1996 limitatamente alla durata di un anno, per tornare a tempo
parziale allo scadere del termine. Quest’ultima trasformazione, non era
legittima e quindi la domanda doveva essere accolta.


La Corte d’Appello di Firenze, investita in grado
di appello su ricorso della Fondazione, con sentenza del 7 – 21 novembre 2000,
riformava la decisione e rigettava l’originaria domanda, sul rilievo che
pacifico in causa, oltre che documentato dalle produzioni delle parti, era che
il rapporto di lavoro della Manzo era ormai definitivamente un rapporto a tempo
parziale in virtù di una precedente trasformazione consensuale attuata con il
contratto 9 gennaio 1995 (all. 7 fasc. appellata) firmato da entrambe le parti e
regolarmente convalidato dall’ufficio provinciale del lavoro in data 12 gennaio
1995, allorchè intervenne la trasformazione in rapporto a tempo pieno, ma a
termine. Con lettera del 12 gennaio 1995 (all. 7 fasc. appellata) la Manzo
sottoponeva il suo. consenso, già irrevocabilmente prestato, alla duplice
condizione della definitiva acquisizione della qualifica di educatrice
professionale ed alla definitiva assegnazione al "U.O.I." e la Fondazione
accettava entrambe le richieste con lettera del 16 gennaio 1995; anche
riconoscendo valore contrattuale alle condizioni poste dalla lavoratrice fuori
dal testo del contratto, le stesse si erano già verificate; irrilevante quindi
era la circostanza che nella medesima lettera del 12 gennaio 1995 la Manzo
esprimesse la propria volontà di tornare full-time non appena se ne fosse
verificata l’opportunità, trattandosi della esternazione di una semplice
aspirazione, cui la dichiarante non subordinava l’efficacia dell’accordo e
pertanto del tutto priva di qualsiasi valore negoziale.


Inapplicabile al caso di specie era l’art. 5, comma
10 L. n. 863 del 1984, secondo cui "su
accordo delle parti (espresso nelle forme di legge) è ammessa…la
trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a
tempo parziale", perchè nella specie si trattava della ipotesi inversa, ove il
rapporto a tempo pieno si inseriva come una parentesi temporale nell’ambito di
un rapporto definitivamente a tempo parziale; l’estensione di detta norma al
caso opposto non era consentita dal dato letterale della stessa, nè dalla sua
ratio, che era quella di fornire una garanzia più accentuata che assicurasse la
tutela della volontà negoziale non semplicemente attraverso l’atto scritto, ma
attraverso l’assistenza successiva dell’organo pubblico; tale ratio perdeva la
sua ragion d’essere in presenza di un atto che si traduceva nell’arricchimento
del regime orario del rapporto, senza alcun possibile danno per la posizione
economica del soggetto più debole del contratto di lavoro; per questa fase
migliorativa del rapporto, anche se limitata sul piano temporale, la legge non
prevedeva nulla. Il successivo passaggio al rapporto di lavoro part-time, alla
scadenza del termine non si atteggiava come Una nuova trasformazione del
rapporto, ma come un ritorno dello stesso al regime consensualmente e
liberamente voluto dalle stesse parti e divenuto ormai il regime normale del
rapporto. "La mancata sottoposizione dell’atto 7 giugno 1996 (di accettazione
della proposta della lavoratrice 27 marzo 1996) alla convalida dell’organo
pubblico" era quindi irrilevante ai fini della piena validità dell’accordo
intervenuto fra le parti, di trasformazione temporanea del rapporto a tempo
pieno.


L’appello quindi doveva essere accolto con conseguente rigetto della originaria
domanda.


Avverso questa pronuncia propone ricorso per
Cassazione la Manzo, fondato su due motivi. Resiste la fondazione Stella Maris
con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memorie illustrative:

Motivi della decisione

 


Lamentando, col primo motivo, violazione e falsa
applicazione degli art. 1326 c.c. e 5, comma
10°, L. 19 dicembre 1984 n. 863, nonchè
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (
art. 360 c.p.c.
n. 3 e 5) deduce la ricorrente che errato è
l’assunto di fondo su cui di base la sentenza impugnata, secondo cui sarebbe
inapplicabile al caso di specie il disposto dell’art. 5
L. n. 863 del 1984
, perchè regola l’ipotesi
inversa, della trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale,
mentre qui ci sarebbe stato un rapporto a tempo pieno che si sarebbe inserito
come una parentesi temporale in un rapporto definitivamente a tempo parziale. La
tesi è errata perchè la ratio della norma è quella di verificare la
genuinità di una manifestazione di volontà che comporta per il lavoratore una
cospicua riduzione dei mezzi di sostentamento e di risorse previdenziali.


Il punto di partenza ignorato dal giudice d’appello
è l’espressione della volontà delle parti al momento della trasformazione del
rapporto da tempo parziale a tempo pieno; la lavoratrice ha manifestato
l’intenzione di passare definitivamente a tempo pieno, mentre il datore di
lavoro ha parzialmente accettato quella proposta ma solo per un periodo
determinato: Non esiste quindi "quella concordanza che la
legge n. 863 del 1984
richiede per consentire
proprio il passaggio da tempo pieno a tempo parziale. Di qui l’indispensabilità
della convalida della volontà della lavoratrice" da parte dell’organo pubblico,
Nè è sostenibile la tesi che la norma non sia applicabile al caso contrario
del passaggio del rapporto a tempo parziale a quello a tempo pieno; nell’impegno
assunto dalla Fondazione sono "contenute due distinte obbligazioni. Con la prima
si conveniva il passaggio a tempo pieno, mentre con la seconda tale passaggio
veniva esplicitamente prefigurato come a tempo determinato"; quest’ultima
obbligazione ha una sua specifica autonomia "posto che incide su un assetto di
interessi qualitativamente diverso e del massimo rilievo"; la ricorrente dopo
avere richiesto, per ragioni di salute, la trasformazione temporanea del
rapporto da tempo pieno a tempo parziale, fin dal 1995 ha insistito per un
ritorno al tempo pieno e indeterminato e questo non puo’ essere ignorato dal
datore di lavoro. La distinta obbligazione diretta al ritorno del rapporto a
part-time realizza proprio la fattispecie legislativa di cui all’art: 5
L. n. 863 del 1984
.


Sotto altro profilo, il giudice d’appello ha male
interpretato la volontà delle parti: a fronte della proposta della lavoratrice
di tornare al tempo pieno e indeterminato, c’è stata una controproposta di
contratto a tempo pieno a termine, che deve essere sottoposta a convalida
davanti all’ufficio pubblico; se la legge prevede un sostegno pubblico per la
trasformazione del rapporto da tempo pieno in part-time, a maggior ragione
"suppone che il sostegno della volontà debba sussistere in presenza di un
contrasto esplicitamente manifestato".


Lamentando, col secondo motivo, violazione degli
art. 2909 c.c.
, art.
112 c.p.c.
e 5, comma 10 L. n. 863 del 1984,
nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (
art. 360 c.p.c.
n. 3 e 5) deduce la ricorrente
che avverso l’affermazione del primo giudice che si è "costituito fra le parti
un rapporto a tempo pieno indeterminato" non è stato proposto gravame e quindi
la sentenza sul punto è passata in cosa giudicata. In ogni caso è errato
l’assunto che anche l’eventuale dimostrazione della violazione dell’obbligo di
cui all’art. 5, 10° comma, della L. n. 863 del 1984
non avrebbe potuto condurre alla conseguenza dell’instaurazione di un rapporto a
tempo pieno ed indeterminato; la mancata attivazione delle procedura di
convalida della volontà del lavoratore comporta la nullità per violazione di
clausole disposta dall’ordinamento a tutela del lavoratore, nullità che
colpisce la clausola appositiva del termine, per cui residua la permanenza fra
le parti di un rapporto a tempo pieno ed indeterminato.


Il ricorso è infondato.


In ordine al primo motivo di ricorso si osserva
innanzi tutto che dalla violazione dell’obbligo previsto dall’art. 5, 10° comma,
L. n. 863 del 1984 non deriva la
trasformazione del rapporto da part-time a full-time; la Corte in proposito ha
già avuto modo di affermare che "la stipulazione di un contratto a tempo parziale
con l’inosservanza dei requisiti di forma previsti dall’art. 5 del
D.L. 30 ottobre 1984 n. 726
, convertito con
modificazioni nella legge 19 dicembre 1984 n. 863,
non comporta l’automatica sostituzione della disciplina relativa a tale tipo di
rapporto con quella prevista per i rapporti a tempo pieno – sia perchè manca
una disposizione in tal senso analoga a quella dettata in materia di contratto
di lavoro a tempo determinato, sia perchè la normativa sul rapporto a tempo
parziale mira a soddisfare le esigenze delle parti contrapposte ed intende
particolarmente garantire il rispetto della volontà’ di entrambe – e deve
invece farsi applicazione della regola di cui all’art.
1419 c.c.
, primo comma" (Cass. n. 6713 del 14 giugno 1995). Non
sussiste quindi la violazione di legge lamentata.


Quanto poi al preteso vizio di motivazione si
osserva che non è stata proposta alcuna censura contro la affermazione del
giudice d’appello, secondo cui dopo due contratti di lavoro part-time con durata
annuale si sia poi concluso regolarmente fra le parti un rapporto part-time a
tempo indeterminato, in ordine al quale si siano poi verificate, con la
incondizionata accettatone dell’altra parte, entrambe le condizioni poste dalla
lavoratrice per la conclusione di tale contratto; questo quindi è un dato
acquisito non più contestabile.


Logica e coerente è l’affermazione successiva che
il contratto di. lavoro a tempo pieno ma determinato, si si’a inserito come una
parentesi nell’ambito di un rapporto part-time già consolidato. La
configurazione di questo accordo come due distinti contratti, uno per il
definitivo passaggio dal part-time al full-time e l’altro per l’apposizione del
termine (con successivo passaggio dopo la scadenza dello stesso al rapporto
part-time, per il quale sarebbe stato necessario il successivo apporto ed
assistenza dell’organo pubblico) appare come una costruzione, forse suggestiva,
ma certamente priva di agganci testuali, che non vengono minimamente posti in
evidenza dalla ricorrente; in base al principio di diritto sopra enunciato, la
mancata convalida per il ritorno del rapporto al regime part-time non comporta
la trasformazione del rapporto medesimo in full-time. Anche se l’aspirazione
della lavoratrice sia stata quella di tornare ad un rapporto di lavoro a tempo
pieno ed indeterminato, non c’è alcun obbligo, legale o convenzionale,
dell’altra parte di accettare tale soluzione e pienamente legittima è la
determinazione del datore di lavoro di accettare l’offerta, ma a tempo
determinato; ed in questo senso è stato raggiunto un accordo fra le parti, che
appare unitario in mancanza di elementi per dimostrare che l’intenzione delle
parti stesse fosse diversa, come prospettato dalla ricorrente. Il primo motivo
di ricorso va quindi disatteso.


In ordine al secondo, basta rilevare che avverso la
pronuncia del primo giudice che fra le parti si sia "costituito un rapporto a
tempo pieno indeterminato" il

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