Il marchio «Parmacotto» non fa concorrenza sleale al prosciutto cotto «Rovagnati» Cass. 6080/2004
ROMA – Il marchio “Parmacotto” non fa concorrenza sleale al prosciutto cotto “Rovagnati” nè agli altri “cotti” commercializzati con altre etichette e pertanto può continuare ad essere venduto sui banconi delle salumerie senza cambiare nome. Lo ha stabilito la Cassazione che ha respinto il ricorso del gruppo Rovagnati che sosteneva che l’avversario facendo riferimento a Parma, nel nome, usufruiva di “un effetto di trascinamento illegittimamente indotto dalla rinomanza e dalla fama di qualità del prosciutto crudo di Parma”. Il richiamo alla patria del “crudo” – secondo Rovagnati – “ingannerebbe il pubblico dei consumatori”, indotto cosí, per assonanza, all’acquisto del “Parmacotto”. Ma Piazza Cavour (sentenza 6080) ha disatteso questo punto di vista dicendo che “il nome geografico di una località non è brevettabile quando può creare situazioni di ingiustificato privilegio e non può costituire elemento di confondibilità tra due prodotti di per sè nettamente inconfondibili”. Quali sono il “crudo” e il “cotto” che sono cosí diversi da eliminare “in radice ogni possibilità di confusione nel consumatore medio”.