Lavoro

Reintegrazione nel posto di lavoro con provvedimento di urgenza seguito dal rigetto nel merito della domanda di annullamento del licenziamento – Obbligo di restituzione delle somme percepite. Cassazione Sentenza Sezione Lavoro n.3509 del 21/02/2004


DOMANDA NUOVA IN APPELLO – REINTEGRAZIONE NEL POSTO DI LAVORO CON
PROVVEDIMENTO DI URGENZA DEL LAVORATORE LICENZIATO, SEGUITO DAL RIGETTO NEL
MERITO DELLA DOMANDA DI ANNULLAMENTO DEL LICENZIAMENTO – OBBLIGO DI RESTITUZIONE
DELLE SOMME PERCEPITE.


 


Nel giudizio di appello la richiesta di restituzione delle somme
pagate dalla controparte in esecuzione della sentenza di primo grado non
configura domanda nuova, essendo conseguente alla richiesta di modifica della
decisione impugnata


L’indennità spettante al lavoratore illegittimamente licenziato,
 ha natura esclusivamente risarcitoria del danno subito per l’illegittimo
licenziamento: sicchè, in caso di riforma della sentenza che aveva dichiarato
l’illegittimità del recesso, venendo a cadere l’illecito civile ascritto al
datore di lavoro e non sussistendo più obbligo di risarcimento a suo carico, le
somme percepite dal lavoratore perdono il loro titolo legittimante e debbono
essere conseguentemente restituite fin dal momento della riforma

 


(Massima a cura della redazione di Litis)
 


 

 


Corte Suprema di Cassazione
Giurisprudenza Civile e Penale

 



Sentenza n.3509
del 21 febbraio  2004

(Sezione Lavoro – Presidente S. Mattone – Relatore G. Cataldi)
 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Pretore di Roma, accogliendo parzialmente l’opposizione proposta dall’ATAC
avverso il decreto col quale gli era stato ingiunto di pagare la somma di
L..17.230512 in favore del sig. A. S. a titolo di retribuzioni maturate nei
mesi di febbraio, marzo, aprile e maggio 1991, dichiarava che il lavoratore
aveva diritto alla minor somma di L.. 11.874.940.

Avverso la decisione di primo grado l’ATAC proponeva appello al Tribunale di
Roma che lo accoglieva condannando l’appellato a restituire l’importo già
percepito di L..11.874.940. Il giudice del gravame rilevava che con sentenza
passata in giudicato il Tribunale di Roma aveva respinto la domanda dello
stesso lavoratore (originariamente proposta in sede di procedimento ex art.
700 la cui ordinanza che era stata alla base delle richieste azionate con il
decreto ingiuntivo opposto disponeva la sospensione del provvedimento
adottato dall’ATAC di esonero dal servizio alla data del 30 settembre 1990)
sicchè il ricorrente non aveva alcun diritto alla prosecuzione del rapporto
dopo il 30 settembre 1990 e di conseguenza la richiesta di retribuzioni
relative a periodo successivo al settembre 1990, proposte in sede monitoria
e nel giudizio in corso, erano prive di fondamento. Il Tribunale, rilevato
che il lavoratore aveva nel frattempo percepito la somma richiesta,
condannava lo Statuto a restituire l’importo di L. 11.874.940 già
ingiustamente percepito.

Per la cassazione della sentenza del Tribunale il sig. S. propone ricorso
fondandolo su un unico articolato motivo.

L’ATAC s.p.a. resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico articolato motivo, denunciando violazione e falsa applicazione
degli artt. 99, 101, 112, 113, 116 c.p.c. e 118 disp.att. c.p.c., nonchè
degli articoli 345, 434, 437 c.p.c., violazione e falsa applicazione
dell’art. 336 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente, contraddittoria
motivazione circa un punto decisivo della controversia, il ricorrente
anzitutto censura la sentenza impugnata per avere il Tribunale accolto la
domanda dell’appellante di restituzione della somma di L.11.874.940 proposta
per la prima volta in sede di gravame, violando 1’art.345 c.p.c. che non
consente l’introduzione di domande nuove in appello. Il ricorrente deduce
che il Tribunale non aveva indicato gli elementi di fatto e di diritto a
sostegno della nuova domanda.

Col secondo profilo di censura il ricorrente sostiene che le retribuzioni
riscosse o maturate del lavoratore a seguito di sentenza di reintegra
pronunciata in primo grado ( a cui è equiparabile il provvedimento di
reintegra ex art.700), sono irripetibili, a nulla rilevando che la
prestazione lavorativa sia stata effettivamente svolta o soltanto offerta.

La prima censura è infondata.

Costituisce principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa
Corte che nel giudizio di appello la richiesta di restituzione delle somme
pagate dalla controparte in esecuzione della sentenza di primo grado non
configura domanda nuova, essendo conseguente alla richiesta di modifica
della decisione impugnata (Cass. 21 dicembre 2001 n l6170;  3 maggio 2000 n.5549;
16 giugno 1998 n.6002; 9 aprile 1998 n.3695), e pertanto puo’ essere
proposta in appello senza che a cio’ sia di ostacolo, in una controversia
soggetta al rito del lavoro, la preclusione fissata dall’art. 437 c.p.c. (
Cass. n.5549/2000; 6002/98) .

Riguardo al secondo profilo di censura, in ipotesi di riforma in appello
della sentenza di primo grado che abbia ordinato la reintegrazione nel posto
di lavoro, alcune sentenze ( Cass. 10 dicembre 1999 n.13854; 14 maggio 1998
n. 4881), hanno ritenuto ripetibili le somme ricevute dal lavoratore a
titolo di risarcimento del danno per il periodo dal licenziamento all’ordine
di reintegra, affermando invece la non ripetibilità di quelle ricevute
dalla sentenza di reintegra alla sentenza di riforma; veniva infatti
attribuita alle prime natura risarcitoria ed alle seconde natura
retributiva, ritenendosi che l’indennità corrisposta per il periodo
successivo alla sentenza non avesse titolo nella illegittimità del
licenziamento, ma nell’inottemperanza all’ordine di reintegrazione che, non
essendo coercibile, implicava la scelta del datore di non utilizzare le
prestazioni lavorative nonostante l’intervenuta ricostituzione del rapporto.

La più recente giurisprudenza, tuttavia, è decisivamente orientata su una
diversa lettura dell’art.18 della legge 20 maggio 1970, nel nuovo testo
introdotto dalla legge 11 maggio 1990 n.108, più aderente alla formulazione
della norma, lettura in base alla quale tutti gli importi erogati dal datore
di lavoro in esecuzione della sentenza che ordina la reintegrazione del
lavoratore licenziato, anche per il periodo successivo alla data di questa
decisione, costituiscono risarcimento del danno derivante dall’illegittimo
licenziamento e come tali sono interamente ripetibili a seguito della
sentenza di riforma in appello che esclude con effetto immediato l’illecito
e l’obbligo di risarcimento ( Cass. l  aprile 2003 n.4943; 17 giugno 2000 n.
8263; 27 giugno 2000 n. 8745). Quest’ultimo indirizzo giurisprudenziale è
basato sulla considerazione che l’art. 18 L.  n. 300/70 (nuovo testo)
riconosce all’indennità spettante al lavoratore illegittimamente
licenziato, natura esclusivamente risarcitoria del danno subito dal
lavoratore per l’illegittimo licenziamento: sicchè, in caso di riforma
della sentenza che aveva dichiarato l’illegittimità del recesso, venendo a
cadere l’illecito civile ascritto al datore di lavoro e non sussistendo più
obbligo di risarcimento a suo carico, le somme percepite dal lavoratore
perdono il loro titolo legittimante e debbono essere conseguentemente
restituite fin dal momento della riforma.

Il Collegio ritiene di condividere questo secondo indirizzo, non ravvisando
nell’attuale formulazione dell’art.18, 4° comma, legge 300170 in base alla
quale il giudice condanna il datore di lavoro "al risarcimento del danno
subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata
l’inefficacia o l’invalidità stabilendo un’indennità commisurata alla
retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello
della effettiva reintegrazione", alcun supporto normativo alla tesi della
irripetibilità delle somme in questione. Posto che la modificazione
introdotta elimina sia ogni distinzione tra il periodo antecedente
all’ordine di reintegrazione e quello successivo, sia ogni riferimento,
riguardo a quest’ultimo periodo, all’inottemperanza all’ordine di
reintegrazione, e che la commisurazione del danno alla somma equivalente
alle retribuzioni globali di fatto non percepite funge da mero parametro di
liquidazione del danno da risarcire, non appare più possibile assegnare
alle attribuzioni patrimoniali per il periodo successivo alla sentenza di
primo grado una natura diversa rispetto a quella dell’indennità
risarcitoria, in ragione di una specifica finalità sanzionatoria e
compulsiva propria della nonna, collegata all’inottemperanza dell’ordine di
reintegrazione, alla quale manca ogni riferimento nel nuovo testo dell’art.18
e che invece era riconoscibile nella vecchia formulazione della norma.

Sebbene la giurisprudenza sopra richiamata riguardi la situazione che si
produce per effetto della sentenza di primo grado che abbia disposto la
reitegrazione e che sia stata poi riformata, la questione non è diversa da
quella che si produce quando la condanna alla restituzione riguarda somme
ottenute originariamente con decreto ingiuntivo basato su ordine di
reintegrazione per effetto di provvedimento ex art.700 c.p.c.,
successivamente travolto in sede di merito, dove, in appello la domanda del
ricorrente viene rigettata; il provvedimento d’urgenza, infatti, ha la sola
funzione di assicurare provvisoriamente gli effetti della sentenza di merito
del quale non puo’ avere maggiore incisività.

Il ricorso deve essere, dunque, rigettato.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio
di cassazione.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate le spese del giudizio di
cassazione

 

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