Sentenza
n. 4165 del 1° marzo 2004
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza di cui in epigrafe, e qui impugnata, la Corte di appello di
Firenze, in accoglimento dell’appello proposto dall’ (omissis ) (in appresso
omissis ) avverso la sentenza del giudice unico del lavoro di Firenze,
rigettava la domanda proposta da C. D. contro il detto Istituto, diretta al
riconoscimento di rendita in ordine all’infortunio sul lavoro del 27
novembre 1999, allorquando la D., infermiera presso l’USL, nel corso della
sua attività lavorativa si era punta con l’ago di una siringa, contraendo
il virus da HCV.
Osservava la Corte, per quanto ancora di rilievo: irrilevanti erano
valutazioni, come quelle adottate dal consulente tecnico di ufficio, sulle
possibili cautele cui l’infortunata doveva sottostare nell’esercizio della
sua professione e sul pericolo di futuro insorgere di fatti patologici in
ragione dell’infezione virale, all’atto silente, ovvero su inconvenienti per
variazione di abitudini alimentari; eventuale, ma improbabile, riverbero
sulla capacità lavorativa generica di una diminuita capacità lavorativa
specifica, comunque non determinerebbe mai una percentuale di inabilità
dell’11%, cui nella specie avevano contribuito i predetti fattori non
rilevanti.
Ricorre per cassazione D. C. affidandosi ad argomentazioni critiche della
sentenza.
L'(omissis) si è costituito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente rilevato, come da espressa eccezione nel controricorso
dell'(omissis), la irritualità del deposito in questa sede della
certificazione medica e degli allegati esami clinici.
Ai sensi dell’art. 372 c.p.c. non è ammesso il deposito di atti e documenti
per la prima volta nel giudizio di cassazione, se estranei alle ipotesi
della nullità della sentenza impugnata e della ammissibilità del ricorso e
del controricorso. Nel caso di specie la documentazione prodotta dalla D. è
estranea alle dette eccezioni, sicchè di essa non puo’ tenersi conto nel
prosieguo.
Con il ricorso in esame, privo di titolazione sulle censure poi prospettate,
la D., in sintesi, deduce che le argomentazioni della Corte territoriale
erano contraddittorie, ed apodittiche le relative affermazioni, essendo vero
esattamente il contrario; in realtà, nel portatore sano di virus HCV
sussisteva un reale stato di inabilità per dover "sottostare ad un regime
alimentare ed a particolari cautele" che comportavano "di per sè stesse una
limitazione attuale della propria capacità lavorativa"; recenti esami
clinici, che si allegavano al ricorso, denunziavano "un aggravarsi della
patologia e comunque una lesione reale del fegato".
IL MOTIVO E’ INFONDATO
Al di là dell’ammissibilità o meno delle censure rivolte alla sentenza
impugnata per omessa indicazione delle norme che si ritengono violate, sta
di fatto che le questioni prospettate dalla ricorrente afferiscono solo ed
esclusivamente al merito della controversia, e per cio’ estranee al giudizio
di legittimità.
Ha ritenuto la Corte territoriale che le valutazioni circa le attenzioni e
le limitazioni, cui inevitabilmente va incontro un soggetto che contrae il
virus HCV (particolarità del regime alimentare, cautele nei rapporti con i
terzi, diminuita intensità della vita lavorativa), fra l’altro in presenza
di malattia silente, non attengono in linea di principio alla tutela
antinfortunistica, perchè estranee alla nozione dell’attitudine al lavoro
nella sua espressione della capacità lavorativa generica, quest’ultima
riferita alla diminuzione della concreta capacità di lavoro dell’assicurato
in rapporto alla produzione del reddito, e non anche, come sembra volersi
nel caso di specie, alle particolari mansioni svolte dall’infortunata. Ha
anche precisato, il giudice di merito, che, anche a volerne prevedere una
qualche loro incidenza sulla predetta capacità lavorativa generica, giammai
potrebbe derivarne una riduzione della capacità lavorativa generica nei
limiti minimi della sua indennizzabilità. E tale ultima statuizione del
giudice di appello non risulta neanche specificamente censurata.
Il ricorso, pertanto, è infondato e va rigettato.
Non deve provvedersi in ordine alle spese del giudizio di cassazione in
considerazione dell’applicabilità dell’art. 152, disp. att. c.p.c. nella
versione precedente alla intervenuta modifica di esso con d.l. 30 settembre
2003, n. 269 (art. 42, punto 11). In proposito, va rilevato che la detta
modifica non puo’ ritenersi applicabile ai procedimenti in corso e quindi
incardinati prima della data della entrata in vigore del relativo
provvedimento legislativo ponendo, la nuova formulazione del citato art.
152, oneri a carico delle parti ricorrenti di allegazione e di produzione
documentale fin dall’atto introduttivo e nel corso dei successivi giudizi,
di impossibile attuazione nelle controversie, come la presente, già in
corso.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; dichiara non doversi provvedere in ordine alle
spese del giudizio di cassazione. |