Corte Suprema di Cassazione
Giurisprudenza Civile e Penale
Sentenza n. 2424 del 9 febbraio 2004
(Sezione III Civile – Presidente R. Preden – Relatore A.
Segreto)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata il 14 ottobre 1998 la (omissis)
impugnava, davanti alla corte di appello di Trieste, la sentenza del
tribunale di Trieste, depositata il 9 luglio 1998 all’esito di un
procedimento per il ristoro dei danni da errate informazioni,
instaurato da essa società contro la Regione Friuli Venezia Giulia,
poichè nel 1985 l’Ufficio regionale competente, a seguito di
richiesta della(omissis) se per svolgere attività di riciclo
di cascami lignei della lavorazione di mobilifici necessitasse
l’autorizzazione prevista dal d.P.R. 915/1982, ebbe a dare risposta
negativa, reiterando la risposta nel 1986, salvo mutare opinione nel
1988.
La (omissis) assumeva che, per non interrompere l’attività
produttiva dovette richiedere l’autorizzazione al presidente della
provincia di Pordenone, nelle more divenuto competente,
autorizzazione che poi le fu revocata dopo sei mesi; che, per
effetto delle informazioni inesatte, aveva effettuato ingenti
investimenti; che conseguenzialmente, a seguito del diniego di
autorizzazione, essa aveva subiti ingenti danni.
La corte di appello di Trieste, con sentenza depositata il 14 marzo
2000, rigettava l’appello.
Riteneva la corte di merito che l’errata informazione della regione
sulla necessità dell’autorizzazione era frutto di errore scusabile
della stessa, tenuto conto che all’epoca era prevalente
l’orientamento giurisprudenziale secondo cui era necessaria
l’autorizzazione per lo smaltimento dei rifiuti solo se si trattava
di rifiuti tossici o nocivi e che era necessario, altresi’,
l’abbandono di detti rifiuti e non il riutilizzo degli stessi; che
era stato comprensibile il comportamento della regione che si era
adeguata a detta interpretazione corrente all’epoca ed anche nel
successivo anno; che in ogni caso l’unica comunicazione effettuata
dalla regione alla (omissis) era del 1985, mentre la nota del
1986 era diretta all’associazione industriali di Pordenone; che
conseguentemente andava esclusa la responsabilità della regione.
Riteneva, in ogni caso, la corte di appello che, anche a seguito del
mutamento di interpretazione, mai era stata interrotta l’attività
di produzione della (omissis) di bricchetti da ardere, per
cui, nonostante che la domanda di autorizzazione fosse stata
presentata nel 1988, la produzione duro’ fino al 1991, allorchè
l’autorizzazione fu concessa dalla Provincia; che questa
autorizzazione fu revocata dopo sei mesi per mancanza
dell’autorizzazione paesaggistica (da ottenersi per ogni
insediamento produttivo) e non per motivi propri alla normativa
sullo smaltimento dei rifiuti; che l’appellante non aveva richiesto
detta autorizzazione nè aveva indicato i motivi di tale omissione;
che quindi la mancata produzione, successivamente alla revoca
dell’autorizzazione, era conseguente ad una scelta propria della
(omissis); che pertanto mancava il nesso di causalità tra le
inesatte informazioni e l’arresto della produzione a seguito della
revoca della concessa autorizzazione.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la
(omissis), che ha presentato anche memoria.
Resiste la regione convenuta con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso la
ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di legge: artt.
97 Cost. e 2043 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, in ordine
alla scusabilità dell’errore.
Ritiene la ricorrente che, poichè il rilascio di informazioni
inesatte da parte della P.A. è da considerarsi come illecito, è
errato ritenere che nella fattispecie sussistesse un’ipotesi di
errore scusabile. Secondo la ricorrente la P.A., preposta allo
specifico settore, costituiva un soggetto qualificato, a cui era
richiesto un grado di diligenza più alto rispetto a quella del
pater familias, per cui, essendo l’ente dotato di una struttura
tecnico-legale, non poteva effettuare un’interpretazione errata
della normativa in tema di autorizzazione al trattamento dei
rifiuti, trincerandosi dietro orientamenti pretori.
Secondo la ricorrente, sotto questo profilo la colpa si substanzia
non solo in mancanza di diligenza da parte dell’organo qualificato,
ma anche di perizia ed inoltre, giusta la giurisprudenza di questa
Corte, ai fini della responsabilità della P.A., mentre in relazione
ad attività materiale si richiede l’elemento soggettivo della
colpa, in relazione ad attività provvedimentale, sfociata
nell’emanazione di atti illegittimi, la colpa dell’amministrazione
è di per sè ravvisabile nella violazione della norma. Ritiene,
poi, la ricorrente che nella fattispecie non sussisteva oscurità
interpretativa degli artt. 1, 2 e 6 d.P.R. 915/1982; che, se la
regione si fosse attenuta all’interpretazione letterale delle
predette norme, avrebbe dovuto concludere che la definizione di
rifiuto riguardava anche lo scarto della lavorazione industriale del
legno e dell’arredamento, per cui anche lo smaltimento di tali
rifiuti, attraverso la trasformazione necessaria per il riutilizzo o
per il recupero, necessitava di autorizzazione.
Tanto emergeva anche dalla sentenza della Cass. civ. sez. III, 19
novembre 1985, che, se, era posteriore alla prima comunicazione
della Regione, era tuttavia anteriore a quella del 1986, con cui
essa ribadiva il proprio orientamento. Ritiene quindi la ricorrente
che la sentenza impugnata avrebbe dovuto tenere un comportamento
meno rischioso, fornendo un’interpretazione letterale della norma,
agendo nel rispetto dei principi di cui all’art. 97 Cost.
2. 1. Ritiene questa Corte che il
motivo sia infondato e che lo stesso vada rigettato.
Va preliminarmente osservato che, secondo la giurisprudenza di
questa Corte, la responsabilità della P.A. per illecito
extracontrattuale – che puo’ essere fatta valere dal privato con
azione di risarcimento del danno davanti al giudice ordinario – è
astrattamente configurabile anche nella diffusione di informazioni
inesatte (Cass. 22 novembre 1999, n. 12941).
Cio’ è tanto più vero a seguito della mutata concezione della
"ingiustizia del danno" di cui all’art. 2043 c.c., per cui non è
solo la lesione di un diritto soggettivo, ma anche di una posizione
considerata meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, che
obbliga l’autore dell’atto illecito al risarcimento del danno, in
presenza degli altri elementi costitutivi della responsabilità
aquiliana (cfr. Cass. n. 500/1999).
Ne consegue che il rilascio di informazioni inesatte da parte della
P.A. è da considerarsi come fonte di responsabilità aquiliana
perchè lede la posizione (meritevole di tutela) di affidamento che
il soggetto in contatto con la P.A. ha nella stessa, tenuto conto
che questa deve ispirare la propria azione a regole di correttezza,
imparzialità e buon andamento (art. 97 Cost.).
2. 2. E’ necessario, pero’, perchè
sussista una responsabilità extracontrattuale della P.A., che la
stessa abbia agito con dolo o colpa.
E’ noto che sulla questione relativa alla necessità o meno della
colpa per potersi affermare la responsabilità della P.A. in ordine
ai danni prodotti da un atto amministrativo illegittimo vi sono
stati dissensi sia in dottrina che in giurisprudenza.
Si è infatti, affermato che, ai fini della sussistenza della
responsabilità della P.A., mentre in relazione all’attività
materiale si richiede l’elemento soggettivo dell’imputabilità per
dolo o colpa, in relazione all’attività provvedimentale, sfociata
nell’emanazione di atti illegittimi, la colpa dell’amministrazione
è di per sè ravvisabile nella violazione della norma, senza che
l’amministrazione possa giovarsi dell’errore scusabile dei propri
funzionari (Cass. n. 3293/1994; Cass. n. 5883/1991).
Altro orientamento, in senso esattamente contrario, ha ritenuto che
l’errore scusabile dei funzionari giovi anche alla P.A. (Cass. n.
12839/1992 e Cass. n. 3719/1975).
2. 3. Deve ammettersi, ad avviso di
questo Collegio, che non esiste nel sistema alcun aggancio normativo
idoneo a giustificare nella materia una differenziazione tra la
posizione della P.A. e quella di altri soggetti dell’ordinamento.
Anche relativamente alla prima non è dato, pertanto, prescindere
dal requisito soggettivo della responsabilità. Come questa Corte ha
infatti statuito (S.U. n. 540/1999), perchè un evento dannoso sia
imputabile a responsabilità della P.A., tale imputazione non potrà
avvenire sulla base del mero dato obiettivo della illegittimità del
provvedimento amministrativo, richiedendo, invece, una più
penetrante indagine in ordine alla valutazione della colpa, che,
unicamente al dolo, costituisce requisito essenziale della
responsabilità aquiliana.
La sussistenza di tale elemento sarà riferita non al funzionario
agente, ma alla P.A. come apparato, e sarà configurabile qualora
l’atto amministrativo sia stato adottato ed eseguito in violazione
delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione
alle quali deve ispirarsi l’esercizio della funzione amministrativa,
e che il giudice ordinario ha il potere di valutare, in quanto
limiti esterni alla discrezionalità amministrativa.
Sia pure con riferimento non al singolo funzionario, ma alla P.A.
come apparato, e quindi come unità (quanto meno nei singoli
settori), va valutata la colpa, nei termini sopradetti.
3. 1. Non si puo’, dunque, in linea
di principio, escludere la rilevanza dell’errore scusabile commesso
dalla P.A.
L’accento deve essere spostato sulla scusabilità dell’errore nei
casi singoli. E su questo versante non pare dubbio che l’errore
nell’interpretazione della legge possa essere considerato,
eccezionalmente, scusabile solo se riconducibile ad una oggettiva
oscurità (attestata, eventualmente, da persistenti contrasti
interpretativi) della norma violata (Cass. n. 5361/1984) o
altrimenti inevitabile a stregua delle indicazioni fornite dalla
Corte costituzionale (sent. n. 364/1988 e altre), operando, in ogni
altro caso, la regola della inescusabilità dell’error iuris (Cass.
n. 12839 del 1992; Cass. n. 2762/1978).