Lavoro

Infortuni sul lavoro – Responsabilità del datore di lavoro – Concorso di colpa dell’infortunato. Cassazione Sezione Lavoro n. 3213 del 18 febbraio 2004



Corte Suprema di Cassazione
Giurisprudenza Civile e Penale


Sentenza n. 3213 del 18 febbraio 2004


(Sezione Lavoro – Presidente F. Miani Canevari – Relatore F.
Miani Canevari)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Pretore di Reggio Emilia G. M., premesso di aver
subito un infortunio sul lavoro con gravi lesioni, conveniva in
giudizio la datrice di lavoro S.p.a. (omissis) (nelle persone
del legale rappresentante M. L. e di S. C. responsabile di
produzione dello stabilimento) chiedendone la condanna al
risarcimento del danno subito.

Costituitosi il contraddittorio tra le parti, esteso alla società
assicuratrice (omissis) chiamata in garanzia, il Pretore di
Reggio Emilia, affermando il concorso di colpa dell’infortunato
nella determinazione dell’evento, condannava le parti convenute e la
società chiamata in causa al pagamento di somme a titolo di
risarcimento per danno morale e per danno biologico.

Su appello del M. e della società  (omissis) (succeduta alla
S.p.a.  omissis) il Tribunale di Reggio Emilia con la
sentenza oggi denunciata riformava la decisione impugnata,
dichiarando il diritto del M. all’integrale risarcimento del danno
da parte della società appellata e del C. (ferma restando la
solidarietà di quest’ultimo già statuita dalla sentenza
appellata); liquidava il danno da risarcire nella somma di lire
823.541.632, comprensiva di rivalutazione alla data della pronuncia
e di interessi sul capitale mensilmente rivalutato, oltre interessi
legali su detta somma successivamente maturata; dichiarava la
società assicuratrice tenuta a manlevare la società  (omissis)
nei limiti del massimale di polizza.

La medesima società veniva condannata alla rifusione delle spese
del giudizio di appello a favore degli appellanti, nella misura del
5096 per il M.

Il Tribunale rilevava che il risarcimento del danno dovuto dal
responsabile dell’infortunio non poteva essere limitato dal concorso
di colpa dell’infortunato, dovendosi escludere l’ipotesi di rischio
elettivo riferibile alla condotta dell’infortunato; per la
liquidazione del danno biologico riteneva di far riferimento ai
criteri di determinazione del "valore punto" di invalidità.

Avverso tale sentenza la S.p.a.  (omissis) propone ricorso
per cassazione con tre motivi, al quale M. resiste con controricorso
e ricorso incidentale affidato ad unico motivo illustrato da
memoria. La S.p.a.  (omissis) e S. C. non si sono costituiti.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.             

I ricorsi proposti contro la stessa sentenza devono
essere riuniti ai sensi dell’art.335 cod.proc.civ.

2.           

Con il primo motivo del ricorso principale si
denunciano, ai sensi dell’art. 360 nn.3 e 5 cod.proc.civ, i vizi di
violazione degli artt. 113 e 41 c.p. e degli artt.1127 e 2056
cod.civ., nonchè omessa o insufficiente motivazione. La parte
critica la decisione che afferma l’integrale responsabilità
risarcitoria del datore di lavoro in caso di violazione delle norme
poste a tutela della integrità fisica del lavoratore, senza la
possibilità di invocare il concorso di colpa di quest’ultimo, una
volta accertato il nesso di causalità rilevante per l’attribuzione
del fatto al datore di lavoro:. deduce che nella specie la sentenza
impugnata non ha svolto alcuna osservazione sul comportamento del
dipendente, qualificato dal primo giudice "prossimo all’abnormità"
(rilevando sotto questo profilo anche un vizio di motivazione) e non
ha considerato la rilevanza causale di tale condotta.
Si sostiene che devono trovare applicazione le norme sul concorso di
cause di cui agli artt.113 e 41 c.p., con riflessi sul concorso di
colpa sul piano civile, in relazione al principio di cui
all’art.i227 cod.civ. ; il giudice dell’appello ha richiamato un
orientamento giurisprudenziale che vale ad individuare i casi di
esclusione della responsabilità datoriale per negare erroneamente
ogni rilevanza alla condotta del lavoratore nella causazione
dell’evento lesivo.
Per il comportamento di quest’ultimo non vi puo’ essere dubbio sulla
sussistenza di colpa e sulla efficienza causale nella produzione
dell’evento lesivo; conseguentemente, il risarcimento spettante al
M. doveva essere ridotto "in dimensione coerente al suo concorso di
colpa".

3.           

Il motivo è infondato. Secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, le norme dettate in tema di
prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire
l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il
lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua
disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia,
negligenza ed imprudenza dello stesso: ne consegue che il datore. di
lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore,
sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia
quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto
effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi
alcun effetto esimente per l’imprenditore che abbia provocato un
infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni
l’eventuale concorso di colpa del lavoratore; con l’ulteriore
conseguenza che l’imprenditore è esonerato da responsabilità solo
quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell’abnormità,
inopinabilità e esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed
alle direttive ricevute, come pure dell’atipicità ed eccezionalità,
cosi’ da porsi come causa esclusiva dell’evento. (v. per tutte Cass.
19 agosto 1996 n. 7636, 22 luglio 2002 n. 10706, 21 maggio 2002 n.
7454). Il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste
a tutela dell’integrità fisica del lavoratore, è interamente
responsabile dell’infortunio che ne sia conseguito e non puo’
invocare il concorso di colpa del danneggiato, avendo egli il dovere
di proteggere l’incolumità di quest’ultimo nonostante la sua
imprudenza o negligenza; ne consegue che, in tutte le ipotesi in cui
la condotta del lavoratore dipendente finisca per configurarsi
nell’eziologia dell’evento dannoso come una mera modalità dell’iter
produttivo del danno, tale condotta, proprio perchè "imposta" in
ragione della situazione di subordinazione in cui il lavoratore
versa, va addebitata al datore di lavoro, il cui. comportamento,
concretizzantesi invece nella violazione di specifiche norme
antinfortunistiche (o di regole di comune prudenza) e nell’ordine di
eseguire incombenze lavorative pericolose, funge da unico efficiente
fattore causale dell’evento dannoso (Cass. 8 aprile 2002 n.5024).

In conformità a questo principio di diritto la sentenza impugnata
ha correttamente negato la rilevanza del dedotto concorso di colpa
del lavoratore nella produzione dell’evento, avendo accertato che la
condotta del M. non poteva essere considerata come causa esclusiva
dell’evento stesso. Il giudice dell’appello ha anzi rilevato che
questo punto non era in contestazione tra le parti, non essendo
posta in discussione la valutazione del primo giudice secondo cui
non poteva essere prospettata nella specie un’ipotesi di condotta
abnorme, atipica ed eccezionale del dipendente, tale da interrompere
il nesso di causalità.
Sotto questo profilo, appare dunque inammissibile la censura di
vizio di motivazione, che non investe questo accertamento con
l’indicazione di specifici elementi di cui sia stato omesso l’esame.

4.           

Con il secondo motivo si denuncia la violazione
dell’art.345 cod. proc. civ., nonchè degli artt.2056 e 1223 cod.
civ., in relazione all’art. 360 n.3 cod. proc. civ. La censura
investe il criterio seguito dal giudice dell’appello per la
liquidazione del danno biologico, con riferimento alle tabelle
elaborate dalla. commissione di studio del gruppo di ricerca C.N.R.
presso l’Università di Pisa; con riforma, quindi, della statuizione
sul punto del primo giudice, che ha aveva invece applicato il
criterio del triplo della pensione sociale.
La parte sostiene che il criterio (cal. del valore punto) seguito
dal Tribunale non poteva trovare applicazione perchè invocato per
la prima volta solo in appello, in quanto nel giudizio pretorile lo
stesso M. aveva chiesto la liquidazione in base al parametro della
pensione sociale, parametro che appariva del resto conforme al
criterio equitativo di valutazione del danno.

5.           

Il motivo è infondato. L’adozione di validi
parametri di quantificazione ai fini della liquidazione del danno
alla salute, in quanto affidata ad un criterio equitativo, non è
condizionata dalle indicazioni della parte, le cui deduzioni in
materia non valgono ad introdurre nel giudizio di appello un nuovo
tema di discussione, soggetto a preclusioni. D’altro canto, il
sistema utilizzato dal giudice dell’appello corrisponde alle
indicazioni di un orientamento giurisprudenziale consolidato che
ritiene valido criterio di liquidazione equitativa quello che assume
a parametro il cosiddetto punto di invalidità (v. da ultimo Cass.
24 marzo 2003 n.4342).

6.           

Con l’ultimo motivo si denuncia la violazione
dell’art.16 sesto comma della legge n. 412/1991, affermandosi che la
controversia ha natura previdenziale, con la conseguenza,
dell’applicazione della regola, stabilita da tale norma, della non
cumulabilità tra rivalutazione e interessi sul credito.

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