Norme & Prassi

Determinazione degli onorari dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati per le prestazioni giudiziali in materia civile, amministrativa, tributaria, penale e stragiudiziali. Regolamento adottato con decreto ministeriale 9 aprile 2004

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Relazione


In ossequio al combinato disposto dell’articolo 57 del Rdl 1578/33, così come
modificato dall’articolo 3 del D.Lgslgt 170/46, dell’articolo 1 legge 536/49 e
dell’articolo unico della legge 1051/57, il Consiglio nazionale forense ha
sottoposto all’attenzione del ministro della Giustizia i nuovi criteri di
riferimento per la determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità 
dovuti agli avvocati per l’esercizio della attività  professionale, approvati con
delibera adottata nella seduta plenaria del 20 settembre 2002.
Ai sensi delle suddette disposizioni, le tariffe forensi dovrebbero essere
aggiornate ogni due anni. Il termine predetto ha natura ordinatoria, ed essendo
trascorsi dieci anni dall’ultimo aggiornamento attuato con Dm 5 ottobre 1994,
appare opportuno provvedere al periodico aggiornamento delle tariffe.
Com’è noto, nel decennio trascorso si sono succedute rapide trasformazioni nel
Paese e nell’amministrazione della giustizia. La professione di avvocato si è
adattata ai mutamenti normativi comportanti modifiche di taluni riti sia civili
che penali, alla complicazione del sistema normativo in relazione ai processi di
internazionalizzazione dei traffici, all’integrazione del nostro ordinamento
giuridico con l’ordinamento comunitario. Tale processo innovativo ha comportato
per la professione forense la necessità  di una formazione e di un aggiornamento
costanti, la necessità  di una costosa opera di progressiva informatizzazione
degli studi professionali e degli altri strumenti per l’esercizio quotidiano
dell’attività , l’adeguamento delle prassi e dei parametri di riferimento
deontologici.
àˆ peraltro necessario che i cittadini ricevano dagli avvocati un’opera di
assistenza e di tutela adeguata e pronta che, pur nella inevitabile varietà 
delle esperienze e delle qualità  personali, offra alla collettività  standard
comuni al di sotto dei quali la protezione del fondamentale diritto di difesa,
propria delle democrazie pluraliste contemporanee, si risolverebbe
nell’accentuazione delle discriminazioni piuttosto che nell’aumento delle
opportunità  per tutti i cittadini.
In questo quadro, il mantenimento di un sistema di onorari professionali minimi
inderogabili appare, ove correttamente inteso, non come un’indebita protezione
di operatori professionali ai margini del mercato, ma come la garanzia pubblica
che evita alla collettività  gli effetti pi๠dannosi del dispiegamento, senza
alcun limite delle dinamiche della concorrenza commerciale. Ad avvalorare tale
predicato, la recente sentenza Corte di giustizia delle Comunità  europee 19
febbraio 2002, in causa C35-99, ha posto fine ad un annoso dibattito circa la
compatibilità  del sistema tariffario con l’articolo 81 del Trattato Ce,
chiarendo come la deliberazione da parte del Ministro per la giustizia,
conseguente alla proposta del Consiglio nazionale, salvaguardi la valenza
pubblicistica del relativo procedimento, in funzione della protezione degli
interessi generali della collettività , e non già  degli interessi specifici della
categoria professionale.
La decisione dell’organo di giustizia comunitario ben si integra con il quadro
di riferimento dell’ordinamento italiano vigente, dove la tradizionale
collocazione pubblicistica delle organizzazioni di autogoverno degli avvocati, i
Consigli degli ordini forensi, si è arricchita negli ultimi anni di numerose
ulteriori funzioni di natura squisitamente pubblica, in ossequio al principio di
sussidiarietà , quali quelle connesse al gratuito patrocinio e alla difesa
d’ufficio.
L’inadeguatezza delle tariffe vigenti non si limita ai valori monetari riferiti
al 1994 e pertanto non adeguati all’incremento del costo della vita, ma concerne
anche l’impianto sistematico delle stesse. Invero, da un lato quelle civili non
considerano le variazioni intervenute nella geografia giurisdizionale,
dall’altro, quelle penali, ove ad esempio non è prevista espressamente neppure
una voce relativa alla partecipazione alle udienze, rende, a volte, difficoltosa
la redazione delle parcelle. Altre importanti innovazioni degli ultimi anni,
come l’istituzione delle società  tra avvocati, disciplinata dal D.Lgs 96/2001 in
attuazione della direttiva 98/5/Ce, nonché l’equiparazione del domicilio
professionale alla residenza ai fini dell’iscrizione nell’albo, richiedono di
essere recepite nella tariffa.
La citata inadeguatezza si è aggravata a partire dal 1° gennaio del 2002 in
ragione della introduzione dell’euro e della perdita di valore legale della
lira. Il Consiglio nazionale forense ha dovuto allora compiere un’attività  di
adeguamento interpretativo conseguente all’inutilizzabilità  di uno strumento
tariffario concepito e strutturato per una moneta diversa. Le regole legali di
conversione sono state applicate sulla base di approfonditi studi e del parere
del Comitato Euro presso il ministero delle Finanze. Questo ha scongiurato il
rischio di grande incertezza e di confusione ingenerato tra gli operatori dalla
non corretta applicazione dei metodi di conversione. Pur tuttavia molte
difficoltà  non potevano essere superate. Non si è potuto che prendere atto, ad
esempio, della inapplicabilità  di regole e criteri di cui alla tariffa vigente
in lire, prima fra tutte la regola dell’arrotondamento dei valori monetari alle
5.000 lire. Ne è risultata una tariffa costituita da valori monetari espressi
fino al centesimo di Euro, evidentemente ben pi๠complessa da maneggiare. In
occasione dell’aggiornamento delle tariffe, è stato necessario rivedere le
stesse anche in relazione a tale profilo.
La revisione delle tariffe rappresenta peraltro l’occasione per correggere e
migliorare le insufficienze e le difficoltà  interpretative derivanti
dall’applicazione delle tariffe del 1994 e che, talvolta, ha cagionato
oscillazioni notevoli in sede di applicazione giurisprudenziale. Di qui
l’attenzione e l’interesse del Consiglio nazionale forense, che ha condotto in
merito una lunga attività  preparatoria e di studio, lungo i primi sette mesi del
2002, per il tramite della propria Commissione tariffe, avvalendosi anche di
consulenti esterni qualificati nel calcolo matematico e nella ragioneria.
La Tariffa si fonda sui seguenti criteri generali.
La Tariffa è informata ad un generale principio di ragionevolezza che ha
consigliato di partire dall’impianto delle tariffe vigenti, per procedere a
revisioni e miglioramenti che muovono nella direzione dell’adozione di uno
strumento pi๠agile ed intelligibile e che, soprattutto, non dia luogo a
divergenze interpretative.
Il Dm 585/94 prevedeva articolati che recavano regole generali e criteri
relativi agli onorari per l’attività  giudiziale civile, amministrativa e
tributaria, per l’attività  giudiziale penale, e per l’attività  professionale
stragiudiziale; recava inoltre due tabelle, una relativa agli onorari giudiziali
civili, amministrativi e tributari (tab. a), una relativa ai diritti fissi (tab.
b); le altre due tabelle che componevano il sistema constavano della tabella
penale, dove non vi era differenza tra onorari (dovuti in misura oscillante tra
un minimo e un massimo) e diritti (dovuti in misura fissa), e della tabella
stragiudiziale, articolata invece secondo minimi e massimi.
Rispetto a tale impianto, ferma restando la previsione di articolati normativi
che constano dell’adeguamento di quelli esistenti, le novellate Tariffe
subiscono una innovazione di non poco momento. Mentre quelle previgenti
indicavano i minimi e i massimi dei vari onorari per un unico scaglione di
valore della causa, e prevedevano criteri di sviluppo la cui applicazione
consentiva di ricavare gli importi propri degli altri scaglioni, le nuove
tariffe recano viceversa gli onorari minimi e massimi già  sviluppati per tutti
gli scaglioni, salvo ovviamente un unico criterio di chiusura che consenta di
calcolare gli onorari per cause dal valore superiore all’ultimo scaglione
sviluppato.
L’innovazione consente di superare le difficoltà  relative a talune formule
presenti nel Dm del 1994 per diversi coefficienti di applicazione, la cui
divergente applicazione poteva portare (e ha effettivamente portato, basti
verificare le molte pubblicazioni in commercio) all’individuazione di onorari
diversi a seconda dell’interpretazione accolta (a mero titolo di esempio, si
indica la questione relativa all’interpretazione da rendere a proposito
dell’espressione “ultima colonna” di cui alle “norme comuni ai numeri IB/a, lBIb,
2/c, 2/e, (Dm cit., in GU cit. p. 16‑17) ed in particolare se per “ultima
colonna” doveva intendersi: quella relativa alle pratiche di valore da lire 50
milioni a lire 100 milioni, cioè l’ultima prevista espressamente in cifre dal
provvedimento normativo, al punto 2.c; oppure la colonna immediatamente
precedente, ottenuta dallo sviluppo dei criteri)”.
L’approvazione di tabelle con onorari già  sviluppati, piuttosto che con onorari
indicati solo per scaglioni base, che rinviano a certi criteri per
l’individuazione degli onorari degli altri scaglioni, rappresenta la
semplificazione pi๠profonda dell’intera tariffa.
àˆ stato inoltre operato un adeguamento delle voci tariffarie sulla base
dell’indice Istat relativo alla perdita del potere d’acquisto della moneta dal
1994 ad oggi pari al 25%.
àˆ stato altresì ritenuto opportuno adeguare anche quanto previsto in relazione
al rimborso forfetario delle spese generali (articolo 14 tariffa civile;
articolo 8 tariffa penale; articolo 12 tariffa stragiudiziale), ed aumentarlo
dal dieci al dodici virgola cinque per cento.
L’iniziale proposta del Consiglio Nazionale Forense di innalzamento delle spese
generali dal 10% al 15% è stata oggetto di osservazione critica sia in sede di
parere interlocutorio della sezione atti normativi del Consiglio di Stato sia in
sede di riscontro da parte di questa amministrazione, che ha ritenuto di
contenere l’aumento nella misura del 25%, fissandolo quindi al 12,5%.
Secondo il parere del Consiglio di Stato, però, nemmeno tale, pi๠contenuto,
incremento, troverebbe adeguata giustificazione e si risolverebbe pertanto in un
ulteriore appesantimento, che si aggiungerebbe alla lievitazione dei livelli
tariffari per effetto dell’inflazione, determinata, come pi๠volte detto, nella
misura del 25%.
In particolare si legge nel parere che “non emergono specifici approfondimenti
in merito a cause ben individuate che abbiano portato le spese di gestione degli
studi professionali, comprese le spese del personale e per impianti tecnologici,
ad aumenti stabili e duraturi (e non compensati da eventuali risparmi indotti
dalle nuove tecnologie)”.
Ciò posto, si osserva, innanzi tutto e in via generale, che nessuna obiezione di
principio viene mossa alla astratta previsione di una voce, denominata “spese
generali”, che autonomamente si calcoli ‑ con ciò aggiungendosi ‑ alle singole
voci della tariffa, aumentati di una percentuale calibrata dell’inflazione
maturata in un determinato periodo.
Ciò premesso, si osserva che le rilevazioni dell’Istat testimoniano aumenti dei
costi medi degli affitti degli immobili pari al 25% (c.d. “affitti reali”:
periodo dicembre 1996 ‑ ottobre 2003) e al 25,5% (c.d. “affitti abitazioni”:
periodo dicembre 1993 ‑dicembre 1996), per un totale che supera il 50%.
A ciò si aggiungano le spese condominiali che, notoriamente, hanno fatto
registrare, nel decennio che è seguito all’entrata in vigore delle vigenti
tariffe, un aumento di non lieve entità . Al riguardo va tenuto presente che i
predetti oneri e spese non sono valutati nella determinazione, da parte dell’Istat,
dell’indice generale dei prezzi al consumo per l’intera collettività .
Al riguardo, ha influito l’introduzione dell’Irap, non esistente al momento
dell’entrata in vigore della tariffa del 1994.
Alla luce delle considerazioni che precedono, un aumento del 25%, anche delle
spese generali, risulta ragionevole.
Nella riformulazione delle Tariffe si è tenuto anche conto del superamento della
distinzione tra avvocati e procuratori.
Sono state previste regole relative alle tariffe applicabili alle prestazioni
rese da società  tra avvocati, Secondo quanto previsto dall’articolo 25 del D.Lgs
96/2001 secondo cui “1. I compensi derivanti dall’attività  professionale dei
soci costituiscono crediti della società . 2. Se la prestazione è svolta da pià¹
soci, si applica il compenso spettante ad un solo professionista, salvo espressa
deroga pattuita con clausola approvata per iscritto dal cliente”.
L’arrotondamento dei valori espressi è stato fissato alla cinquina di Euro per
gli onorari e all’unità  di Euro per i diritti.
Al fine di diminuire la “forbice” tra minimi e massimi, inoltre, 1
“arrotondamento” degli onorari minimi è stato calcolato sempre per eccesso (es.:
10,34 diviene 15; 97,99 diviene 100), quello dei massimi sempre per difetto (es.
34,67 diviene 30; 89, 01 diviene 85).
I diritti sono invece arrotondati con metodo algebrico neutro (fino a 0,49 resta
l’unità  precedente; dallo 0,50 in poi scatta l’unità  di Euro successiva (Es.:
10,2 diventa 10; 11,5 diventa 12).
Le voci nn. 1, e 4 della tabella penale, formalmente relative ad onorari, ma
sostanzialmente riconducibili a diritti, sono arrotondate con i medesimi criteri
dei diritti (si ricordi che la tabella penale non prevede la distinzione tra
diritti e onorari, impianto questo che si è voluto mantenere).
Non vi saranno dunque, per onorari e diritti, valori espressi in decimi o
centesimi di Euro.
Al riguardo, il Consiglio di Stato pur esprimendo una generale condivisione
dell’impostazione metodologica seguita, ha formulato alcune osservazioni
relative a taluni pretesi effetti distorsivi. Si osserva ‑ nel parere ‑ che i
criteri di arrotondamento fissati nelle vigenti tariffe erano stabiliti per
eccesso prendendo a riferimento unità  di 5.000 quanto agli onorari e unità  di
1.000 quanto ai diritti.
Considerato che le vecchie 5.000 equivalgono ad Euro 2,58 e le vecchie 1.000
equivalgono ad Euro 0,52, il proposto arrotondamento a 5 e ad 1 Euro
comporterebbe ‑ a parere del Consiglio di Stato ‑ un notevole scostamento dal
criterio di conversione, con un incremento, rispetto al criterio precedente, di
quasi il 100%. Proponeva pertanto il Consiglio di Stato di operare un
arrotondamento unico per onorari e diritti all’unità  di Euro ovvero ad
arrotondamenti differenziati di 2 ‑ 3 Euro (rispettivamente in difetto ed in
eccesso) per gli onorari e 0,50 Euro in difetto o in eccesso per i diritti.
Questa Amministrazione non ha condiviso sul punto le argomentazioni del
Consiglio di Stato. Va innanzi tutto rilevato che criterio di arrotondamento di
cui al Dm del 1994 era
previsto solo in eccesso. Il presente regolamento prevede, invece, un
arrotondamen

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