Lavoro

Trattamento di fine rapporto – Calcolo del premio di anzianità – Cassazione Sezione Lavoro Sentenza n. 11607 del 2 agosto 2002


Corte
Suprema di Cassazione – Giurisprudenza Civile e Penale




Sentenza
n. 11607 del 2 agosto 2002

TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO –
CALCOLO DEL PREMIO DI ANZIANITA’

(Sezione Lavoro – Presidente S.
Senese – Relatore G. Cellerino)

 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Pretore del lavoro
di Torino il sig. D. G. conveniva in giudizio la (omissis) (in
breve: omissis) e, deducendo d’aver percepito, in occasione del
25° e del 30° anno, di servizio il premio aziendale d’anzianità, pari
ad una mensilità di retribuzione, lamentava che la (omissis) non
ne avesse tenuto conto per determinare l’entità del trattamento di fine
rapporto (tfr) spettantegli, per cui chiedeva la condanna della
controparte al pagamento della somma di L.. 440.349, oltre interessi e
rivalutazione a titolo d’importo differenziale. Costituitasi in
giudizio, la (omissis) contestava la fondatezza della pretesa
negando che l’emolumento in oggetto avesse le caratteristiche richieste
dall’art. 2120, cod.civ., ai fini dell’inclusione nel tfr.

Il Pretore respingeva il ricorso,
compensando le spese di lite.

Ricostituito, su appello del
lavoratore, il contraddittorio, il Tribunale di Torino con sentenza n.
5561 del 29 settembre – 22 ottobre ’98 ha riformato la decisione
pretorile stabilendo l’incidenza nel tfr di quanto erogato a titolo di
premio d’anzianità, rilevandone la natura retributiva e, quindi, non
occasionale, e ha condannato la (omissis) al conseguente
pagamento, oltre rivalutazione ed interessi.

In particolare, premessa la
ricostruzione storica del premio a partire dall’ultimo dopoguerra ed
evidenziato che nell’aprile ’74 detto premio, in base alla
"norma" n. 64 della Direzione centrale del personale (omissis),
era stato commisurato ad una mensilità di retribuzione globale di
fatto, con specifica menzione nel foglio paga, assoggettamento a IRPEF e
contribuzione (in precedenza escluse), con estensione al personale
operaio che avesse maturato almeno ventiquattro anni e sei mesi di
servizio, ne affermava l’integrale inserzione nel tfr, "non potendo
non riconoscersi natura retributiva", essendosi radicato, "per
la generalità dei destinatari e l’omogeneità e stabilizzazione delle
condizioni di erogazione" in un comportamento che si era ormai
affermato come uso aziendale, "individuabile nella riconducibilità
causale al rapporto di lavoro… di talchè a partire dal trentesimo
anno di servizio il premio diventa sostanzialmente annuale, in caso di
risoluzione del rapporto prima del raggiungimento del quinquennio
previsto come normale intervallo fra le varie scadenze.".

D’altra parte, il Tribunale
escludeva che al premio potesse attribuirsi il carattere d’occasionalità,
essendo inerente al protrarsi del servizio per ventiquattro anni e sei
mesi e avendo cadenza periodica, non trattandosi di un’erogazione
eventuale, imprevedibile e fortuita rispetto al normale svolgimento del
rapporto.

Contro questa sentenza la (omissis)
ha proposto un articolato motivo di ricorso per cassazione,
articolato in due censure. Resiste con controricorso l’intimato.

Motivi della decisione

Con unico motivo la (omissis)
denuncia l’erronea, omessa e contraddittoria motivazione della sentenza
su di un punto decisivo della controversia, oltre a violazione e falsa
applicazione dell’art. 2120, cod.civ. e dell’art. 770, cod.civ., ex art.
360, nn. 3 e 5, cod.proc.civ., osservando che, ai fini dell’inclusione
nel calcolo del tfr di somme particolari è necessario accertare se
esse, oltre ad essere obbligatorie, determinate e corrispettive sono
erogate "in dipendenza del rapporto di lavoro", ovvero
"rinvengano… esclusivamente nel rapporto l’elemento causale
dell’erogazione" senza trovare origine in un titolo autonomo e
ulteriore che costituisce una mera occasione di fruizione, quali sono
"le erogazioni riconducibili a specifici eventi o circostanze della
vita del lavoratore".

In questa situazione si duole che
il Tribunale, "dopo aver correttamente individuato le
caratteristiche oggettive del premio di fedeltà… ne trascura… gli
aspetti giuridici prevalenti", che escludono la sua natura
retributiva, non approfondendone la natura (determinatezza,
obbligatorietà e corrispettività), posto che l’erogazione ha causa in
un mero atto di liberalità assunto, con intento premiale, dalla (omissis)
e connesso alla facoltà del dipendente di proseguire il rapporto di
lavoro per un certo tempo, indipendentemente dall’intrinseca natura
della prestazione e al di fuori di un’ipotetica corrispondenza con gli
scatti di anzianità.

Quanto al profilo della "non
occasionalità", che deve caratterizzare quanto va incluso nel tfr,
parte ricorrente obietta ancora che il premio in questione, per la sua
motivazione originaria "vale a dire sul motivo o la ragione che
l’hanno determinata", non riveste tale natura e, in quest’ottica,
contesta la tesi del Tribunale, negando che l’atto di liberalità
originario, fondato sugli artt. 769 e 770, cod.civ., possa trasformarsi
in elemento retributivo, in assenza della prestazione corrispettiva, o
possa essere definito un uso aziendale, avendo sempre la (omissis)
ribadito e regolato autonomamente siffatta erogazione per puro spirito
di liberalità.

Anzitutto il richiamo agli artt.
769 e 770, cod. civ., fondanti, secondo l’argomentazione di parte
ricorrente, ancor oggi l’erogazione in discorso, non puo’ essere
analizzato dalla Corte, gratificazione e tangibile vantaggio economico
del lavoratore, in considerazione della sua pluriannuale fedeltà.

Ora, a parte che la fedeltà
costituisce un naturalia negotii (art. 2105, cod.civ.), non pare
corretto ed equilibrato accentuare solo in funzione dell’interesse
premiale dell’imprenditore il riconoscimento dell’incentivo, per farne
discendere l’estraneità rispetto alla prestazione lavorativa, come
neppure è valido negarne il valore di non occasionalità, trattandosi,
secondo il giudizio insindacabile del Tribunale, emerso dalla
valutazione,. dei fatti sottoposti alla sua cognizione, di un
corrispettivo predefinito economicamente, corrispondente ad una mensilità
di stipendio e stabilizzato nel tempo, pervenendosi, altrimenti, a
sostenerne erroneamente la natura liberale, di cui già s’è discusso
per escluderne la valenza positiva.

D’altra parte, la sentenza del
Tribunale torinese non merita censura, essendosi ispirata alla costante
giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la corresponsione di un
compenso durante il corso del rapporto di lavoro è sufficiente a farlo
considerare un elemento della retribuzione sia per la presunzione d’onerosità
che assiste tutte le prestazioni eseguite durante l’attività
lavorativa, sia per la considerazione che un’elargizione liberale da
parte dell’imprenditore puo’ giustificarsi solo se accidentale e
collegata ad eventi affatto eccezionali. In questo quadro è stato anche
costantemente affermato che le erogazioni del datore di lavoro, quando
non siano imposte dalla legge, dal contratto collettivo o da particolari
pattuizioni individuali, indipendentemente dalla loro denominazione,
debbono considerarsi come facenti parte della retribuzione, se assumano
i caratteri di predeterminata stabilità e di coerente continuità,
estendendosi alla generalità dei dipendenti.

Non si puo’, quindi, a questo
proposito, non conformarsi a quell’indirizzo giurisprudenziale secondo
cui l’originaria spontaneità del premio (sebbene sorto per mero spirito
di liberalità: v. sentenza impugnata, pgg. 3 e 4), si è trasformata,
per effetto dell’inequivoco comportamento delle parti, consistente
nell’attribuzione dell’erogazione da parte del datore di lavoro in
occasione della maturazione di un servizio pluriannuale prestabilito e
nella corrispettiva legittima attesa dei lavoratori a conseguirla, in un
vincolo obbligatorio, privandolo cosi’ dell’originaria natura, per
attribuirgli quella diversa di un corrispettivo per la fedeltà della
prestazione resa per un numero "x" di anni, che ha assunto,
per effetto del gradimento dei dipendenti, manifestato in conformità
allo spirito della durata del rapporto, natura di compenso riconosciuto
dall’uso aziendale, inserito, come tale (clausola d’uso), nel contratto
individuale, di cui completa il contenuto in senso modificativo o
derogativo (in melius) della contrattazione collettiva (SS.UU. 23 agosto
1990, n. 8573).

D’altra parte l’esattezza di
questa conclusione, avvalorata dal concetto di onnicomprensività della
retribuzione rilevante ai fini del tfr (v., da ultimo, Cass. 2 dicembre
1996, n. 10767; 22 giugno 2000, n. 8496), oltre a trovare conformi
soluzioni nelle fattispecie esaminate dalla Corte (v., ex multis, oltre
la testè citata sentenza delle sezioni unite civili, SS.UU. 30 marzo
1994, n. 3134 e Sez. Lav. 12 agosto 2000, n. 10783 in tema
d’accertamento a posteriori del requisito della reiterata spontaneità
di un comportamento idoneo a costituire l’uso aziendale), trova conferma
in una recente sentenza di questa Corte che, esaminando il caso,
sollevato da alcuni "anziani (omissis)" dell’incidenza
di questo premio in caso d’aspettativa sindacale non retribuita, è
pervenuta alla affermazione della sua computabilità, posto che l’anzianità
di servizio costituisce un fatto obiettivo nell’economia della durata
del rapporto (29 aprile 1997, n. 3719).

In conclusione il ricorso deve
essere rigettato.

Spese secondo soccombenza, nella
misura indicata in dispositivo.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte rigetta il ricorso e
condanna la parte soccombente alle spese processuali che liquida in Euro
38,20, oltre Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per onorari di
avvocato.

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